LA PROFEZIA DI BRUCE

Fabio Chiusi intervista Bruce Sterling per L’Espresso. La visione di Sterling non si può certo definire ottimista. Forse, però, le profezie andrebbero evitate accuratamente. Forse.
Un mondo in cui la differenza tra reale e virtuale è scomparsa; dove la parola Internet ha perso significato, Facebook è solo un ricordo lontano e i nostri diritti come cittadini digitali sono stati ridotti all’osso; mentre Julian Assange langue in galera per decenni. è quello che ci aspetta tra una decina d’anni o giù di lì secondo Bruce Sterling. Classe 1954, texano, è tra i padri della letteratura cyberpunk, e quando si tratta di immaginare le società e le tecnologie di domani è tra le voci più autorevoli del mondo. “L’Espresso” lo ha intervistato.
Sterling, nel discorso di chiusura dell’incontro Reboot 11 lei ha detto che il futuro sta lasciando il posto a quella che lei chiama “atemporalità”. Di che si tratta?
“Prendiamo per esempio la domanda “cosa è successo nel 1912?”. Ecco, questa domanda è diversa in modo sottile ma importante dalla domanda “cosa posso trovare con dei computer su cosa è successo nel 1912?”. Bene, questa differenza spiega come viviamo ora: abbiamo raggiunto uno stadio in cui un sistema operativo si frappone sempre tra noi e la cultura. Google Books, per esempio, ha migliaia di testi storici disponibili, ma una volta che questi vecchi testi sono stati digitalizzati, sono tutti ugualmente nuovi, perdono la loro rarità, la loro esclusività e tutti i segni fisici del passare del tempo. Lo stesso si può dire di musica e film”.
Con quali conseguenze?
“Il nostro patrimonio culturale ne esce appiattito, diventa atemporale perché i segnali che ne mostravano il suo essere vecchio o nuovo sono cancellati. La cultura del “mashup” che un tempo era tipica della musica rap e techno è ora disponibile per tutte le proprietà della cultura digitalizzata. Una volta che non vedremo più il passato come una narrativa direzionale – “progresso”, con una certa inesorabilità – allora rielaboreremo le nostre idee sul “futuro”. Nell’atemporalità non c’è un futuro, ci sono scenari articolati attraverso processi di ricerca che sono dipendenti da Internet. “Che accadrà domani?”. Beh, prima di tutto lo chiediamo a Google”.
Come cambierà la nostra esperienza di Internet?
“La velocità, la banda e la capacità di memorizzazione incrementeranno radicalmente. I dispositivi che usiamo diventeranno più leggeri e mobili. La parola “Internet” sparirà come è sparita l’espressione “autostrada dell’informazione”. La distinzione artificiale tra “virtuale” e “reale” perderà il suo significato”.
Lei ha detto che anche Facebook ha “i giorni contati”. Perché?
“Perché è ovvio. Consideri i cupi destini dei suoi antenati Friendster e MySpace. Facebook è un social network basato sull’annuario di un college. Perché un social network avanzato dovrebbe assomigliare all’annuario cartaceo di un college? Facebook è un ibrido maldestro, vulnerabile alle stesse forze innovative che lo hanno prodotto. E non si è garantita alcuna sicurezza in questa battaglia: è un’azienda che deve ancora fare profitto. Molte muoiono giovani, e nel settore high tech conducono vite particolarmente rischiose”.
Cosa ci sarà al suo posto tra dieci anni?
“Non i blog, che scompariranno anche più velocemente dei social media come Facebook. Qualcosa di nuovo rimpiazzerà i nostri media attuali, qualcosa che sia più adatto alle circostanze tecniche di domani: macchine più veloci e potenti sotto ogni aspetto. E non c’è ragione di pensare che i media digitali si stabilizzeranno presto. Ci mancano le parole per ciò che verrà. “Ubiquità” è una parola abbastanza adeguata. Non significa molto, ma ha un bel suono mistico”.
Questi nuovi media, come già gli attuali, avranno un’influenza politica. Renderanno più o meno facile promuovere la democrazia nel mondo?
“Anche se l’architettura di una macchina ha forti implicazioni politiche, è sbagliato pensare che i nostri strumenti possano essere la salvezza politica. È romantico credere che degli strumenti ci possano mai liberare dai nostri stessi impulsi. Perfino un mondo interamente democratico avrebbe di che combattere; ci sarebbero sofferenza, povertà, gruppi privi del diritto di voto, conflitti generazionali, rivalità religiose, la condizione umana”.
