Io non voglio vedere, oggi, domani, dopodomani, le fotografie della piccola Martina Carbonaro, 14 anni, con il suo ex, Alessio Tucci, 18 anni, che ha appena confessato di averla uccisa con un masso e di aver nascosto il corpo in un armadio di un ex casolare abbandonato nei pressi dell’ex stadio “Moccia” di Afragola.
Non voglio vedere praticelli e fiorellini come è avvenuto e forse ancora avviene per Giulia Cecchettin e il suo assassino. Non voglio che si usi in modo alcuno la parola amore. Non voglio leggere gli ennesimi distinguo sulla parola femminicidio. E non voglio neanche ascoltare le parole compunte di qualche ministra che rivendica l’idea dell’ergastolo per chi commette femminicidio. E’ una legge per le morte, come scriveva mesi fa Giulia Blasi, e a noi servono leggi per rimanere vive, perché da morte gli anni di carcere di chi ha alzato il masso o il coltello sono ininfluenti.
Voglio che sia chiaro che quest’ennesima morte non è un episodio isolato, non è un caso, non un inciampo del destino. Che è frutto di una catena lunga e ininterrotta, di un mondo e di una cultura che per secoli hanno giustificato lo sgarbo, e dunque l’abbandono, come qualcosa che merita una punizione. Verbale, fisica. Nel caso di Martina, con un masso.
L’unica possibilità per fermare questo orrore è chiamare le cose col proprio nome, e lavorare, non in modo interessato e di maniera, non facendo la dichiarazione d’occasione con gli angoli della bocca all’ingiù, come qualche ministra farà sicuramente.
E’ coinvolgerci tutte, tutti, nel ribaltare una cultura assassina. Quella patriarcale, esatto.
E infine, davvero, mi chiedo quanto serva questo triste balletto, che ogni volta si ripete: di qua chi si accora, di là chi dice “ragioniamo, il femminicidio non esiste”. Che si spegnerà fra qualche giorno e ricomincerà alla prossima ragazza che semplicemente sceglie di porre fine a un amore, e al prossimo ragazzo che non lo accetterà, e noi ritorneremo a riprendere i nostri ruoli, di qua chi si accora, di là chi dice ragioniamo. E tutto, ancora una volta, sprofonderà nel nostro rimanere immobili, nel nostro guardare il selciato, anziché, come dovremmo, il cielo.
Tag: Femminicidio
Dieci anni fa, Adriano Sofri scrisse un articolo sul femminicidio e soprattutto sugli uomini che continuano a negarlo, anche oggi.
Lo ripropongo oggi perché la negazione sembra esserci ancora.
“La minimizzazione del femminicidio si presenta come un’obiezione al sensazionalismo. Si potrà dire almeno che ha avuto una gran fretta. Si sono ammazzate donne per qualche migliaio di anni, per avidità amorosa e per futili motivi: da qualche anno si protesta ad alta voce, e già non se ne può più?”
Ho scritto il testo che segue nel maggio 2016, a poche ore dal femminicidio di Sara Di Pietrantonio, 22 anni, uccisa dal suo ex. Come troppe. Ricordavo di averlo fatto, ho cercato il post dopo aver letto di un altro, atroce femminicidio, quello di Giulia Tramontano. Atroce perché c’era anche un bambino che non nascerà, sotto il coltello di suo padre.
Però non cambia quello che penso, e che inutilmente ripetiamo, purtroppo, ogni volta. Mentre altrove si ciancia di famiglia naturale, mentre altrove si vorrebbe imporre alle donne che vogliono interrompere la gravidanza di ascoltare il battito fetale. Non vedono, quegli agitatori di crocifissi, quello che occorrebbe vedere. Perché la vita, a loro parere, va tutelata nel ventre materno. Fuori, invece, molto meno. Questo è.
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