LA ZAMPATA DI RANDOM HOUSE

Alessandra Farkas, sul Corriere, parla con Stuart Applebaum, portavoce di Random House. Che dichiara,  a proposito del caso Wylie: “In futuro rifiuteremo qualsiasi tentativo di venderci separatamente  i diritti ebook e cartacei di nuovi libri”. E aggiunge: “Insieme alle nostre filiali in Inghilterra, Canada e Australia non pubblicheremo nessuno dei suoi autori in lingua inglese finché il contenzioso non verrà risolto”. E aggiunge ancora che alcuni distributori “stanno contemplando la rimozione dai loro scaffali di tutti i libri inclusi nel pacchetto Odyssey (la società di Wylie, ndr) e altri sono addirittura propensi ad azioni ancora più drastiche, che di certo dispiaceranno molto agli autori”. Come ha fatto, si legge, un libraio del Mississippi creando una sezione per gli autori rappresentati da Wylie, e il cartello: “questi libri non sono in vendita”.
Però.

43 pensieri su “LA ZAMPATA DI RANDOM HOUSE

  1. Se ragionano e agiscono così, questi si scavano la fossa. Possibile che non se ne rendano conto? Succederà in editoria quello che è successo nell’industria discografica.

  2. Infatti, Roberto, le case discografiche hanno goduto di profitti mostruosi quando c’è stata la transizione dal 33 giri al CD, perché si sono trovate in mano la possibilità di pubblicare in un nuovo formato interi cataloghi, senza rinegoziare niente con gli artisti. Poi, alla lunga, si è visto com’è andata a finire (anzi, come “sono” andate a finire).

  3. @ Luca, questa fossa verrà scavata molto più rapidamente. La grande migrazione dei cataloghi dal vinile al cd avvenne negli anni ’80-’90, quando il web era agli albori e ancora non c’erano i masterizzatori, il commercio di cd vergini, gli mp3 e gli altri formati audio, le reti peer-to-peer. Oggi tutto questo esiste, ed esiste anche per i libri. I consumatori hanno a disposizione tante alternative all’acquisto di e-book legali. I colossi editoriali come Random House dovrebbero accostarsi alla tematica con una certa umiltà, dal momento che non sono più i “padroni del vapore”. Dovrebbero pensare a nuove formule, innovare, cavalcare la tigre anziché pensarla in gabbia (dico, quale gabbia?) E invece pensano di poter applicare vecchi schemi e spadroneggiare come facevano in epoca pre-digitale e pre-rete. Sconsolante.

  4. eh, sì, proprio così…
    L’editoria “storica” è di una lentezza inesorabile, e come tutte le realtà vecchie dice a parole che “il nuovo è una grande risorsa”, ma nei fatti rimane ancorata, con protervia, a vecchie logiche. Credo che molti direttori editoriali stiano scoprendo solo ora che esiste “una rete”…

  5. E intanto viene presentato il nuovo Kindle, i prezzi si abbassano, le prestazioni aumentano (ad es. batteria che dura un mese), e tra un paio di anni avremo display a colori adatti per i fumetti.
    Credo che la “transizione” sarà più rapida del previsto, e fino ad ora l’unico che lo ha capito è Wylie.
    Sulle grandi case editrici meglio stendere un velo pietoso.

  6. il capitalismo, a certi livelli (o forse a tutti i livelli), più che una prassi economica, diventa una prassi suicida che cerca di portare con se il massimo numero di innocenti… e questa reazione della Random House ne è una conferma…

  7. Danae, tu stessa dicevi pochi comment fa che la transizione richiede energie a tutti gli operatori del settore… risorse umane nuove, risorse tecniche nuove, una visione nuova (anche temeraria, se vogliamo) del futuro…
    Come disse la mia prof di biologia secoli fa: “ma tu, con le branchie com ti vedresti? Meglio che morto e sepolto sott’acqua, immagino…”
    L’eBook e l’iPad (dannazione) ridisegneranno l’ecologia e il concetto di lettura anche se non sappiamo ancora come – se io sapessi come, farei consulenze e me le farei pagare a peso d’oro… Chiaro che la transizione fa paura a chi detiene posizioni consolidate e una macchina complessa, delicata e costosa per trarne alti profitti!

