LA SOLITUDINE DEGLI STATISTICI -1

Accade sempre, ormai. A ogni citazione di statistica, qualcuno insorge, e invece di commentare i dati, li contesta a prescindere: come è stata realizzata l’indagine? qual è il campione? non è possibile, i miei amici e la mia famiglia non la pensano così. Dopo aver constatato la quasi impossibilità di un confronto sereno (e sensato) sugli oggetti della statistica (femminicidio, non lettura, praticamente tutto) ho deciso di chiedere allo statistico in persona. Lo conoscete già, è Maurizio Cassi, cui Michela Murgia e io molto dobbiamo per la stesura di “L’ho uccisa perché l’amavo”. Non solo non si è tirato indietro, ma ha scritto un lungo e approfondito e intervento che a partire da oggi verrà postato qui, a puntate. Servirà? Mi auguro di sì, e comunque resterà come futura smentita alle prossime contestazioni. Buona lettura.
Noi italiani vantiamo una tradizione di avversione ai numeri e alla cultura scientifica in generale: roba fredda, rispetto al caldo umanesimo delle belle lettere; e pazienza se, dati OCSE alla mano, siamo un popolo allegramente avviato all’analfabetismo funzionale: in fondo, ci raccontiamo,  sono solo numeri. Inadatti a cogliere la complessa verve artistica di gente che, da sempre, ha donato eccellenze alla cultura, quella vera. O così crede.
Pare che almeno in parte sia colpa di don Benedetto (Croce) e di Giovanni Gentile: l’uno insigne filosofo spregiatore degli “ingegni minuti” (così qualificava scienziati e matematici); l’altro, anche lui filosofo, ministro dell’istruzione del Regno e del fascismo, fu autore della netta separazione del percorso umanistico da quello scientifico nei cicli scolastici degli italiani. Per la verità, qualche dubbio che questa non sia stata una mossa intelligente a qualcuno è venuto;  secondo Calvino, per esempio,  il maggior prosatore italiano fu Galileo Galilei, padre del metodo scientifico. Ma ormai è andata, e il passato non si può cambiare.
Con questa premessa, però, ci sono alcune cose che si fa fatica a capire. Per esempio: ma perché gente così fieramente allergica ai numeri e alla scienza dovrebbe accanirsi (come spesso fa) a spaccare il capello in quattro, quando si imbatte in numeri che dicono qualcosa di inatteso? Eppure accade.
Prendiamo alcuni casi recenti.
1. Vicenda di pochi giorni fa: l’ISTAT certifica che gli italiani non solo non amano molto la lettura, ma la amano sempre meno (qui); più o meno in contemporanea, escono altri dati (stavolta dell’AIE, e si presentano in modo assai meno accurato di quelli ISTAT) che ci mostrano come, a parità di condizioni, francesi, tedeschi e spagnoli leggano più di noi (qui). Sono dati che di sicuro non fanno piacere e che possono anche destare qualche perplessità metodologica (quelli AIE), ma ci possono stare;  a produrli è in gran parte la massima autorità statistica del Paese e, soprattutto, non si tratta di un fulmine a ciel sereno, se è vero che qualche tempo prima aveva fatto scalpore un’indagine dell’OCSE (qui) che qualificava quasi metà degli italiani come analfabeti funzionali: incapaci di intendere testi complessi (inadeguati nella “literacy”, quindi) e di destreggiarsi fra informazioni in formato numerico (insufficienti anche nella cosiddetta “numeracy”). Questo secondo aspetto, tra l’altro, nelle cronache è stato sistematicamente sottovalutato; immagino sempre per colpa di don Benedetto.
Di fronte a un quadro così uno può aspettarsi certamente reazioni non proprio entusiaste, ma non che si metta in discussione la conclusione stessa di queste ricerche. Che suona così: gli italiani hanno un problema enorme con la lettura di testi e con la gestione di informazioni numeriche, il che vuol dire con l’informazione e, in definitiva, con la complessità del mondo contemporaneo; bisognerebbe interrogarsi su come metterci una pezza nel breve periodo e, soprattutto, su come risolvere il problema nel medio-lungo termine. Invece, incredibilmente, un drappello per niente sparuto di connazionali ha cominciato a contestare i numeri: cosa vogliono realmente dire, come sono stati raccolti, fino all’immancabile “è un fenomeno troppo complesso per poterlo descrivere attraverso freddi numeri”. Insomma: la conclusione non piace, non si accorda con la rappresentazione a priori che ci siamo costruiti di noi stessi, e quindi la ricerca non può che essere sbagliata, o è sbagliata l’interpretazione; oppure no, sarà pure tutto vero, ma lasciate in pace me e il mio gruppo di appartenenza perché io che sono manager/laureato/quellochevoletevoi vi dico che li conosco i miei colleghi e vi assicuro che non è così, non è vero che quasi il 40% di noi non legge nemmeno un libro in un anno; e comunque sappiate che il 60% di noi un libro lo legge e anzi siamo i lettori più forti, perché gli operai leggono assai meno di noi. Esempio, quest’ultimo, di un’ardita contaminazione tra l’ottimismo manageriale d’ordinanza, che porta a rovesciare la lettura delle percentuali (vediamo la parte positiva! se il 40% non legge, allora il 60% legge) e il cherry picking sui dati: si omette la parte spiacevole, e cioè che i laureati e i manager spagnoli, francesi e tedeschi leggono molto più dei nostri (e anche gli operai).
