LA SOLITUDINE DEGLI STATISTICI: FEMMINICIDI, SCUOLA E ALTRI FRAINTENDIMENTI -2

Quando si iniziò a discutere con frequenza di femminicidio fiorirono come belle pratoline i paladini del fact checking, che scuotendo la testa dissero eh no no, brutte fissate, il femminicidio non esiste.  Fecero negazionismo, e la parola non piacque ad alcuni di loro, che difatti usarono il modello della femminista cattiva come siparietto comico, finché non pubblicarono il loro bel librino e vissero felici e contenti occupandosi d’altro. Perché richiamo quella vicenda? Perché l’uso dei numeri da parte di chi dei numeri non si occupava fu esemplare. E nella seconda puntata del suo intervento Maurizio Cassi lo ricorda benissimo. Buona lettura (segue domani e dopodomani e insomma fino a venerdì).
3 Prendiamo il caso del femminicidio, esploso due o tre anni fa. Ottenere numeri in materia non fu (e non è) affare semplice, perché non esistono statistiche dedicate al fenomeno: fatto, questo, stigmatizzato anche dall’ONU. Comunque, con molta fatica e incrociando più fonti, si arrivò a stimare un numero di donne uccise ogni anno “in quanto donne” (questa è infatti la definizione di femminicidio) nell’ordine di 120 – 130 persone; al netto, presumibilmente, di vittime che resteranno per sempre ignote nel giro del mercato clandestino del sesso: lì sono costrette a lavorare le donne oggetto di tratta, che sono quasi sempre ignote ad ogni anagrafe e non lasciano traccia, in caso di scomparsa. Su questo numero e sul fatto che si trattasse della parte visibile di un fenomeno di violenza ben più vasto ai danni delle donne si sono esposti in molti; in particolare Linda Laura Sabbadini, direttore centrale ISTAT. Ma non è bastato: un gruppo di autoproclamatisi fact checker, con nessun’altra competenza che non fosse lo scetticismo a priori, si è dato a scrivere una serie infinita di post in cui si leggevano, testualmente, affermazioni come “questi numeri sono tutti sbagliati”; i più agguerriti, vale la pena ricordarlo, erano un paio di giornalisti senza alcuna competenza quantitativa, un docente di scienze politiche e un notaio. Per gli appassionati del genere, ricordo che su questo blog la polemica infuriò a lungo, con una serie di post e di commenti infuocati. Valga per tutti questo esempio, di cui è vivamente consigliata la lettura dei commenti, in cui si arrivarono a sostenere tesi come quella, incredibile, secondo cui il fenomeno aveva raggiunto il suo minimo fisiologico e la prova sarebbe stata proprio l’Italia, in cui il numero di donne uccise “in quanto donne” era più basso che nella maggior parte degli altri paesi. Meno originale e molto sbandierata, invece, l’affermazione “Il femminicidio non esiste”, basata sul fatto che le vittime di omicidio sono più spesso uomini che donne e che nel derby uomini-contro-donne che tanto appassionava alcuni dei suddetti fact checker c’è anche qualche vittima di sesso maschile (un uomo vittima di donna ogni sette donne vittima di uomini, all’incirca).
Ora, il fact checking è certamente un’attività meritoria e anzi ce ne sarebbe un gran bisogno, in quei talk show politici in cui l’ospite è lasciato libero di sparare ogni sorta di panzane senza che nessuno si azzardi a (o sia capace di) contestarlo; ma non è una cosa seria, se a praticarlo sono soggetti senza alcuna competenza nella materia che vorrebbero demistificare. E che competenze statistiche potranno mai avere due giornalisti d’opinione, un docente di scienze politiche e un notaio? Chi certifica la loro capacità di leggere i  numeri meglio degli altri? Circostanza dalla quale sorge di nuovo la domanda, ormai reiterata: ma perché così tante persone sentono il bisogno impellente di opporsi a una realtà certificata da autorità certo più competenti di loro? Come l’ISTAT, massima autorità nazionale in fatto di statistica, che si è esposto sia nel caso dell’indagine sulla (non) lettura che rispetto alla violenza sulle donne, e in particolare sul femminicidio.