  8. Ma il problema non è la “rappresaglia” contro Wylie, già pre-annunciata e comunque ampiamente prevedibile.
    Come diceva Guglielmo (che infatti è avvocato e queste cose le conosce), questo è puro “folklore da trattativa”, voce grossa per mascherare la paura. D’altro canto, come diceva l’altro giorno Santachiara (pur precisando che tono e modi sono odiosi), gli editori hanno il diritto di non considerare più Wylie come fornitore. E’ normale dialettica tra soggetti imprenditoriali.
    Questa storia del libraio del Mississippi, le buffonate… Tutto questo è avanspettacolo, diversivo, *cortina fumogena* che nasconde il vero punto critico.
    Che è questo:
    “In futuro rifiuteremo qualsiasi tentativo di venderci separatamente i diritti ebook e cartacei di nuovi libri”.
    QUESTO è il problema. QUESTO rivela, più delle cazzate, la mentalità arretrata di questa gente, il fatto che credono di avere il coltello dalla parte del manico (e invece non distinguono una lama dall’altra, perché quella che hanno in mano è una sega, e stanno tagliando il ramo su cui sono seduti).

  9. L’istinto predatorio e da “padrone delle ferriere” è in qualche modo connaturato a manager e industriali, una seconda pelle forse nemmeno seconda, a prescindere dai settori di produzione.
    Hai voglia a proclamarsi di continuo il motore del mondo e dell’innovazione, ma questi, da sempre, l’innovazione l’hanno sempre aborrita e ostacolata, per poi impadronirsene e metterla in catene.
    Fosse per gli ‘industriali’, ci sarebbe ancora la schiavitù. E infatti c’è!
    Osservate Marchionne, ras di un’industria decrepita e obsoleta che va in giro per il mondo raccogliendo la patente di “genio” e soprattutto i soldi degli Stati sotto la minaccia di portare altrove la produzione e il lavoro.
    Ma la produzione di cosa? Di scatole di lamiera grottesche e anacronistiche
    già vecchie trent’anni fa. Altro che innovazione, è solo il suo esatto contrario che tiene ancora in piedi l’intero comparto dell’automobile.
    L’industria culturale, dal canto suo, agita, minaccia, brandisce diktat e divieti, ma non ha lo stesso potere d’interdizione e di ricatto di quella pesante. Il suicidio delle holding discografiche è stato uno degli eventi migliori degli anni ’90. Il lato oscuro della faccenda però, sta nell’acquiescenza, nella subalternità mentale, nella pigrizia di una grande parte degli addetti.
    Per essere chiari: forme di autorganizzazione pratica e operativa di una parte significativa di produttori ‘culturali’ sarebbero in grado da subito di bypassare molte delle barriere e dei divieti vigenti.
    Ma è meglio blaterare, a chiacchiere e distintivo accademico, contro il turbocapitale editoriale, che metterlo di fronte a prassi concrete che ne scavalchino ingordigia e obsolescenza.
    La verità è che sono in tanti, non solo i padroni, ad avere paura del cambiamento e a contrastarlo.
    L.
    P.s.
    Noto, en passant, che diversi arcinemici dell’entertainmet adesso dialogano di temi alti e pieni di dignità letteraria. in cerca forse di uno sdoganamento e una legittimità anche in quel cesso a cielo aperto che è il web.
    Adesso hanno buone maniere, si dolgono solo di pochi sparuti disturbatori che turbano la quiete di auliche dissertazioni.
    Facciano pure, nessun problema, con chi ha lo stomaco di ciucciarseli.
    I conati mi impediscono di partecipare.