E il ruolo dei social media nelle rivolte?
“I social media suonano promettenti e divertenti se tu stesso non sei vittima di una rivolta basata sui social media. Immagini un’orda di giovani senza legge: gente povera, arrabbiata, ma con gli smartphone, che viene a saccheggiare una stazione di polizia, bruciare la tua casa e arrestarti. Il destino non ti suonerebbe tanto piacevole. Può scommettere che se ci fossero rivoluzioni tramite social media nelle strade di Roma, Bruxelles o Washington, troverebbero un altro nome in un battibaleno”.
Per ora tuttavia abbiamo account di attivisti chiusi senza motivo.
“È problematico per una compagnia il cui fine è il profitto gestita da imprenditori statunitensi diventare una piattaforma per l’attivismo politico”.
Dunque lei è d’accordo con Peter Ludlow, quando dice che i nostri social media attuali sono gestiti da “divinità greche”?
“Mark Zuckerberg non è una divinità greca, ma un magnate dei media. Non è Gandhi. Ma anche se fosse Gandhi a gestire Facebook, non aiuterebbe molto”.
Nessuna “dittatura”, insomma.
“Zuckerberg non è un dittatore. Non abbiamo ancora avuto un dittatore che si sia costruito il suo social media nel modo in cui, per esempio, Hitler e Goebbels hanno costruito i media nazisti. Concordo però sul fatto che i social media abbiano molte caratteristiche senza legge e arbitrarie. È perché abbiamo abbandonato così tanti aspetti della nostra società a forze di mercato. Non abbiamo molti dittatori, ma abbiamo molti magnati e un’economia distrutta che impoverisce la classe media. La democrazia, inoltre, è stata resa precaria in molti modi dall’inizio della Guerra al Terrore. E trovo allarmante l’avvento della cyberguerra: alla gente non piace sentire usare quel termine, ma ci sono un network serio di spionaggio sponsorizzato dallo Stato e molte nuove armi di oppressione potenziale e attuale, da parte di gruppi hacker fuori e dentro il governo”.
Lei ha coniato l’espressione “favela chic”: una situazione in cui si finisce per accettare qualunque limitazione dei propri diritti pur di essere popolari su Facebook, per esempio. È questo il futuro che ci aspetta?
“La mia esperienza con i diritti civili è che devono essere esercitati perché servano; sono una forma di comportamento civile, non qualcosa che puoi rinchiudere in un contenitore di vetro o proteggere con un codice-macchina. Gli immigrati clandestini sono forti utilizzatori di Internet, perché ne hanno bisogno per sopravvivere, ma hanno davvero pochi diritti civili. È facile immaginare un mondo dove quel tipo di precarietà legale e civile si applichi alla maggior parte di noi”.
La net neutrality sarà morta entro i prossimi dieci anni?
“È già morta in diversi luoghi. Il net stesso potrebbe essere morto in dieci anni. Ai patiti di smartphone piace parlarne come dell'”Internet antiquato”, perché lo considerano una rete noiosa e fuori moda senza un modello di business adeguato. Molti aspetti dell’Internet “pre-web” sono scomparsi”.
Nel futuro il leaking digitale sarà la regola, più che l’eccezione?
“Sto aspettando di vedere se le agenzie di Intelligence inizieranno a divulgare documenti sensibili senza il bisogno di intermediari come Julian Assange e i suoi contatti nella vecchia stampa. In altre parole, i leak passeranno dal titillare scandali mediatici a essere strumenti deliberati di operazioni altre dalla guerra? Se ciò accadrà, e mi sembra plausibile, allora avremo visto davvero un cambiamento decisivo”.
Ma Assange dovrà pagare per tutti?
“Molti dei tentativi di restrizione contro Assange sono stati o extralegali, come impedirgli l’accesso ai pagamenti via carta di credito, o non pertinenti con le sue azioni politiche, come per le accuse di stupro. Dubito che finirà sotto processo per le sue attività di leaking, ma ci sono buone probabilità che Assange finisca ridotto al silenzio e in prigione”.

