LA NOTTE CHE BRUCIAMMO BABBO NATALE

Insanceme “La Chiesa non ha torto quando denuncia, nella credenza di Babbo Natale, il più solido bastione e uno dei più attivi focolai del paganesimo nell’uomo moderno…Resta da sapere se l’uomo moderno non possa difendere anch’egli i suoi diritti nell’essere pagano”.

Così Claude Lévi-Strauss in un piccolo e vecchio saggio, Babbo Natale giustiziato. Lo cita Nicola Lagioia in un altrettanto piccolo saggio uscito per Fazi, collana Memi, che Babbo Natale si intitola e che indaga su un’icona ibrida, dove si fondono ritualità secolari e  l’astuzia di una multinazionale (Babbo Natale come lo conosciamo nasce nel 1931, per aggirare una legge che, data la presenza di caffeina nella bevanda in questione, proibiva di utilizzare immagini pubblicitarie con bambini che ne facevano uso) .

Lévi-Strauss, a sua volta, cita un episodio che vale la pena riportare. Accadde in Francia, nel 1951.

“Il successo con cui anche in terra transalpina Santa Claus andava diffondendosi, togliendo gradualmente la scena a figure di più lunga tradizione, fu interpretato come un sintomo della paganizzazione delle feste natalizie. La Chiesa protestante si unì una volta tanto alle gerarchie cattoliche tuonando contro una coabitazione (quella del 25 dicembre) per descrivere la quale si ricorreva sempre più frequentemente alla metafora del cuculo che occupa un nido altrui a scopi usurpativi…

Il 24 dicembre la cattedrale di Digione fu teatro di un evento che sembrò la parodia involontaria dei roghi medioevali. Duecentocinquanta bambini vennero fatti radunare davanti al cancello della chiesa, dove un pupazzo di Babbo Natale fu prima impiccato, poi trascinato sul sagrato e qui bruciato pubblicamente come eretico. Al termine dell’esecuzione venne diffuso un comunicato in cui, tra le altre cose, si diceva che: “In rappresentanza di tutte le famiglie cristiane della parrocchia desiderose di lottare contro la menzogna, duecentocinquanta bambini, raggruppati davanti alla porta principale della cattedrale di Digione, hanno bruciato Babbo Natale. Non si è trattato di un evento spettacolare ma di un atto simbolico. Babbo Natale è stato sacrificato in olocausto. La sua menzogna non risveglia nei bambini alcun sentimento religioso e non può considerarsi in nessun caso educativa…Per noi cristiani la festa del Natale è e deve rimanere la ricorrenza che celebra la nascita del Salvatore”.

Un tempo, all’Università, c’era un’antropologa che chiosava Brecht e diceva “Sventurati i popoli finchè hanno ancora bisogno di simboli”.

27 pensieri su “LA NOTTE CHE BRUCIAMMO BABBO NATALE

  1. @ Caino: non è ogni simbolo che è sventurato, altrimenti il linguaggio sarebbe un’infinita sventura. Ma la funzione convenzionale del simbolo quando evoca una menzogna, e quando la menzogna è così diffusa da diventare pregiudizio popolare, è certamente una forma di patologia sociale (utilizzo “simbolo” nel senso di Peirce). La riconquista del significato, operazione semantica tra le più faticose, ristruttura il simbolo facendo a meno delle convenzioni che si sono imposte: lo rimette in gioco, lasciandolo ancora all’arbitrio della comunità, ma ad un arbitrio consapevole. Per questo si criticano alcuni simboli (secondo me).

  2. scusate, ma Babbo Natale non ha un’origine prettamente cristiana? intendo il famoso vescovo di Bari, S.Nicola, che portava doni ai bambini?
    No, perchè allora si potrebbe bruciare la coca-cola, no?
    😉

  3. @ Alberto: a parte l’origine cristiana, il primo dies natalis fu festeggiato un po’ alla buona tanto per conciliare Gesù Cristo e l’imperatore: e, in ogni caso, il rogo era dei protestanti, che avevano delle idee ben precise riguardo la cristianità, e molto diverse da quelle dei cattolici.
    (giusto un inciso)
    Io brucerei coca cola e simbolo: per cosa sta la coca cola, nell’immaginario collettivo? Di certo non per un semplice beveraggio (ma qui mi fermo, perché dovrei leggere La Gioia)

  4. D’accordo con te, Ivan, la cocacola va ben oltre la bibita. Mi viene in mente quella teoria macro-economica che dice che per vendere un prodotto A che è legato (dipendente) a un prodotto B (anche della concorrenza, non ha importanza) bisogna far si che B diventi una commodity.
    La cocacola è B.

  5. Mi pare che il problema posto alla fine sia interessante: concepire un mondo senza simboli è probabilmente non possibile. Possibile e indispensabile è la decifrazione della barthesiana foresta dei simboli stessi. La loro moltiplicazione a dismisura apre indubbiamente una possibilità di crisi per i semiologi.