  10. Paolo S, proprio così: c’è bisogno di idee nuove, e di molte energie, e forse ci si aspetterebbe dagli editori (intendo ora questa parola nel senso stretto di “direttori editoriali” e simili, quelli cioè che decidono il contenuto culturale della CE e in quali modi veicolarlo) qualche mossa a sorpresa, qualche scatto in avanti, la capacità di prevedere come ebook e tutto il resto disegneranno il nuovo modo di scrivere, scegliere, pubblicare libri. Insomma, di vederceli davanti, e non dietro, ad arrancare col fiatone appresso ai responsabili commerciali (che, tanto, vendono libri o vendono panini è la stessa cosa…). Che poi il fiatone gli toglie aria al cervello e dicono assurdità come il boss di Random House…

  11. È il problema che ho ogni anno, quando spiego ai miei alunni cos’è il capitalismo: prima gli spiego Schumpeter e Keynes, la distruzione creatrice evia dicendo, perché, spiego, è questo quello che troveranno scritto sui libri se andranno a studiare economia o scienze politiche. Poi passo a spiegare cos’è il “capitalismo pigro” (il buon vecchio Federico Caffè), e qual è la realtà del capitale, rispetto alla quale Keynes sembra un sovversivo negriano. Le prospettive a periodo medio-breve (cinque anni, cioè la metà di un normale ciclo economico, diciamo) sono scomparse dall’orizzonte del capitale, così come la capacità di pianificazione: e investire sull’e-book richiede una ristrutturazione del mercato editoriale di respiro ben più alto. In questo campo, come in ogni altro, il ragionamento non è: poniamo che per il primo biennio il bilancio sia in rosso, ma se sul medio periodo ci guadagno le perdite iniziali sono investimenti; ma è legato alla logica finanziaria: oggi ci guadagno, domani forse, dopodomani ci penso domani. Come dire: “Domani è un altro giorno”, detto però da Melanie Hamilton (cioè senza la determinta volontà di Scarlet O’Hara), o “francamente me ne sbatto” detto da quel bambanone di Ashley (cioè senza la scaltra e cinica intelligenza di Rhett).
    E del resto, guardando all’attuale crisi del capitale alla luce degli studi e studiosi che già un decennio fa l’avevano non prevista, ma costatata, il comportamento del capitale finanziario sembra dettato dalla logica del branco di lemmings.

  12. Una piccola, ma credo importante precisazione.
    “L’eBook e l’iPad (dannazione) ridisegneranno l’ecologia e il concetto di lettura…” dice Paolo S, ma questo è un “errore” che fanno in molti. L’iPad non serve per leggere i libri, piuttosto serve per venderli a quella fascia di acquirenti che poi manco li leggeranno. Per intenderci quelli che comprano libri alla moda o riempono librerie “a peso”.
    Lo so che io guardo alla questione più da un punto di vista “tecnico”, ma credo sia importante, soprattutto per gli “addetti ai lavori” e gli scrittori, comprendere quale sia il “supporto” e, di conseguenza, le future modalità di fruizione. 🙂

  13. Infatti Roberto, parlavo da avvocato prima che da scrittore 🙂 Diciamo che siamo alle schermaglie iniziali, fase ancora precedente a quella che può preludere a eventuali responsabilità precontrattuali. Insomma, il momento in cui si sparano le cazzate per sondare il terreno.

  14. @ Valberici
    Però l’Ipad (e il suo “hype”) può funzionare da formidabile sprone per la messa on-line di interi cataloghi librari elettronici. Ok, per leggere non va bene, ma intanto contribuisce a spingere. Ora come ora (pirateria a parte) non ha molto senso fornirsi di un ebook reader: sul mercato italiano si trova poco da leggere. E, probabilmente, se nel frattempo non fosse uscito l’iPad, ci sarebbe stato ancora meno.