2. Andiamo avanti, anzi indietro: Un campo in cui gli italiani danno davvero il meglio di sé è la loro percezione dell’Altro, dello Straniero. Esiste un rapporto IPSOS piuttosto recente che misura in 14 paesi la distorsione delle percezioni della popolazione su temi come l’immigrazione, la disoccupazione e molti altri argomenti sensibili. Come è facile immaginare, in tutti i paesi i numeri immaginati (forse si dovrebbe dire temuti) sono più alti di quelli reali; eppure, anche in questo caso, noi troviamo il modo di distinguerci: gli stranieri, che secondo gli italiani sarebbero il 30% della popolazione, in realtà in Italia sono il 7%: quattro volte e mezza di meno che nei nostri incubi. Gli australiani, per dire, sopravvalutano anche loro, ma lo fanno di soli sette punti percentuali e poi, in effetti, qualche immigrato in più di noi ce l’hanno davvero (loro dicono il 35% della popolazione, in realtà sono il 28%).
In passato altri studi hanno verificato la distanza tra percezione e realtà riguardo a un altro tema scottante, quello dei cittadini di etnia romanì (quelli che, sbagliando, mettiamo in un unico calderone e chiamiamo semplicemente rom). Un gruppo neanche troppo piccolo di connazionali si supera, letteralmente, arrivando a immaginare nugoli, miriadi, orde di romanì, una consistenza oltre dieci volte più grande di quella reale, che in Italia non supera le 180.000 unità (di cui solo 30.000 circa vivono negli aborriti campi: lo 0,07% della popolazione nazionale);
Sull’ indagine IPSOS vale la pena di soffermarsi, perché non si limita ai temi dell’immigrazione e della discriminazione su base etnica e propone anzi un vero florilegio delle fallacie statistiche, italiane e non: si va dalla percezione del tasso di mortalità per omicidio (giudicato in crescita pressoché ovunque, mentre è in declino da decenni) a quella dell’incidenza della popolazione anziana (sopravvalutata), dal numero dei votanti alle elezioni (in genere sottovalutato) al tasso di maternità delle teenager (largamente sopravvalutato). Sui 14 paesi coperti dall’indagine viene calcolato il poco luninghiero Ignorance Index e, ça va san dire, the winner is… ma sì, siamo noi! Campioni del mondo di ignoranza, non sappiamo praticamente niente del posto in cui viviamo! Non è favoloso, tutto ciò? Leggere per credere. L’indagine, a sfogliarla tutta, descrive un incubo collettivo: un popolo assediato dagli infedeli, che hanno già fatto breccia e a breve imporranno Sharia e burka; debilitato dall’invecchiamento della popolazione, minacciato nei suoi averi e nella sua stessa vita da una delinquenza esponenzialmente crescente. Ovviamente le cose non stanno così, ma possiamo risparmiarci il fiato: troveremo sempre fieri oppositori pronti a rivendicare come autentica la propria immagine distorta della realtà, che (ovviamente) è troppo complessa per poter essere fotografata dai freddi numeri ecc. ecc.
Insomma, che sia colpa di don Benedetto o di chi volete voi, gli italiani non è che sappiano poco di numeri (quelli, secondo l’OCSE, non siamo capaci nemmeno di decifrarli): sanno proprio poco, anzi pochissimo, del proprio stesso stare al mondo. Sicché si sarebbe tentati di metterla giù facile: gli italiani fanno a pugni con i numeri perché sono ignoranti, punto e basta.
Ma una risposta del genere direbbe soltanto una piccola parte della verità. Non spiegherebbe, per esempio, l’accanimento (già evidenziato) con cui molti si danno a contestarli, i numeri. E a costoro una qualche capacità di leggerli, anche se per lo più in modo sbagliato (o più precisamente fazioso), bisogna riconoscerla. Perché lo fanno? Oltre tutto, la scena pubblica (e più che mai i social network) rivelano anche diverse altre patologie nel rapporto tra gli italiani e i numeri, o più in generale tra gli italiani e l’informazione. Quindi, prima di tentare una risposta, vale la pena di esaminare qualche altro esempio.
(segue domani)