  6. Marina, il concetto è più sottile: da quello che so, ma approfondirò leggendo il libro segnalato da Loredana, è stata la cocacola a trasformare il simpatico vecchietto in un oggetto di marketing. inoltre ha pesantemente condizionato l’aspetto di babbo natale così come lo conosciamo oggi.

  7. Mariano, “crisi” in che senso? (io sarei d’accordo con chi ha definito l’uomo “animale simbolico”, cioè Cassirer, tra gli ultimi).
    Un semiologo senza simboli è come un cavaliere disarcionato…e un uomo senza simboli è muto.
    Loredana ha citato una chiosa, non credo a caso. L’originale di Brecht, “Sventurati i popoli che hanno bisogno di eroi”, la dice abbastanza lunga sui simboli in questione (Loredana, correggimi se sbaglio). Se aggiungessi “sventurati i popoli che hanno bisogno degli dei”, oltre a ripetere un concetto banalmente noto, non cambierebbe molto: è l’idealizzazione dell’impostura, secondo me, che genera mostri simbolici (ed in nome di cosa, se non della falsificazione simbolica, si sono commessi i peggiori delitti? Ogni grande strage è preceduta da una luminosa insegna)

  8. d’accordo per il san nicola turco, è noto, ma
    “Secondo alcuni esperti, comunque, si possono addirittura scomodare figure mitologiche come il teutonico Odino o il germanico Thor per scoprire le radici del dio portatore di doni”
    Così, per dire del mito, oltre che del simbolo.

  9. Il mito prevede che ci sia una figura (vecchio buono o bambino innocente) che esorcizzi l’inverno e la distruzione che questo porta con sè. Ma se per la religione cattolica prevale il bambino innocente, si capisce il perchè del rogo.
    Sarebbe interessante capire con cosa sostituire entrambi in epoca di politicamente corretto: vedasi la decisione di Bush di augurare Buone Feste anzichè Buon Natale.

  10. Lisa. Se hai letto il libro, criticalo.
    Se non lo hai letto e non intendi leggerlo, esponi pure i tuoi dubbi sulla sua legittimità: possibilmente, però, evitando sia gli slogan sia le allusioni gratuite.
    Molte grazie

  11. nel Genesi viene citato l’episodio del Melchisedek di Salem che offre pane e vino al soldato Abramo che, tornando dalla guerra, si trova a transitare sul suo territorio.
    il dono transitorio è biblico.

  12. Marina, la vita è transitoria, cio nonostante, bibbia o non bibbia, oggi il dono non ha più quel sapore che dava soddisfazione soprattutto a chi donava, ma è sempre più letto come un obbligo sociale regolato dalle severe logiche del marketing capitalistico.
    Azz, sembro Ratzinger 🙂
    Be’, comunque la vedo così, al di là di quelle che possono essere le motivazioni religiose di ognuno.

  13. Scusate l’OT.
    A volte troppe coincidenze cominciano a diventare veramente inquietanti.
    Due anni fa il Premio Napoli era dedicato a Raboni.
    L’anno scorso era dedicato a Luzi.
    Quest’anno era dedicato a Patroni Griffi.

  14. Un po’ OT, ma neanche troppo. Nel 1976, De Gregori scrisse uno dei suoi pezzi migliori: l’uccisione di babbo natale. Ucciso da due giovani – Dolly del mare profondo e il figlio dei figli dei fiori – con coltello e bastone, sotto l’effetto di un fungo. Cioe’, due no global ante litteram che uccidono il simbolo della multinazionale. Oggi il brano si intitolerebbe direttamente ‘kill-a-multi’.

  15. ehm… Lisa: non sono un no global. Credo che la mia scrittura sia lontana da Naomi Klein almeno quanto la tua lo è da ogni tentativo di critica senziente. Non ti macerare troppo nel risentimento, sei un buon troll in fondo.
    N. Lagioia

  16. Non dimentichiamoci che l’anglosassone Santa Claus altro non è che il buon vecchio San Nicola di pugliesi origini emigrato all’estero, ibridato con un paio di miti nordici e poi riconfezionato nel secolo scorso dalla Coca Cola ad uso e consumo di una serie di iniziative pubblicitarie.

  17. Un tempo, all’Università, c’era un’antropologa che chiosava Brecht e diceva “Sventurati i popoli finchè hanno ancora bisogno di simboli”.
    Mmm… ma noi comunichiamo per simboli, e non parlo solo della scrittura. Simboli, metafore, parabole, sono la base di una struttura sociale. Semmai il problema è la strumentalizzazione dei simboli, come fece la Chiesa medievale quando associò ad ogni rito e divinità locale pagana opportuno santo e altretanta opportuna ritualità cristiana.

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