4. Questa vicenda ha un nome e un cognome: Stefano Feltri. Il suo intento, almeno apparentemente, è opposto a quello dei fact checker di cui sopra: non difendere, non minimizzare, ma anzi enfatizzare, allo scopo di dare addosso. A cosa? Nel caso specifico, agli studi umanistici. Scrive il nostro sul Fatto Quotidiano, commentando e riassumendo quello che viene presentato come “uno studio” redatto da “economisti”: “I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. … fare studi umanistici non conviene, è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere”. Peccato che lo studio citato a) non sia uno studio, ma solo una bozza non ancora sottoposta  a peer review  e b) dica cose completamente diverse da quelle che lui ha capito e preteso di spiegare agli altri. Per esempio, nel documento originale si legge: “Dal punto di vista dell’uguaglianza di genere, però, la sorpresa è che le donne ottengono valori superiori agli uomini solo nel campo umanistico … Come dire che solo e unicamente in questo settore una brava laureanda fa meglio del suo collega uomo”. Non si può nemmeno si può dire che il documento originale dica il contrario rispetto a Feltri: dice proprio un’altra cosa. Tutto questo è presentato da Feltri frammisto ad altre perle, come lo scambiare una differenza espressa in unità standard (tanto per capirci: qualcosa che assomiglia a una percentuale) per uno scostamento in “migliaia di euro”. Qui il link per chi volesse divertirsi fino in fondo: http://www.roars.it/online/stefano-feltri-e-le-lauree-inutili-i-dati-questi-sconosciuti/.
5. Le valutazioni scolastiche sono un terreno molto scivoloso, come tutto ciò che coinvolge i nostri figli. I test INVALSI hanno suscitato una marea di polemiche e pare che, effettivamente, anche i paesi che hanno adottato prima di noi analoghi strumenti di valutazione stiano avendo ripensamenti. Secondo vari studi, infatti, i test distorcerebbero gli obiettivi stessi della didattica, ormai spesso rivolta più al superamento dei test che all’apprendimento, e genererebbero ansia sia nei docenti che negli studenti. Simili ai test INVALSI, nel metodo, sono le valutazioni PISA dell’OCSE, che a intervalli pluriennali valutano i sistemi scolastici dei diversi paesi.
Su questo, niente da dire. Molto probabilmente, vista la quantità e l’autorevolezza delle voci critiche, l’intero processo valutativo andrebbe ripensato. Il problema è che una pattuglia molto agguerrita di docenti, genitori e studenti è partita da qui per criticare non il metodo utilizzato per le valutazioni, ma la stessa ragion d’essere delle valutazioni stesse, arrivando al boicottaggio dei test. Le ragioni addotte sono diverse: da una visione romantica della scuola, che sarebbe fatta di maestri e allievi e del loro complesso rapporto (ovviamente non misurabile, ca va sans dire) al rifiuto puro e semplice di sottoporsi a un giudizio quantitativo, passando per la critica al metodo dei test standardizzati. Sfugge clamorosamente all’attenzione dei contestatori la dimensione collettiva e transnazionale della scuola, che è ciò che rende necessario un processo valutativo. Per esempio: ci sono istituti più generosi di altri nel voto di diploma, che fa punteggio nei concorsi pubblici e nella selezione per l’accesso alle università internazionali; come si fa ad eliminare questa distorsione se, a priori, se ne impedisce la misurazione? O, ancora: come faccio a sapere quali aree devo rafforzare in una scuola se non posso misurare l’apprendimento delle diverse discipline? Anche qui, emerge potentemente l’avversione di moltissimi italiani per tutto ciò che è misurazione, quantità, numero: il numero è freddo, fa paura, mette a disagio, richiama la cultura arcigna e inesorabile della contabilità aziendale. O, più banalmente: non saremo forse spaventati da una valutazione che potrebbe mettere a nudo qualche nostra carenza?
(segue domani)