  15. @Valberici, la tua precisazione è giusta, però non si leggono mica solo i libri: c’è gente che adora leggersi il quotidiano su iPad già oggi. No si può fare i conti senza l’iPad, per quanto sia scomodo come device di lettura…
    @Danae: ma perché dovrebbe essere qualcuno che fa i libri da 20 anni a dirmi come si faranno gli eBook? Non so perché, ma vedo un mazzo di figure più adatte a reinventare il medium… la cosa può anche non piacermi, ma in ordine sparso mi aspetto più idee nuove da: autori, pedagogisti, illustratori, programmatori, esperti di rete, videogiocatori, master di giochi di ruolo, videomaker, poeti, designer, art director dell’industria dei videogiochi, maestri di ogni ordine e grado…

  16. Io credo che l’iPad sia stato progettato per fare tutt’altro rispetto alla lettura di libri, e mi spingo a dire che è un qualcosa che avversa profondamente la lettura così come la intendiamo.
    Jobs ha più volte dichiarato che il libro è “finito”, non ha futuro, e non si è certo contraddetto con l’iPad, che intercetta una parte di mercato, propone il suo store e poi sostituirà progressivamente i libri con “altro”. Cosa sia questo altro non posso dirlo, ma penso che si tratterà di pubblicazioni che punteranno molto sull’immagine, sul sonoro e molto meno sul testo.

  17. ah, bè, certo, per come si stanno mettendo le cose, anch’io mi aspetto molto di più dal fronte “autori”!! Dico solo che è assurdo – per gli editori – dissipare così tanto patrimonio culturale solo per miopia…!
    Ecco, mi aspetterei che siano gli agricoltori i primi a capire come coltivare meglio i loro campi… Ma se proprio non ce la fanno (o non vogliono farcela, o stanno belli paciosi tra le braccia di mamma-mercato), ben venga l’intervento di altri! Peggio per loro!
    Si parlava nell’altro post dell’ipotesi di cooperative editoriali. Ignazio Silone (che abborriva la sola idea della proprietà privata e dell’impresa capitalista) in esilio in Svizzera ha tentato un’impresa del genere, con la Ghilda del Libro. Non è durata molto, ma andrebbe studiata meglio, quell’esperienza…

  18. Un altro dei motivi per cui Random House e’ incavolata e’ per l’esclusiva che Wylie ha dato ad Amazon per due anni. Anche li’ e’ un bel problema per le CE. Nel frattempo l’associazione che rappresenta gli autori sta dalla parte degli editori…non di Wylie ne’ di Amazon (e anzi, chiede l’intervento dell’antitrust: http://www.techflash.com/seattle/2010/07/random_house_disputes_amazons_latest_exclusive_e-book_deal.html)
    In Italia invece ci sono ancora persone che dicono che l’ebook arriva tra due generazioni (Ferrari, ex Mondadori). Allegria.

  19. Sarò babbione (questo è sicuro), ma queste discussioni con il bicchiere mezzo vuoto (non per tutti), mi fanno venire in mente Benedetto Croce, quando odorava i libri, li toccava, trovava piacere nello sfogliarli, si beava del fruscio della pagina letta, Altri tempi, chiaro, una mia “madeleine” senza costrutto.

  20. È molto interessante cio che dici, danae (scusa se prima ti ho imposto la maiuscola) “Dico solo che è assurdo – per gli editori – dissipare così tanto patrimonio culturale solo per miopia…!”
    Il modo in cui loro custodiscono il patrimonio culturale è legato a specifiche forme di mediazione (il libro come medium, ma anche la filiera del libro, dai manoscritti alle librerie, passando per le direzioni editoriali, le redazioni, la grande distribuzione organizzata, le biblioteche, i festival letterari…) che si sono stratificate nel tempo.
    Ma gli editori sono custodi e paladini di queste forme storiche o di quelle forze immateriali che costituiscono il valore del patrimonio culturale? Tanto per dire, tutta la componente feticistica legata ai volumi fisici, puf! Con l’eBook sparisce, e così pure tanta parte della cura tipografica della pagina. Al limite, potrei fare dei magnifici libri tradizionali di un autore senza averlo capito, con un fiuto tipografico eccezionale. Oppure, con un’ottima ed efficiente gestione di magazzino e ristampe, posso spremere taaanti soldi da una collana di titoli così-così. Se in vent’anni di lavoro o più editori&affini hanno affinato talenti di questo tipo, capisco il tipo di shock culturale che può trovarsi davanti…

  21. @vincent
    le due cose non sono incompatibili. Bisogna distinguere tra il piacere della lettura e il piacere del libro oggetto fisico. Io adoro entrambi, e ho una casa piena di libri fisici che amo accarezzare e sfogliare…ma la lettura va oltre il libro fisico!