12 pensieri su “LA SOLITUDINE DEGLI STATISTICI -1

  1. Gentile con Croce ( ahahaha ) dopo aver letto x decenni che è tutta colpa sua se, per esempio, Benigni e Troisi viaggiano nel tempo fino a ” quasi millecinque ” mentre Michael J. Fox calcola persino il giorno del 1955 dove atterrare, mi permetto di segnalare che la nazionale avversione x testi troppo lunghi deriva dal messaggio subliminale in Parole Parole Parole di Mina e Alberto Lupo. Le due + belle voci italiane del 20 secolo. No kiddin’.
    Se la signora Mazzini cantasse la Teoria delle Stringhe su di un tappeto musicale combo dei Carmina Burana di Orff ed una colonna sonora di Hans Zimmer – non proprio il jingle di Peppa PIg, insomma – in poco tempo, nel tratto casa-lavoro e viceversa , i pendolari discuterebbero del rapporto spazio – tempo e delle ucronìe come percezione di una realtà + vasta. Anche se Ignatz Marino decidesse di non deludere il suo fandom. Anche se la prossima edizione del Grande Fratello fosse condotta da Bruno Vespa. Tutti a discutere di altriquandi in cui Lupo Alberto è vivo ed insegna statistica nella fattoria McKenzie. Un mondo migliore ? Non saprei. Immagino che , prima di salire sul treno, i pendolari si armerebbero di tabloid gratuiti con sintesi di notizie e strisce di Dilbert, ma solo x aver della carta su cui tracciare le equazioni di Einstein…

  2. A contestare i numeri ci hanno abituati i media e i politici che, di fronte a dati discordanti, dicono che i dati vanno interpretati. Ma se è vero, quanto è affidabile l’interprete di turno? L’unico mio dato certo, è quel che fornisce lo sguardo sul mio territorio… un dato parziale ma vero.
    L’articolo è comunque interessante, la risposta di Crepascolo, invece, è comica.