9 pensieri su “LA PROFEZIA DI BRUCE

  1. Intanto – non è che se uno scrive di Cyberg punk pol’essere automaticamente il vate del cosmo. Non mi da molta autorevolezza questa cosa.
    PEr il resto – si ci sono tracce interessanti, in cui mi trovo d’accordo – mi irrita per esempio la sacralizzazione della rete, l’ipostatizzazione di Internet, anche se nel nostro contesto ancora ci manca assai. E mi piace molto quella faccenda della favela chic. Tuttavia il tono di fondo, oy oy oy, siamo rovinati ah o tempora o mores uh insomma mi respinge e secondo me fa perdere lucidità e complessità.

  2. Mah, più che un analisi su internet bisognerebbe farne una sulle fonti di energia e sull’acqua. Sarà su queste due forniture che ci “giocheremo” il futuro.

  3. D’accordo con Valberici; a volte si ha quasi l’impressione che alcuni intellettuali ci stiano già abitando nella “favela chic”

  4. Mah… Quanto Sterling dice sui libri di storia digitalizzati ricorda le tesi sulla perdita dell’autenticità dell’opera d’arte contro le quali, a giusta ragione, Benjamin scrisse il suo trattatello sulle nuove forme di arte riproducibili (ad es. il cinema). Il testo storico in sé rimane nella sua biblioteca, e non perde nulla del suo valore di testimone storico (io stesso non perdo occasione per ripassarmi le tecniche di legatura sui libri d’epoca esposti in certe biblioteche). Ma la sua funzione viene moltiplicata dall’accessibilità con un clic che sostituisce una giornata di viaggio per raggiungere, poniamo, la Nazionale di Firenze (dove poi, una volta estratta dalla sua cuccia la polverosa raccolta dei quotidiani del 1923, tocca fotocopiare e microfilmare per poter studiare con calma le cronache). E la possibilità di trasmettere il testo con un clic accresce la possibilità della dimensione publbica di massa che, in una biblioteca, è più virtuale che reale (cioè esperita). Insomma, un libro di storia non è “un libro di storia” perché è un oggetto storico: lo è perché ha la funzione di narrare la storia.
    Quanto alla distinzione tra “reale” e “virtuale”: io ci andrei piano. Il problema è cosa viene percepito come reale e cosa no. In Egitto c’è una stele che racconta una guerra nella quale l’esercito guidato dal faraone sconfisse gli Assiri: ma quella stele racconta una guerra virtuale (in quella reale gli egizi presero una pagata e ritornarono sul Nilo laceri e pesti), che è stata a lungo creduta “reale” solo perché incisa nella pietra a colpi di scalpello e mazzuolo. E ha svolto una funzione performativa, ossia prodotto effetti nel reale (il mantenimento del prestigio del faraone nelle generazioni a venire, ecc.). Trovo più sensate, invece, le prese di distanze dalla richiesta di conferma di una ipotetica dittatura cyber-nazi. Noi tendiamo a dimenticare, per un verso, il potere di controllo delle polizie segrete in Germania e in URSS, ma anche in Italia (anche Mussolini fu intercettato dalla CECA) e nella Russia zarista. E per altro la facciamo troppo facile con le analogie, saltando a pié pari il confronto tra le veccie e le nuove forme del controllo sociale, la trasformazione stessa del controllo, e quindi delle soggettività sototmesse a un potere che non è più quello monocratico o monarchico, ma reticolare e diffuso: un potere le cui forme precedono (e non derivano) le attuali tecnologie potenzialmente utilizzabili a fini politici.