  22. @demonio pellegrino: ah ne sono convinto che le due cose non sono incompatibili, ma era proprio un rimembrar di “voci lontane, sempre presenti”. 🙂

  23. @Wu Ming 1
    Però gli ebook sono indietro anche dal punto di vista della pirateria. Adesso come adesso non esiste nessun “Napster” per gli ebook, anche in inglese si riescono a trovare *facilmente* solo i bestseller, spesso in formati non adatti agli ereader o copie ottenute mediante OCR sul cartaceo, quindi fa ancora più ridere quando gli editori sventolano lo spettro della pirateria, ma anche per questo forse hanno ancora dei margini di manovra per comportarsi in maniera così reazionaria.

  24. @Paolo S,
    credo che gli editori si sentano custodi (anzi, padroni) dell’una dell’altra cosa: delle forme e delle forze. Non è del tutto sbagliato, secondo me, soprattutto se guardiamo alle CE fortemente connotate ideologicamente: certamente in questo caso ci sono forme di mediazione messe a servizio di forze immateriali.
    E’ un discorso molto ampio e molto profondo, che riguarda proprio la *cultura* in generale. Penso ai famigerati “servizi aggiuntivi” che avrebbero dovuto attrarre visitatori e quindi portare soldi ai musei: ho sentito, una decina d’anni fa, proporre da un “economista della cultura” l’idea geniale di pensare al merchandising delle biblioteche: foulard, ombrelli, penne con l’immagine, non so, della sala manoscritti e rari della Biblioteca Nazionale di Roma (?!), o della Biblioteca Marciana di Venezia.
    Alla fin della fiera, conti alla mano, i servizi aggiuntivi – come tutti quelli che hanno un po’ di lucidità e frequentano i musei hanno fin da subito previsto – non servono a niente: né ad attrarre visitatori (anzi, clienti), né ad aumentare gli incassi. Anzi, in alcuni casi possono “sciupare” l’immagine del museo e respingere i visitatori, anziché attrarli.
    Ecco, per tornare ai libri, non vorrei che questa occasione di apertura, di progresso (ah! si può ancora usare questa parola?), di ampliamento e diffusione delle idee si perdesse, e che la perdessero proprio quelli che hanno competenze e conoscenze per “fare le cose per bene”.
    I nostri commenti comunque continuano a mostrare che il feticismo del libro ben difficilmente si perderà, e poi, anche sul Kindle vorrei vedere un testo ben impaginato…

  25. @Valerio Vitelli: ieri ho fatto un giretto su emule per vedere quali fossero i libri disponibili illegalmente. Be’, diciamo che sono parecchi: ci sono centinaia di Urania, parecchi libri recenti, premi strega, e centinaia di titoli che non avevo mai sentito. E quando dico centinaia intendo centinaia. Mi ha sorpreso, non ci ero mai stato…
    per chi legge in inglese, metto il link a un’interessante intervista a un pirata americano di libri, che spiega quanto ci vuole a “piratare” un libro (in termini di tempo e soldi) e quale sarebbe il prezzo giusto secondo lui per rendere l’intero processo di pirataggio inutile: 10$.
    “What changes in the ebook industry would inspire you to stop participating in ebook file sharing?
    TRC: This is a tough question. I guess if every book was available in electronic format with no DRM for reasonable prices ($10 max for new/bestseller/omnibus, scaling downwards for popularity and value) it just wouldn’t be worth the time, effort, and risk to find, download, convert and load the book when the same thing could be accomplished with a single click on your Kindle.”
    http://www.themillions.com/2010/01/confessions-of-a-book-pirate.html