  3. “L’unico mio dato certo, è quel che fornisce lo sguardo sul mio territorio… un dato parziale ma vero”.
    Sari, grazie per l’apprezzamento, ma questa tua affermazione è esattamente ciò che mi propongo di criticare. Ciò che vediamo NON esaurisce in nessun modo la vastità e la complessità del reale. Questa è la tesi. O, almeno, una delle tesi.

  4. Il mio commento non è lungo e non è approfondito.
    E’ stato mai valutato quante volte, sul totale osservato, succede che i numeri composti da tre o più cifre, quando appaiono sulla carta stampata oppure sono pronunciati nel corso di interviste, siano effettivamente corretti ovvero siano completamente errati anche di più ordini di grandezza? E, se si tratta di rilevazioni o misure, quante volte siano esattamente precisate le condizioni cui sono riferite?

  5. @Sari
    Grazie, ma non poteva essere altrimenti perchè: 1) il post è parte di due e mancano le conclusioni dell’autore, anche se dalla sua risposta qui sopra è possibile ricavare un indizio sulla direzione che intende prendere, e non aveva senso confutare o confermare quanto detto 2) conoscevo i dati sulla forbice tra la percezione della realtà e la realtà effettiva 3) ” Caramelle non ne voglio più / Le rose e i violini / questa sera raccontali a un’altra ” sempre da Parole Parole – temo racconti la sfavorevole percezione dei ns connazionali nei confronti di statistica, statistici e coloro che i dati statistici interpretano.
    Io non sono in grado di leggere e comprendere tre cartelle, non dico di Galileo o della Austen, ma nemmeno prese dal diaro delle superiori di Salvini e temo il momento in cui Crepascolino mi chiederà di aiutarlo a risolvere gli integrali , concetto che ho sempre associato al pane ed al nudo , e nell’ora dello showdown, sempre che la genitrice non sia nei pressi x levarmi le castagne dal fuoco, io mi arroccherò dietro la scusa che è tutta colpa di Benedetto Croce ( da non confondere con l’attore Ben Cross che ha solo la colpa di avere un muso di legno ndr ) e del signor Gentile. Cattivi.

  6. Questo post mette insieme due cose che insieme non stanno: l’allergia ai numeri e alla scienza (l’irriducibile complessità bla bla) e lo scetticismo verso il tale o tal altro studio.
    Se mi dici che è uscito uno studio che conclude che, io ti interrompo subito e ti chiedo qual era il campione, come è stato composto, chi ne è stato escluso, quali erano i criteri di valutazione e un tot di altre cose.
    Quanti studi sono usciti sulla maggiore attitudine a questo o quello da parte dei maschi e bianchi, o viceversa sulla propensione al vizio e al crimine degli altri? Sull’efficacia di questo o quello?
    Apprezzo molto un post come questo, ma ne vedo tanti, in giro, che brandiscono percentuali senza nemmeno aggiungere un link a una fonte (a meno che la fonte non sia un altro blog che rimanda a un altro blog). Probabilmente è vero che, nel caso degli studi su quanto siamo istruiti, informati etc., come nel caso dei femminicidi, gli antipercentuali abbondano più fra i minimizzatori, ma è anche vero che quando incontrano una percentuale favorevole alla propria tesi, gl’irriducibili della complessità umana non disdegnano di impugnarla e agitarla come una clava.
    Chi non è allergico ai numeri, i numeri li studia, li gira e li rigira, li fa a pezzi per guardare come sono fatti e da dove vengono.
    Quel che poi dicono, i numeri, è che effettivamente stiamo messi molto male, se davvero pensiamo che ci sia il 49% di disoccupazione, il 48% di over 65, il 30% di immigrati (fra parentesi, meraviglioso il 39% di intervistati che conosce le vere cifre dell’immigrazione, perché quelle ufficiali sono chiaramente sbagliate), il 17% di mamme teenager, e se per il 64% di noi il numero di omicidi è in crescita.
    Viviamo in un mondo orribile, che è tutto nella nostra testa; e in quel mondo nella nostra testa siamo tutti molto informati, capiamo i fatti della vita, siamo pienamente consapevoli.