16 pensieri su “LA SOLITUDINE DEGLI STATISTICI: FEMMINICIDI, SCUOLA E ALTRI FRAINTENDIMENTI -2

  1. Il Godzilla del 1998 – ennesima variazione sul tema del lucertolone radioattivo – incassò meno di quanto si aspettasse la produzione – con l’effetto di non esser seguito l’anno dopo da una nuova avventura, deludendo i fans del mostro che hanno atteso tre lustri prima di rivedere il loro eroe – probabilmente a causa dello slogan x il lancio che suonava ” le dimensioni contano “.
    Valutazioni che mettono a nudo una qualsivoglia carenza spaventano.
    Io non ho visto il film. Nonono. Non che abbia paura di un coso di gomma con le cerniere mal mimetizzate che saltella x la Mini-Italia. O la Mini-Tokio. Sempre che non sia stato realizzato in altro modo. Ricordo una Carrà che cantava Come è bello far l’amore da Trieste in giù saltellando tra micro Duomi e micro Colossei, ma ero bimbo e temevo solo carenza planetaria di Nutella…

  2. Cari Cassi e Lipperini, sul femminicidio avete preso una cantonata.
    E giustamente è bene che la seconda dia spazio al primo, scudiero che di quel dimenticato e dimenticabile scivolone editoriale ne era il fragile supervisore, in ossequio al motto latino del simul stabunt simul cadent. Capita a tutti. Se poi qualcuno nutre il bisogno consolatorio di sublimare un analfabetismo da matematica elementare e elaborare il lutto (metafora da prendere alla lettera) con questi vademecum di statistica prêt-à-porter, lo capiamo.
    Per il resto mi pare che specificatamente al punto 3 le parate a vuoto del Cassi rintuzzino argomentativamente a uomini di paglia. Le critiche mosse a voi apocalittici del femmincidio NON riguardavano per niente la statistica, limitandosi da quel punto di vista a constatatare come irrilevante un fenomeno di percentuale 4,3*10^-4 sulla totalità potenziale di tutte le relazioni umane affettive esistenti in Italia. Quindi sanzionare i critici con l’argomento della non competenza statistica quando bastava, avanzava e fu usata solo quella delle 4 operazioni di quella licenza elementare che dovrebbe aver conseguito anche Lipperini, è fuorviante.
    Entriamo nel merito, anche se ormai il livello di sclerosi e dissociazione degli affermazionisti è tale da impedir loro di fare marcia indietro, rispedendo gli argomenti ai mittenti con l’invettiva illusoria di una reductio ad hitlerum parentale al grido di: “negazionisti!”.
    Ottenere numeri in materia non fu (e non è) affare semplice, perché non esistono statistiche dedicate al fenomeno: fatto, questo, stigmatizzato anche dall’ONU. Comunque, con molta fatica e incrociando più fonti, si arrivò a stimare un numero di donne uccise ogni anno
    Fu semplicissimo ma sbagliaste subito. Dribblato il raporto sulla criminalità del Ministero degli Inteni, vi affidaste al regesto numerico della Casa delle Donne di Bologna senza verificare il fatto che fosse preso a sua volta dal sito Bollettino-di-guerra.noblogs.org (che ottiene i dati dall’analisi quotidiana e certosina di tutti i quotidiani nazionali e regionali), e senza ulteriormente verificare che il numero delle morte includeva pure i morti maschili, i parenti e i partecipanti eventuali al momento dell’omicidiooltre ai casi di pietas in avanzata età tra coniugi di cui lei affetta da malattia, etc.
    Bollettino di Guerra, l’anno successivo, decise di suddividere le categorie dopo le polemiche ricevute per un uso strumentale ed errato dei suoi dati. Voi dormivate. Quell’anno le uccise non furono 120-130 bensì 50 di meno. Quella era una delle critiche mosse, ma voi avete fatto gli indiani. Ma andiamo oltre.
    al netto, presumibilmente, di vittime che resteranno per sempre ignote nel giro del mercato clandestino del sesso: lì sono costrette a lavorare le donne oggetto di tratta, che sono quasi sempre ignote ad ogni anagrafe e non lasciano traccia, in caso di scomparsa
    Lei ipotizza un mondo numericamente rlevante in cui le donne vengono sciolte nell’acido o bruciate o seppelite e mai ritrovate. Da dove tragga e come verificare queste ipotesi lo sa solo lei ma siccome si accorge benissimo da solo che il fenomeno ha numeri non percepibili sociologicamente parlando, aveva bisogno di lanciare là la velata insinuazione sulla punta di un iceberg.
    Su questo numero e sul fatto che si trattasse della parte visibile di un fenomeno di violenza ben più vasto ai danni delle donne si sono esposti in molti; in particolare Linda Laura Sabbadini, direttore centrale ISTAT
    Laura Sabbadini passerà alla storia come una delle più ideologiche e incompetenti direttrici di statistica che l’Istat ricordi. Le critiche che furono mosse allo studio dell’Istat del 2007 a tema violenza femminile, vero e proprio totem inindagato per i millenaristi del femmincidio, rimangono inalterate e ficcanti. Lei avrebbe dovuto, per una volta almeno, criticare le modalità dell’indagine entrando nel merito. Ma forse malignamente eccelleva in statistica ma difettava in semantica e perciò, preso dalla sua astratta e ideologica difesa della sua Chiesa Istat, non deve ancora aver capito che le domande sottoposte al campione in quella occasione permettevano di definire come violenza fisica o sessuale e, si badi bene, contabilizzarla all’insaputa dell’intervistata per gonfiare i numeri, quello che per la maggior parte delle intervistate e di noi tutti, NON è ascrivibile alla violenza. Quindi ha sanzionato i suoi critici non capendo che il metodo errato di quello studio non era nell’inferenza statistica ma nella interpretazione semiotica.
    Quanto al minimo fisiologico continua a impuntarsi non avendo capito il senso comune e retorico dell’affermazione usata dai più. Sta a lei dimostrare che un fenomeno può essere portato a zero in linea teorica e soprattutto se e come può essere portato a zero in pratica.
    Infine, per chiudere con il femminicidio e per chiarire per quali motivi sia stato affermato dai critici che NON ESISTE: pensare che gli assassini abbiano ucciso Gina Pina o Lina, mogli, ex o amanti IN QUANTO DONNE corrisponde al negare che le abbiano uccise IN QUANTO Gina, Pina o Lina. Se avessero avuto spregio delle donne avrebbero ucciso a caso, così come le persecuzioni religiose o razziali agivano con metodo indiscriminato e non nominalmente. Invece hanno ucciso precisamente loro e non altre perché non ce l’avevano con LA donna ma con QUELLA donna. Che gli uxoricidi abbiano perso la testa nell’assassinio, orbati da passioni deviate e incapacità di accettare la scelta altrui di chiudere, è evidente nel fatto che olte la metà si è costituita e comunque quasi tutti non hanno ucciso costruendosi alibi ma in preda a raptus.
    Il riconoscimento, anche mediatico, del raptus ovviamente non è giustificazione o condivisione dell’atto ma mera spiegazione.