  26. @ Vincenzo,
    nel thread di ieri scrivevo questo: i segnali mi dicono che l’e-book è in crescita ed è un fenomeno importante, però è ancora (e rimarrà anche sul medio periodo) una modalità di lettura minoritaria. Negli USA il 78% dei libri è ancora venduto nei luoghi di smercio fisici, e nel 2009 la quota di mercato degli e-book è stata dell’1,5%. Nel 2010 potrebbe anche raddoppiare, ma sempre del 3% si tratterebbe. Cioè 97 titoli su 100 venduti in cartaceo. Sir Robin faceva notare che girano anche altri dati, ma questi sono quelli più “ufficiali” che ho trovato. E’ la fotografia della situazione attuale nel paese più interconnesso del mondo, il paese dove tutti hanno la carta di credito e dove il Kindle è in commercio da tre anni. La maggior parte dei lettori continuerà ancora per diversi anni a privilegiare il cartaceo. Tra l’altro, diverse ricerche dicono che molti che hanno il Kindle non per questo smettono di comprare anche libri tradizionali (è il caso, ad esempio, di Demonio Pellegrino).

    La mia (e non solo mia) contestazione a come si stanno comportando gli editori non deriva dalla convinzione che l’e-book diventerà maggioritario dall’oggi al domani, ma dalla mentalità inadeguata che queste mosse rivelano.
    Mi spiego meglio: io credo che il supporto cartaceo vivrà ancora, ma le case editrici – se continuano a ragionare così – perderanno clamorosamente il treno degli e-book.
    Chiaramente, perdendo un treno così importante, ci saranno ripercussioni su (leggi: ridimensionamenti di) tutta la loro attività.
    Tengo fermi due punti:
    1) Dopo anni passati a sottostimare la rete, quest’improvvisa fretta è sospetta, e questa sbandierata “voglia di nuovo” appare strumentale. Semplicemente, i grandi editori vogliono imporre fin da ora le loro *vecchie* condizioni (svantaggiose per tutti gli altri soggetti coinvolti) in un segmento di mercato che ha grosse potenzialità;
    2) Costoro si comportano ancora come se operassero in regime di oligopolio e di rarefazione dei media e delle opportunità. Pensano di essere ancora il nodo di transito irrinunciabile che erano un tempo. Questo in un mondo dove molti più soggetti “pubblicano”. Se non cominciano a “visualizzarsi” in un altro modo, sarà questo approccio a farli capottare, non tanto l’e-book in sé. Per quanto possa sembrare strana come affermazione, io penso che gli e-book siano “solo” il modo che la contraddizione ha scelto per manifestarsi. Ma la contraddizione è più vasta, e attendeva solo di farsi visibile.

  27. Assolutamente urge alimentare un fermento dietro agli ebook.
    Fermento culturale, mi ricordo all’inizio della diffusione massiccia dei pc e poi di internet che giravano i primi floppy con dentro i magici “ipertesti”, woah…
    bisogna creare e distribuire siti e luoghi digitali per scambiare e raccogliere ebooks, la tecnologia ci permette di creare delle rivste, caffè letterari (come lipperatura qui) ma anche librerie di raccolta e smistamento.
    poi gli editori verranno a chiedere i libri elettronici di successo nella rete col cappello in mano per stamparli di carta.
    se non si alimenta un fermento in merito, però, gli autori non possono avere una sponda che non sia l’amazon o il ibs di turno che sono totalmente superflui. siamo noi per primi che dobbiamo pensare diversamente, creare un flusso di testi parallelo a quello di carta noi per primi, se no aspettiamo che siano gli editori a fare i primi passi.
    D.

