Perché la re-genderizzazione (continuiamo a chiamarla così) applicata alla letteratura è una gabbia e non un passo verso la libertà? Intanto, perché costringe chi scrive, ma le scrittrici in primo luogo, a seguire, volendolo o no, consapevolmente o no, uno schema che le avvicini alle lettrici. Attenzione, non sto dicendo che al momento esiste una divisione netta che vede lettrici che leggono scrittrici e lettori che leggono scrittori. Evidentemente non è così. Evidentemente sto parlando di una tendenza in atto e non di una mutazione già avvenuta. Eppure i segnali cominciano a esserci.
Quando, nei gruppi di lettura che pullulano su Facebook, si chiedono consigli per libri adatti allo stato d’animo o alla circostanza del momento, si espone una certa idea di letteratura come accompagnamento, intrattenimento, rispecchiamento. Ci sta. La letteratura può essere anche questo. Ma è anche scardinamento di mondi, messa in crisi di quei mondi, suscitatrice di dubbi, esploratrice di linguaggi. Che cosa viene domandato oggi alla letteratura? E dobbiamo considerare come tale quella più algida, che si distacca volutamente e a volte sprezzantemente dal lettore e dalla lettrice chiedendo loro una prova e non solo un viaggio in comune? In altre parole: si sta o no facendo di nuovo sentire quella spaccatura, quella forra, che fino a non molto tempo fa divideva alto e basso? E sull’altro fronte quanto chi scrive si piega, ripeto, con determinazione o sottopelle, ad accontentare il lettore, a favorirne il rispecchiamento?
Il post di ieri sull’identity politics entra eccome in questo discorso. Perché la frammentazione del narrare in nicchie di mercato (questo per le donne, questo per le persone LGBTI, questo per gli e le afrodiscendenti, eccetera) è un rischio gigantesco. Che, certo, va a rilanciare, come detto mille volte, istanze sacrosante: la visibilità, intesa come riconoscimento di presenza e autorevolezza, delle donne, delle persone LGBT, delle e degli afrodiscendenti, eccetera ancora una volta. Ma quando, ribadisco, ci si mette di mezzo il mercato siamo nei guai.
E allora forse dovremmo scardinarla quell’icona schiacciante della lettrice, quanto mai gradita agli scrittori di ogni tempo, che si compiacciono della fedeltà e della passione femminile nei confronti dei libri. Perché queste benedette lettrici saranno anche strapazzate a più riprese, e da non pochi scrittori: ma senza di loro quegli stessi scrittori, come sappiamo, non venderebbero. Per inciso, anche i pittori subiscono con regolarità il fascino di una figura di donna immersa nella lettura: che sia seduta in uno dei prati fioriti di Monet, che sorrida appena come la lettrice di Renoir, che si abbandoni insieme alla mollezza del divano e alle seduzioni del volume, come nel famosissimo quadro di Federico Faruffini, quella creatura viene gratificata dall’approvazione dell’artista, come se stesse facendo qualcosa di giusto e di consono. Esiste, insomma, una mistica della lettura femminile che viene esibita orgogliosamente per avvalorare una certa, dolciastra superiorità morale e intellettuale delle donne sugli uomini. Che brave, le donne, che brave: leggono. In tutti, tutti i rapporti sulla lettura si dice che le donne leggono più degli uomini, che le ragazze leggono più dei ragazzi, le bambine più dei bambini. Non trovo nulla di confortante in questi dati. La lettura dovrebbe essere incrementata fra le donne e gli uomini. Forse, essere meno soavi, meno accondiscendenti, meno pronti a seguire le profilazioni (se hai letto questo, prova quest’altro), e persino l’andamento delle classifiche, sarebbe un bene per tutti.
“I gruppi di lettura, i reading, i resoconti delle vendite ci ripetono tutti la stessa storia: quando le donne smetteranno di leggere, il romanzo morirà” (Ian McEwan, Guardian, ottobre 2005)
Detto questo: cosa facciamo, noi lettrici, per uscire fuori da quella Mistica un tantino ipocrita quando ci rappresentiamo come tali? Chi diciamo di essere quando ci diciamo, e ci presentiamo come lettrici? Siamo consapevoli del gioco simbolico in cui ci infiliamo o no? Se la risposta è positiva, benissimo: ognuna è libera di agire ogni ruolo. Se la risposta è negativa, forse abbiamo un problema: ed è quel problema che ci fa fotografare un libro in circostanze estetiche confortevoli e rassicuranti, fra dolci e bevande. E non, per dire, in un barile di chiodi.