  3. Non entro nel merito del dato statistico e della sua leggibilità, ma non credo – opinione personale e sindacabilissima sia chiaro ( sono segnato assente anche quando partecipo alle assemblee condominiali ) – che uccidere quella donna in quanto è quella donna, con un nome ed un cognome ed una storia che ho diviso con lei almeno in parte e forse ho usato come miccia del mio raptus, non qualifichi la cosa come femminicidio, ovvero omicidio di persona umana in quanto donna.

  4. Non che abbia mai ucciso altro da quelle cosine che fanno zzz nella camera di Crepascolino. Ad una manciata di gg da Halloween e dalla fine della Expo. Mm.

  5. Ringrazio hommequirit per essersi palesato. Avevo programmato un’esercitazione a beneficio degli interessati contando sul suo intervento, ma il suo ritardo cominciava a farmi temere che avrei dovuto rinunciare. So però che è persona precisa e lo scuso senz’altro per non aver collaborato da subito: avrà avuto i suoi legittimi impedimenti.
    Cominciamo dunque ad esaminare l’interessantissimo materiale che il nostro amico ci propone, interpretando da par suo la parte del negazionista livoroso e incompetente quale nella vita sicuramente non è; ma noi conosciamo questo suo avatar, e volentieri approfittiamo delle qualità che ci manifesta qui, in rete.
    1. Hommequirit parte con un grande classico: lo straw man. Finge di non sapere cosa ho detto veramente e mi attribuisce affermazioni diverse, in modo da avere un bersaglio per la sua critica, che altrimenti non avrebbe alcun appiglio; si noti, anche, che usa sempre la prima persona plurale: “voi avete detto”, voi avete fatto”, come se non stesse parlando con un essere umano in carne e ossa ma con un’ipotetica collettività malefica (una roba tipo la Spectre). Nel dettaglio: “Dribblato il raporto sulla criminalità del Ministero degli Inteni, vi affidaste al regesto numerico della Casa delle Donne di Bologna senza verificare il fatto che fosse preso a sua volta dal sito Bollettino-di-guerra.noblogs.org (che ottiene i dati dall’analisi quotidiana e certosina di tutti i quotidiani nazionali e regionali)”.
    Altri, è vero, basarono le loro analisi su quei dati; io fui tra quelli che li criticarono e ricorsi (forse fui il primo, in quella polemica) al rapporto del Ministero dell’Interno del 2006. Dal quale si evinceva che le donne morte, lungi dall’essere le 50 che il nostro amico finge di calcolare, erano sì molte meno di 160 o giù di lì, ma oscillavano tra le 85 e le 120 a seconda del criterio adottato per il macabro conteggio. Spero mi si perdonerà qualche possibile imprecisione, ma sono costretto ad andare a memoria; purtroppo ho un lavoro pressante e non ho modo di rimettermi a compulsare i dati.
    2. Nel contesto c’è un vero colpo a effetto, che può forse rientrare nella categoria “horse laugh”: ridicolizzo l’avversario rappresentandolo caricaturalmente (nel caso specifico, come “scudiero” di Loredana).
    3. Il nostro amico prosegue con un magistrale esempio di rovescismo, tanto più spettacolare in quanto applicato al metodo scientifico: lui afferma che il dato italiano sul femminicidio è un minimo fisiologico (perché, non è però dato saperlo), ma rovescia l’onere della prova su chi gli chiede di dimostrarlo. Eppure, da Galileo in giù, è chi fa un’affermazione a doverla dimostrare, non il contrario. Ma, per esperienza, so che questo stratagemma funziona quasi sempre; il nostro è un talentuoso e non poteva certo esimersi dal proporlo.
    4. Altro straw man: “ ‘al netto, presumibilmente, di vittime che resteranno per sempre ignote nel giro del mercato clandestino del sesso: lì sono costrette a lavorare le donne oggetto di tratta, che sono quasi sempre ignote ad ogni anagrafe e non lasciano traccia, in caso di scomparsa’. Lei ipotizza un mondo numericamente rilevante in cui le donne vengono sciolte nell’acido o bruciate o seppellite e mai ritrovate”. Qui hommequirit perde un po’ di smalto e si limita a dire una cosa non vera, in quanto io non ho fatto alcuna ipotesi su quante donne possano essere vittima di femminicidio nel mondo clandestino della prostituzione. Molto facile dimostrare che è proprio così, visto che è lui stesso a riportare la mia frase.