  7. Pietro, io non credo che le due cose non stiano insieme. Io parlo di scetticismo aprioristico verso l’indagine scientifica, non del sano scetticismo critico che tutti dovrebbero esercitare. E’ chiaro che, di fronte a dei dati, una delle domande irrinunciabili deve riguardare la loro qualità; tanto più se ci pongono di fronte a tesi sorprendenti. Ma non è di questo che si parla: è dell’atteggiamento di chi i dati li nega indipendentemente dalla loro consistenza, perché gli danno fastidio/contraddicono la sua visione del mondo/squalificano il suo gruppo di appartenenza ecc. ecc.
    Il che è qualcosa di diverso dal semplice (e doveroso) appurare la veridicità di un’affermazione.

  8. Nella pagina di Wikipedia italiana si attribuisce a Benedetto Croce (e Gramsci) l’avversione italiana verso la narrativa fantasy. Avversione inesistente, fra l’altro; l’avversione è verso la fantasy scritta da italiani, gli stessi convinti che sia tutta colpa di Benedetto Croce, il capro espiatorio di tutti i fallimenti intellettuali italiani.
    Detto questo, mi sembra ci sia un problema: i media italiani sono sono pieni di cifre, più o meno attendibili, sia di rispettati istituti di ricerca (o almeno di istituti di ricerca che ci vengono descritti come rispettati), sia da sondaggi televisivi visibilmente farlocchi, con tutte le gradazioni possibili. Quando i risultati non concordano, o almeno discordano un po’, abbiamo il diritto di scegliere o almeno di fare qualche domanda? O semplicemente scegliamo il risultato preferito e via, visto che i numeri ci danno ragione?
    Perché naturalmente, anche quando i numeri sono credibili e generalmente accettati dalle parti, è solo l’inizio del problema. Non molto tempo fa, proprio qui, una discussione sui dati relativo agli omicidi di donne finì per essere molto polemica, benché gli interlocutori ammettessero tutti la validità delle cifre: solo che alcuni li interpretavano come una drammatica emergenza, gli altri come prova che non c’era nessuna emergenza e il fenomeno non stava aumentando. I fatti esistono eccome, ma non vogliono dire nulla senza interpretazione.
    Fra l’altro, in quella discussione mi stupì (ma nemmeno tanto) la tacita esclusione di statistiche secondo cui il problema delle violenze verso le donne era altrettanto se non più grave in paesi considerati, per tradizione, molto più avanzati e moderni dell’Italia. Non erano cifre utili, apparentemente.
    Una recente statistica di una, appunto, rispettata istituzione americana, la National Science Foundation, rivela che il 24% degli americani ignora che la Terra gira attorno al Sole e non viceversa, il che sembrerebbe implicare una notevole ignoranza in campo scientifico. Ma noi SAPPIAMO (ce lo dicono i numeri!) che l’Italia è sempre ultima in classifica in tutto e quindi, solo per stavolta, i numeri non contano, anzi vanno interpretati…