  5. Ho scoperto che Bruce Sterling vive a torino. E questo potrebbe aver offuscato le sue antenne radar.
    Oltretutto, secondo me, ha dimenticato la grande lezione della fantascienza: fare profezie sul presente, non certo del futuro.
    Come sarà l’Italia, l’Europa, il Mondo tra 20 anni?
    L’unica cosa certa è che nessuno può davvero immaginarlo. Abbiamo da un bel pezzo sorpassato il punto di non ritorno, in cui le generazioni seguivano alle generazioni precedenti sui solchi della tradizione.
    Nessuno può realmente prevedere quale potrà essere il futuro tecnologico, cosa si inventerà e via dicendo. Siamo anche 6 miliardi e mezzo di persone. Eppure pochi matti possono ancora farlo saltare in aria questo pianeta.
    Questa totale incertezza però non è per niente pessima. Significa soltanto che possiamo tutti sbagliarci. E visto che le previsioni tendenzialmente sono pessimiste, non è meglio così?
    *
    I miei 5 cents in modalità Tiresia sono questi: le macchine. Pensiamo a quanto potranno ancora ulteriormente modificare le nostre esistenze. Da Marx a Gesù, bisognerà ripensare molte cose in tale prospettiva…

  6. Il pessimismo un po’ disilluso di Sterling mi sembra un controcanto un po’ snob all’entusiasmo telematico generale.
    Alla fin fine però mi sembra che il dominio sulla massa sia ancora televisivo, almeno da noi, e almeno finché gli over sessanta non saranno la maggioranza della popolazione, la banda larga non sarà ovunque e diffusa e bisognerà ancora scrivere su una tastiera per trovare le cose in rete.
    In ogni caso la grande notizia rivoluzionaria credo che sia il rendersi conto che con l’aumentare delle informazioni disponibili la cultura generale continui a diminuire, che dico… …precipitare.
    Hanno fatto un servizio a ‘le iene’ su degli pseudo esorcismi in una chiesa di notte che erano in realtà delle riunioni di psicodramma per rincoglioniti, in cui persone varie dopo aver rotolato sbavato e imprecato un po’ andavano fuori a fumare e raccontare come stava bene dopo che il prete gli aveva tolto il diavolo da dentro e che sarebbe tornata la settimana successiva.
    Una roba che nemmeno in africa…
    Altro che rielaborare le idee sul “futuro” qui bisogna insegnare quale è la mano destra e quale la sinistra.
    Porterei Sterling a un circolino di provincia a giocare a tressette e chiedere dove può trovare uno spot wi fi.
    A me per un problema con la compagnia telefonica mi hanno fatto fare bollettino postale e fax, gli ho chiesto; “scusi ma siete una compagnia di telecomunicazioni, non potete prelevare dal credito telefonico? oppure vi faccio un pagamento on line?” No, mi fa la tipa, bollettino alla posta e fax.
    Poi il numero verde era guasto per tre giorni.
    ….
    D.

  7. d’accordo con Ekerot. Il discorso di Sperling sull’appiattimento del patrimonio culturale e via discorrendo è molto opinabile, ed è inusuale da un autore di fantascienza, soprattutto cyberpunk, che è il non plus ultra della “profezia sul presente” di cui parlava l’utente sopra.
    La tecnologia è destinata a valorizzare la cultura, non ad appiattirla, almeno secondo il mio modesto parere. Il fatto che questo vada giù assolutamente non a tutti gli addetti ai lavori, spesso restii in Italia alle innovazioni, è un loro problema.
    Tratto occasionalmente questo genere di argomenti sul mio blog (soprattutto relazionati all’editoria, ebook, social reading, etc..), venite a visitarlo se volete.

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