    5. C’è poi un tentativo di ridurre il fenomeno all’irrilevanza, ma un tentativo molto creativo: i femminicidi sono pochi, appena 4,3*10^-4, ma non in rapporto alla popolazione: il colpo d’ala sta nel rapportarli alla “totalità potenziale di tutte le relazioni umane affettive esistenti in Italia”. Stimate però non si capisce bene come, probabilmente moltiplicando il numero delle donne in età fertile per quello degli uomini più o meno coetanei, ma qui non ci interessa e non lo approfondiamo. Basterà rilevare che anche l’insieme di tutti gli omicidi è irrilevante, secondo questo criterio, senza nemmeno inventarsi una popolazione potenziata come quella di tutte le possibili relazioni affettive: 550 omicidi l’anno (circa) rapportati a 60 milioni di abitanti (circa) fanno 9.2*10^-6. Dal che si deduce che a) il dato fornito da hommequirit è sbagliato (è più grande di 9.2*10^-6, come se ci fossero più femminicidi che omicidi, anche rapportandosi a alla popolazione maggiorata che propone lui) e b) potremmo anche abolire le forze di polizia e dare una mano alla spending review, in tempi di austerity: perché dovremmo preoccuparci di un fenomeno di così scarso rilievo come l’omicidio? Liberializziamoli, che va di moda, e non se ne parli più.
    6. Non poteva mancare una dimostrazione plastica dell’attacco “ad hominem”, anzi ad dominam. Il nostro amico scrive: “Laura Sabbadini passerà alla storia come una delle più ideologiche e incompetenti direttrici di statistica che l’Istat ricordi. Le critiche che furono mosse allo studio dell’Istat del 2007 a tema violenza femminile, vero e proprio totem inindagato per i millenaristi del femmincidio, rimangono inalterate e ficcanti. Lei avrebbe dovuto, per una volta almeno, criticare le modalità dell’indagine entrando nel merito. Ma forse malignamente eccelleva in statistica ma difettava in semantica e perciò, preso dalla sua astratta e ideologica difesa della sua Chiesa Istat, non deve ancora aver capito che le domande sottoposte al campione in quella occasione permettevano di definire come violenza fisica o sessuale e, si badi bene, contabilizzarla all’insaputa dell’intervistata per gonfiare i numeri, quello che per la maggior parte delle intervistate e di noi tutti, NON è ascrivibile alla violenza. Quindi ha sanzionato i suoi critici non capendo che il metodo errato di quello studio non era nell’inferenza statistica ma nella interpretazione semiotica”. In tutto questo, a parte l’insulto alla Sabbadini, non si capisce in cosa la definizione di violenza data in quell’indagine sarebbe sbagliata (del resto, non viene riportata); si stigmatizza il fatto che un episodio venga riportato come violenza senza il consenso dell’interessata, come se fosse normale alterare le definizioni e rendere soggettive le risposte sulla base di percezioni individuali (se intervistiamo un campione di masochisti, è possibile che nessuno percepisca di aver subito violenza venendo preso a schiaffi).
    7. La chiusa, però, non è all’altezza della fama che il nostro amico si è meritatamente guadagnata in tanti anni di onorato trollaggio (come dimenticare il sublime volo compiuto sul blog di Odifreddi, quando hommequirit ascese alla vette della notorietà nazionale a mezzo stampa?): “pensare che gli assassini abbiano ucciso Gina Pina o Lina, mogli, ex o amanti IN QUANTO DONNE corrisponde al negare che le abbiano uccise IN QUANTO Gina, Pina o Lina”. Come dire che non esistono gli omicidi di mafia, in quanto sostenerlo vorrebbe dire che Pasquale, Marco e Luciano non sono stati uccisi in quanto Pasquale, Marco e Luciano.
    Insomma, come avete potuto constatare in modo concreto (ringraziamo tutti hommequirit per essersi prestato con la maestria che lo caratterizza), le vie per raccontarsi (e raccontare) favole sono sempre infinite; e anche infide, perché l’assertività con cui certe affermazioni vengono letteralmente sbattute in faccia può confondere e le fallacie logiche non sono sempre evidenti. Ma confido, grazie all’aiuto di questo nostro affezionato amico, di essere riuscito a illustrarvi nel dettaglio tutti questi tranelli.