  28. Condivido il pensiero di Marotta.
    Mi permetto di sottolineare che oltre allo scardinare l’istituzione dell’editore non in quanto figura ma in quanto possessore di potere assoluto bisogna approcciarsi al prodotto culturale diversamente: deve essere considerato in quanto tale e in quanto derivazione di una mente e non come scrematura di terzi.
    La “cultura” non deve essere filtrata da questi soggetti politicizzati (in senso lato) e faziosi (sempre in senso lato) ma deve essere autopoietica e autopubblicizzata.
    La penetrazione dei nuovi mezzi e quindi degli e-book è limitato e rallentato da un modo di pensare stantio che a mio avviso e difficile da modificare.
    Ma….abbiate, abbiamo fiducia!

  29. sì, WM1, questa chiave di lettura più ampia mi sembra assai feconda…
    quando sono in gioco le idee e la loro diffusione e comunicazione e circolazione, il mercato, il turbocapitalismo, può anche provare a cavalcare l’onda, ma arriva sempre dopo, e sempre male, sconnesso…

  30. @puolene,
    direi che mi convince di più l’idea di un “oggetto culturale” frutto di idee che si muovono all’interno di una collettività che ascoltano e osservano. E che poi si fanno prassi. Un “oggetto culturale” (libro, quadro, poesia, fumetto, film, canzone, danza…) che parla a quella collettività. Una diffusione orizzontale, insomma. L’autore che si pone come individuo auto-ecc. secondo me non fa molta strada, e poi è infelice (lotta da solo?)

  31. infatti danae, deve essere la collettività di autori, lettori appassionati, (come siamo qui per esempio) ad attivarsi e con poco sforzo creare delle realtà concrete in cui smistare e condividere letture digitali.
    Il futuro è già presente, questo, per esempio non è come una rivista letteraria e un caffè letterario fusi insieme? Non c’è altrettanta attenzione che in una redazione qualsiasi?
    Basta veicolare manoscritti e testi amati per essere una realtà concreta e capillare alla faccia dei dinosauri dell’editoria.
    D.

  32. Il rischio è che le nostre categorie ci facciano adattare la rete a dinamiche preesistenti, anziché produrne di nuove.
    Purtroppo noi imitiamo anziché creare, prima c’erano i siti, poi qualcuno ha fatto un sito tipo diario aggiornato tutti i giorni ed è nato il blog allora tutto il mondo si è messo a fare blog.
    Dobbiamo usare le forme che prendono piede, ma anche cercare d iandare oltre.
    La dipendenza dal mercato e dalla tecnologia ci predispone ad attivarci solo quando si introducono strumenti nuovi, mentre magari già quelli che abbiamo sarebbero sufficenti, così oggi invece di essere gli ebook, esistenti da decenni, a fare la rivoluzione aspettiamo che siano gli ebook reader.
    La lotta tra editori e rete allora, diventa una questione sciocca come quella tra discografia e mp3. Guardate i giovanissimi come usano you tube, è già la televisione del futuro a dispetto di quanto ci mettono gli editori dei canali tv.
    Credo che se negli anni sessanta i beatles avessero avuto gli mp3 oppure se davi internet a Benjamin Franklin o Borges mica aspettavano l’ipad o l’ipod per fare la rivoluzione semplicemente si inventavano un modo per scombussolare tutto e via.
    Sono riusciti a fare Woodstock col passaparola è possibile che noi si debba aspettare che scendano i prezzi dell’e-book reader per iniziare a cambiare qualcosa? Non è che per caso, editori a parte, ci mancano le idee, la grinta e la creatività? Prima si facevano i giornali col ciclostile e l’inchiostro, negli scantinati, per poche centinaia di persone. Le grandi case editrici sono nate con l’olio di gomito e i sacrifici oltre che il talento di creare ambienti culturali stimolanti in autentico fermento.
    Oggi potrebbero nascere frotte di editori elettronici di tutti i generi che potrebbero campare tranquillamente vendendo gli ebook a 4 euro e facendo 50 e 50 % a download con gli autori, e invece aspettiamo che arrivi amazon a insegnarci come fare.
    Questo blog è la prova provata che nello spazio adeguato le persone non vedono l’ora di cimentarsi, confrontarsi e partecipare, senza pensare a quanto mi stanco gli occhi, a quanto è meglio o più autorevole la rivista stampata o se sia nato prima l’uovo o la gallina.
    C’è un po’ di fermento, grazie all’impegno di Loredana, e tutti a capo fitto a partecipare a questo fermento.
    Le chiacchere stanno a zero.
    Se gli editori di riviste si mettessero a competere con le informazioni presenti in rete avrebbero già chiuso da tempo, io non compro più le riviste in edicola perché in tre secondi mi trovo la recensione o la ricetta o l’articolo scentifico o fotografico.
    Coi libri è uguale se ci fosse un minimo di editoria digitale dinamica come lo sono i blog e di fermento, gli editori verrebbero subito scalzati e sarebbero costretti a venire in rete a cercare i casi letterari digitali.
    Se cambiamo visuale ci rendiamo conto che è una non-questione, in realtà, basta fare diventare la rete lo spazio per la letteratura giovane e-o esordiente, e poi chi viene contattato dagli editori decide se e come andare su carta.
    L’idea di dover mettere un pdf su un sito tipo ibs o simili vincolato da un contratto, mi sembra risibile, meglio metterselo in proprio.
    Tanto se sei esordiente non ti caga nessuno lo stesso.
    Gli eserciti di scrittori meno famosi o esordienti si risparmierebbero tante menate e potrebbero creare correnti e dinamiche nuove dove avrebbero tutto da guadagnare.
    La rete è auto marketing naturale, avete mai visto le ragazzette che fanno i tutorial di trucco o parrucco su you tube? beh guardatele, sono un piccolo esercito; quelle senza tanti sofismi già sono avanti, si fanno i canali con centinaia e centinaia di seguaci e migliaia di visite giornaliere.
    Con la letteratura potrebbe essere la stessa cosa, se si creano dei minimi canali poi il pubblico e la selezione naturale della rete farebbero il resto.
    D.