  9. Stefano, la maggior parte delle cose che dici non corrispondono alla realtà dei fatti. Una alla volta:
    1. Io non contesto il diritto di “fare qualche domanda” e anzi raccomando caldamente di farla (se ne parla domani o dopodomani), di farne tante e incalzanti. Quello che contesto è il rifiuto di prendere in considerazione i numeri che non piacciono senza neanche farla, la domanda; o, ancora peggio, di farla e poi proseguire nella polemica come se niente fosse, ignorando l’eventuale risposta non corrispondente ai propri desideri.
    2. Il problema dell’interpretazione: è vero, i numeri sono (entro certi limiti) interpretabili. Anche di questo si parlerà, in modo piuttosto esteso. Interpretabili, però, non vuol dire sovvertibili. Forse non ricordi bene e mi dispiace l’autocitazione, che non è mai elegante, ma io fui piuttosto chiaro nel dire che la definizione del femminicidio come fenomeno (e quindi come fatto esistente, non immaginario) non aveva a che vedere con i numeri, ma con criteri definitori: se ogni anno si verificano con regolarità n casi (tanti o pochi, qui non rileva) di un certo fatto, tutti accomunati da certe modalità, ebbene sì, quello è un fenomeno e non un’invenzione. Non è che il bosone di Higgs non esiste perché se ne osservano troppo pochi, eh.
    3. Non è vero, nella maniera più assoluta, che non siano state prese in considerazione le comparazioni internazionali (e lo ricordo, tra l’altro, anche nel post di oggi); vai a rileggere quei post e potrai constatarlo da te, Ma, ripeto, il fatto che in Italia si uccidano meno donne (“in quanto donne”, e quindi non per rapina o per altro) che altrove non vuol dire che in Italia il fenomeno non esista (vedi il punto precedente).
    4. Quella della terra, del sole e degli americani non l’ho capita e non la commento; comunque, se leggi con attenzione, ti accorgerai che quasi sempre statunitensi e italiani se la battono, in quanto a ignoranza (infatti gli USA sono al secondo posto, se non ricordo male, nella classifica dell’Ignorance Index di cui parlavo ieri).
    5. Quanto a Croce e Gentile: se abbiano mai parlato di letteratura fantasy onestamente non lo so, ma so questo: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-04-16/cosi-italia-azzoppo-scienza-164249.shtml?uuid=AaJFoZPD. E anche questo: “Gli uomini di scienza […] sono l’incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all’organismo filosofico-storico”. (Benedetto Croce, da Il risveglio filosofico e la cultura italiana, n. 6, 1908, pp. 161-168). In particolare, di Gentile so questo: “Come si poteva concepire una rivista – notò Gentile – «che discorra, in uno stesso fascicolo, dell’elettro-magnetismo dell’universo, della medianità, dei rapporti tra chimica e biologia, del bisogno di luce che hanno le piante, della coscienza, della scuola economica austriaca, delle principali leggi della sociologia, delle origini del celibato religioso, della riforma dell’insegnamento di matematica elementare eccetera»?
    E questo fu il ministro che istituì i licei (scuole bellissime, peraltro; ma certo carenti, in quanto a contaminazione interdisciplinare).
    Penso possa bastare a supporto di quanto sostengo.

  10. Sullo scetticismo aprioristico OK, siamo d’accordo, non ho altro da dire tranne sottolineare una cosa che hai detto tu e che ho dimenticato di dire io nel mio commento di prima.
    Tu dici: “E’ chiaro che, di fronte a dei dati, una delle domande irrinunciabili deve riguardare la loro qualità; tanto più se ci pongono di fronte a tesi sorprendenti.” Ecco, questo è ciò che avevo dimenticato: in questo caso (lettura, comprensione del mondo, etc.) NON è così: tutti gli studi sono concordi, le percentuali variano e da uno studio all’altro la classifica è un po’ diversa, qualche posizione sopra o sotto, ma non mi risulta uno studio uno che faccia sospettare che le cose vadano bene da quel punto di vista.
    Ecco, in questi casi—se, cioè, tutti o quasi tutti gli studi sembrano evidenziare un certo fenomeno—non si può più contestare gli studi gratis: bisogna quanto meno individuare una mancanza comune, una distorsione non presa in considerazione, un errore metodologico, qualcosa. Altrimenti è complottismo e/o negazionismo puro.

  11. Esattamente, Pietro. Lo scetticismo critico va esercitato in modo serrato e incalzante, e poi a un certo punto bisogna prendere atto della conclusione, favorevole o no che sia. E’ quel “o no”, che inchioda molta gente non disposta a cambiare idea per niente al mondo. Tanto da far sospettare che il problema, in casi del genere, sia psicologico e non abbia niente a che vedere con i dati.

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