  6. A me sembra che, sulla valutazione degli apprendimenti, Cassi scivoli sulla buccia di banana della banalità. Lo dico in quanto facente parte, da anni, di quell’agguerrita pattuglia cui allude l’autore del testo. Che, forse, dovrebbe guardare con più attenzione le decine di volumi e saggi, le centinaia di ore di convegni di studio (molti dei quali certificati come corsi di aggiornamento), la produzione di istituti di ricerca come il CESP: che il fact checking lo hanno fatto, punto per punto, sulla valutazione – tanto è vero che ad alcuni degli agguerriti capita di essere chiamati persino al ministero, come esperti. E gli argomenti prodotti, sui quali “curiosamente” nessuno di quelli che parlano di “ostilità pregiudizievole” interviene nel merito, stanno lì a sostenere con dovizia di argomenti l’incapacità e l’inadeguatezza degli attuali test di valutazione a svolgere il compito loro demandato. Tanto per fare un esempio, le analisi di Carlo Salmaso (CESP Padova) sui test di matematica – comparati – OCSE e INVALSI: che dicono, con argomenti puntuali, quello che da anni va ripetendo invano su un piano più teorico Gabriele Lolli, uno dei massimi logici italiani. Per inciso, ma non per caso: con buona pace di Cassi, i test INVALSI e quelli OCSE-PISA NON sono affatto simili, se non perché prevedono gli uni e gli altri l’uso della matita e della crocetta. Gli uni certificano competenze sostanzialmente mnemoniche, gli altri la capacità di ragionamento (lasciando da parte se riescono a farlo o no); e, per dire, per gli uni “lettura” significa “testo scritto di letteratura italiana”, per gli altri qualunque testo interpretabile, da una scheda di geologia su un lago interrato ai graffiti preistorici. C’è dunque una differenza sostanziale e motivata fra chi si oppone ai test INVALSI, e chi si oppone a quelli OCSE.
    Quanto al clamoroso sfuggire della dimensione transnazionale della scuola, a me pare che a Cassi sfuggano due cose. La prima è che dalla dimensione collettiva e transnazionale della precarizzazione delle condizioni di vita dei lavoratori non si deduce la necessità di precarizzare e sottoretribuire anche in Italia: o meglio, non la si deduce per necessità, ma per scelta politica della quale ci si prende la responsabilità senza nascondersi dietro il dito della globalizzazione.
    La seconda cosa che gli sfugge è che, proprio perché i test di valutazione sono già stati sperimentati in altri paesi, è in corso da anni un profondo, motivato e transnazionale movimenti di rigetto di questi test, argomentato dagli esiti tossici di una didattica finalizzata alla valutazione just in time: vedi l’esempio della Finlandia sugli apprendimenti della matematica. O vedi, giusto oggi, la raccomandazione di Barak Obama – che non fa una generica concione, ma parla citando documenti specifici sulla didattica – che invita a elaborare test differenti da quelli a crocetta, a esercitare un legittimo sospetto sulle virtù taumaturgiche di questi test, e di restituire alla didattica una parte delle troppe ore sottratte all’apprendimento per “valutare l’apprendimento”. Che, mutatis mutandis, è la stessa cosa che ha detto Tullio De Mauro al Festival di Internazionale lo scorso 3 ottobre.
    Ora, avendo io scritto un libro nel quale di statistiche non solo ne esamino a bizzeffe, ma in qualche caso ne produco io stesso, non credo di essere tacciabile di panico da statistica: ma credo di avere le conoscenze e competenze adeguate per dire all’autore di questo testo, limitatamente alla parte scolastica, che dovrebbe studiare meglio gli argomenti cui si oppone, e non ricorrere al trucco retorico di fingere di formulare una risposta ponendo una serie di domande, anch’esse retoriche, che lasciano falsamente intendere che la soluzione c’è, ma non la si vuole vedere (c’è un tale di Rignano sull’Arno che lo usa già questo metodo, direi che basta lui).