  33. WM1: ma certo l’e book è ancora un fenomeno minoritario surtout in Italia e questa fretta attuale è sospetta e cattiva consigliera (foriera di cosa?). Il mio era proprio un post nostalgico, un vecchio ricordo scolastico di una appassionata lezione su Benedetto Croce. In realtà quando non è carta riciclata, i libri fanno anche pensare a deforestazioni “sciammanate” e a parte questo, tutti noi poi li odiamo quando non sappiamo dove metterli, ce li ritroviamo finanche nei cassetti, non ci vengono restituiti da amici distratti o cleptomani, sono (almeno i miei) strapieni di polvere. Dunque a parte “nostalgie canaglie” l’ebook è una grandissima occasione.L’importante è che il tutto non venga trasformato in merchandising da gruppi editoriali finanziariamente predominanti.

  34. Bisognerebbe espandere il concetto di “perdere il treno dell’e-book” proposto da Wu Ming 1. Ma le domande sono infinite…
    Quali sono le funzioni di una CE? E quali sono le funzioni ESSENZIALI delle CE? Quali funzioni possono essere esternalizzate? Di queste, quali sono quelle che devono fare i conti con il mercato? Quali competenze e figure professionali sono necessarie per far funzionare le funzioni essenziali?
    Quali soggetti o quali aspetti della filiera del libro sono indipendenti dalle CE tradizionali in un ipotetico scenario all-digital per il “libro”?
    Per quali aspetti l’ipotetico scenario all-digital, invece, ha necessità di appoggiarsi alle CE?
    Quali “terze parti” potrebbero sconvolgere equilibri consolidati?
    Quali fenomeni legati alla rete potrebbero suggerire nuovi modelli (il wiki, il bar camp, i social network, il microblogging, il marketing virale …)?
    Mi rendo conto che ogni domanda ne apre a sua volta altre (l’essenziale per una CE generalista è ben diverso da quello della piccola CE di saggistica legata alle università ecc ecc…) ma soprattutto ipotizzo che per chi è molto specializzato nelle “forme” più che nelle “forze” del libro o chi al contrario è molto grande e strutturato sarà difficile rivoluzionare davvero o adeguarsi alla rivoluzione che partirà da altrove…

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