LA POLITICA DEI TWEET E IL CORO DELL'ANTIGONE

“Consentitemi un riferimento a una delle grandi, forse la più grande, delle tragedie classiche, Antigone: non combattere battaglie che non sono le tue battaglie. Nella mia idea di Antigone, abbiamo Antigone e Creonte. Sono solo due sette della classe dirigente. Nella mia versione di Antigone, mentre i due membri delle famiglie reali stanno combattendo tra loro, minacciando di mandare in rovina lo Stato, mi piacerebbe vedere il coro, le voci delle persone, uscire da questo ruolo stupido di mero commento saggio, impadronirsi della scena, costituire un comitato pubblico di potere del popolo, arrestare entrambi, Creonte e Antigone, e dare vita al potere del popolo”.
Così Slavoj Žižek nove anni fa.  L’auspicio è bello, ma quale è il lavoro da fare per arrivare a far sì che il coro sia in grado di darsi voce invece di essere contrappunto alle voci principali?
In effetti teoricamente, in questi nove anni, sembra essere stato il coro a parlare. Molto. E anzi sembra non fare altro. E anzi ancora piomba a capofitto dove si parla di più, gridando più forte fino a che non si riesce a cogliere una sola parola, ma che importa? Che importa se la discussione si perde, e la complessità viene ridotta a slogan, che importa visto che più del bersaglio conta quell’istante in cui verrà percepita la voce del coro, che forse a quel punto più coro non è?
Poi c’è un coro che tace perché nessuno ascolta, o se ascolta dimentica subito. Se oggi è difficile ricordare Luana D’Orazio, morta un mese fa in un orditoio, figurati se ci dice qualcosa il nome, uno fra i moltissimi, di  Maria Baratto di Acerra, anni 47, operaia in cassa integrazione del reparto logistico Fiat a Nola, suicida nel 2014 in piena campagna elettorale per le europee mentre tutti dicevano in comizi e post che si era persa la dignità del lavoro. Penso al film dei fratelli Dardenne, e alla fabbrichetta di pannelli solari che deve ristrutturare, e dunque licenzia la dipendente e chiede ai colleghi di votare a favore del provvedimento in cambio di un bonus di mille euro. Due giorni, una notte, e la nostra fotografia: condannati a dire grazie in cambio delle briciole che cadono dalla tovaglia, e pensa se non ci fossero neanche le briciole, e poche fisime, per favore, che siamo in crisi.
Allora, per ridare parole a quella parte del coro che non le possiede, e per far sì che quella che dice di parlare in suo nome infranga lo specchio in cui viene condannata a riflettersi, il lavoro è lungo. E per proseguirlo bisogna ripulire l’aria dai veleni che siamo così abituati a respirare da considerarli la più fresca delle brezze.
Perché oggi la politica sembra essersi contratta davvero in un tweet: e se Roma finisce sott’acqua come è accaduto in questi due giorni invece di fare proposte si ritwittano i tweet del passato, in una spirale che non ha fine. E, no, non va bene.

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