  7. De Michele, lei si riconosce nella figura di chi è ostile alla valutazione per principio? Se sì, la risposta a questa curiosa presa di posizione è nel mio testo e lei dovrebbe argomentare la sua posizione, invece di fare benaltrismo col precariato; che è un problema drammatico, ma – appunto – un altro problema. Se no, di che mi sta parlando? E’ evidente che non sto parlando di lei. Le dispiacerebbe leggere con attenzione quello che le persone scrivono, prima di sparare a caso? O si tratta, più banalmente, di coda di paglia? Parlo di lei giusto nell’ultima riga del testo, se ci fa caso.

  8. De Michele, per sua comodità le riporto una riga sola, che forse avrebbe dovuto attirare la sua attenzione: “Su questo, niente da dire. Molto probabilmente, vista la quantità e l’autorevolezza delle voci critiche, l’intero processo valutativo andrebbe ripensato”. Che è quanto sostiene anche Obama, stando a quanto dice lei (dandogli ragione). Ma se è troppo complicato le faccio uno schemino. Magari ci capiamo meglio.

  9. Il tuo commento è in attesa di approvazione.
    Questo commento è di prova e serve a verificare se Lipperini abbia posto i suoi soliti filtri sovietici che mi obbligano a cambiare IP e nickname se il commento vuole apparire, sia chiaro ai tonti che non l’hanno ancora capito.
    In caso abbia invece per questa volta aperto le inferriate, invito il signor Maurizio a rileggere ciò che ho scritto e che contesta perché probabilmente per mancanza di lucidità ha preso fischi per fiaschi sui numeri e sulle percentuali a lui tanto care, nel senso che ha addirittura preso sottrazioni per risultati e percentuali per rapporti.
    Sembra offensiva dunque l’ennesima pedanteria nel fargli notare che uomo di paglia si traduce con straw man e attribuire a me ciò che ho appena attribuito a lui e Lipperini è gioco da specchio dell’asilo.
    Lui e Lipperini, quindi loro, poiché son due persone qualora si appellino vogliono il il voi non per figura retorica e sineddoche di qualc’os’altro ma per piano rispetto della grammatica. Quanto al metodo scientifico e Galielo ci ripetiamo: poiché è il Cassi che ritiene che il fenomeno sia diminuibile al contrario di altri che semplicemente con la locuzione del “minimo fisiologicico” sono persuasi che non dipenda da variabili controllabili legislativamente o repressivamente deve mostrare come diminuire un tipo di omicidio che in Italia, dati ONU alla mano, non è eufemisticamente “più basso che nella maggior parte degli altri Paesi ” ma è il secondo più basso in assoluto dopo il Giappone a livello MONDIALE. Qualunque cosa il Cassi abbia in mente è lui che deve dimostrare la sua affermazione che altrimenti equivarrebbe a un’esortazione legislativa verso una gratuita allocazione di fondi sperperati in quanto ininfluenti per la sua tesi visto che il numero delle morte non cambia – e non è cambiato infatti.
    E si può continuare con questa logomachia, che ormai è dialogo tra sordi. Sapevo di parlare al vento e come esplicitato non mi aspettavo che la trita riproposizione di una macchietta argomentativa. D’altronde ciascuno ha le sue oessessioni e io ne nutro una verso la stupidità in tutte le sue multiformi manifestazioni, sopratutto in quella in cui è la mucca a dare del cornuto all’asino.
    Ciascuno darò il suo giudizio tra i suoi e i miei argomenti.
    Ah, che sbadato: il giudizio l’hanno già dato i più e infatti il tema è morto e gli argomenti da lei professati appartengono vox populi alla venerabile categoria delle supercazzole – anche se fanno ridere solo me.
    Postato Tuesday, 27 October 2015 alle 7:25 pm da ad hoc

  10. hommequirit, che noia e che barba. Almeno una volta non era cafone, evitava di insultare. Che vuole, si può sapere? Che mi metta al suo livello e mi faccia trascinare in una rissa verbale? Che le dia dell’idiota? Francamente, non penso affatto che lei sia un idiota. Lei è indubbiamente una persona di grande intelligenza e preparazione. Che, per qualche motivo che ha a che fare con la sua psiche, ha deciso di comportarsi come un idiota seriale. E con questo, per quanto mi riguarda, il dialogo con lei è chiuso.

  11. ma la gente che cambia IP per postare non c’ha un cacchio di meglio da fare? Almeno scrivete sui muri e le porte dei bagni, i messaggi durano di più, prendete aria e non vi serve neanche cambiare IP

  12. 1. Quello che mi interessa, qui, è che due persone che stimo, Girolamo e Maurizio, si parlino più serenamente, fatte salve le posizioni diverse e anche le durezze espresse. Perché conosco (e condivido) molte delle ragioni di Girolamo e comprendo il motivo per cui Maurizio, dalla sua posizione, si è espresso così 🙂
    2. Hommequirit, erode, gesù bambino, non importa. La domanda, a cui NON voglio ricevere risposta, è semplicissima: lei non è una persona gradita qui. Non lo è non perché esprima posizioni diverse dalle mie (basti l’esempio di K., che davvero è su un altro pianeta rispetto a me, ma riesce a porre la sua assoluta contrarietà in modo educato e civile). Non è gradito perché esiste una modalità psicotica di chi si sente escluso, che porta a reiterare l’insulto. Per le modalità psicotiche, come altre volte detto, esistono gli specialisti. I blog sono luoghi di discussione, non di sfogo, nè di terapia. Dunque, l’auspicio è che finalmente, dopo anni e anni, questa non accettazione venga compresa, e accettata. Grazie.

  13. Io non ho problemi a confrontarmi con De Michele, Loredana. Solo che non capisco su cosa dovrei confrontarmi. Mi mette in bocca cosa che non ho detto. Il testo è lì, per essere letto da chi vuole. Anche da lui. Ho premesso che ritengo anch’io che l’attuale sistema di valutazione è sbagliato e che va ripensato; non perché io sia un esperto, ma perché mi fido degli esperti italiani che si sono espressi in proposito e ho letto un po’ di letteratura statunitense in materia, abbastanza per convincermi che le cose in questo modo non funzionano. E sottolineo: ho parlato di sistema di valutazione, non di test, che a lui evidentemente non piacciono e su cui non io ho detto assolutamente niente, non essendone innamorato. Per me si può fare valutazione anche scrivendo poemi in rima baciata, basta che funzioni. E’ lui a fare l’equazione statistico=sostenitore dei test. Io mi sono riferito, e l’ho fatto esplicitamente, a quel sottogruppo che non vuole alcun sistema di valutazione, punto e basta. Cosa c’entri questo con lui, che se non ho capito male non è contrario alla valutazione, e poi col precariato, io non lo so. E neppure con la globalizzazione. Forse a De Michele secca il fatto che io abbia detto che non mi piace il boicottaggio dei test Invalsi, magari li ha boicottati anche lui, non posso saperlo. Su questo ci si può confrontare, ma chiederei rispetto: l’accusa di renzismo se la può mettere dove non batte il sole, la noto solo adesso altrimenti gli avrei risposto prima. O forse gli scoccia l’imprecisione, del tutto inessenziale ai fini del discorso, riguardo la similitudine tra i test OCSE e i test PISA. OK, posso essermi fidato di una fonte imprecisa, ma non mi pare un peccato mortale e non cambia la sostanza di quello che volevo dire, che era centrato su un particolare obiettivo della valutazione (la comparabilità) e non sulla metodologia. Alla fine della fiera, di cosa stiamo discutendo? De Michele dice che il sistema di valutazione va cambiato, e lo dico anch’io; dice che negli Stati Uniti ci stanno ripensando, e l’ho premesso anch’io; il problema quale sarebbe? Io sono qui. Compatibilmente con i miei impegni di questi giorni, possiamo parlarne, con la premessa del rispetto reciproco. Il passaggio sul renzismo e sulla sua collocazione anatomica però me lo concedo, perché avrei voluto dirlo prima e avevo perso l’occasione. Quello è un insulto vero, e merita una risposta non meno sprezzante. Dopodiché possiamo senz’altro cambiare registro, se anche lui lo vuole. Oppure chiudere così, e l’universo senz’altro sopravvivrà.

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