GLI EDITORI RISPONDONO

Le reazioni degli editori all’intervista con Roberto Santachiara. Su Repubblica di oggi, e qui.

Abbassare il prezzo dell’Iva sui libri elettronici, ridiscutere i rapporti fra autore e editore, essere presenti sul mercato digitale. Gli editori italiani insistono sulla necessità di pubblicare on line subito e di posticipare la decisione sul diritto d’autore. “Sono convinto che tutto il processo vada rivisto e che le percentuali debbano cambiare – sostiene Riccardo Cavallero, direttore generale della Divisione Libri Trade del gruppo Mondadori – Ma il modello che si sta delineando è quello che prevede per gli autori una royalty più bassa – attorno al 25%- per i primi due anni, considerando lo sforzo fatto dall’editore per posizionare il libro sul mercato. E poi, superato il secondo anno, si arriverà a una ripartizione diversa che, a seconda del peso dell’autore, oscilla fra il 40 e il 50%.. Quel che è certo è che gli editori che ritengono di poter mantenere le posizioni di privilegio che il mondo cartaceo prevedeva sono fuori strada. Né penso che sia possibile mettersi alla finestra e aspettare di vedere cosa accade. Il mondo della rete è particolare e bisogna esserci subito: tutti guadagneremo meno soldi, autori e editori. Il cinema e la musica ce lo hanno insegnato. Ma bisogna partire. Al limite sbagliare, e poi rettificare”.

“Si sta creando una contrapposizione fittizia fra autore e editore per quanto riguarda l’eBook”, dice Gianluca Foglia, direttore editoriale di Feltrinelli. “Certo, bisogna negoziare la giusta quota dei diritti, ma senza porsi su fronti antagonisti. Sicuramente è vero che il libro elettronico elimina alcuni costi legati al libro fisico come stampa, magazzino, distribuzione e gestione delle rese. Ma sarebbe un errore considerare il lavoro dell’editore solo sulla base di questi elementi, oltre ai quali esiste un lavoro di accompagnamento all’autore nella stesura e al libro nella comunicazione e uscita sul mercato. Parlare di diritti al cinquanta e cinquanta non tiene conto di questi fattori”.

Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del gruppo GeMS, fa due conti: “Nel prezzo di copertina di un libro cartaceo, il cosiddetto fisico occupa il 60% fra costo della carta, distribuzione e sconto al libraio, promozione. Nel caso dell’eBook, il 20%, come detto, va all’ufficio Iva, il 30 alla piattaforma. Siamo al 50. Ma se un editore non vuole consegnare tutto ad Amazon deve mettere in piedi un minimo di struttura commerciale che si interfacci con Apple, Ibs e gli altri clienti. Siamo tornati al 60% di costo fisico. Senza considerare che l’editore che investe nel digitale non smette di lavorare sul cartaceo: su 150 dipendenti, solo quattro si occupano della parte “fisica” di un libro. All’autore va comunque un 14% , che è una percentuale più che rispettabile”. Mauri lancia anche un’ipotesi editoriale per il futuro: .”Non escludo che, quando il mezzo sarà diffuso, gli esordienti vengano pubblicati prima in eBook e i migliori passino alla carta”.

Dove tutti concordano è sulla necessità di abbassare l’Iva dal 20% del software al 4% del cartaceo. Marco Polillo, presidente dell’AIE, sbotta: “Se Santachiara è capace di convincere Tremonti e l’Unione Europea, si accomodi. E’ evidente che, come Associazione Italiana Editori, siamo perfettamente d’accordo che l’Iva debba scendere al 4% e che ci debba essere un’equiparazione per un prodotto che è pur sempre frutto dello stesso ingegno. Ci stiamo lavorando in sede comunitaria. Così come stiamo lavorando per quanto riguarda le tariffe postali agevolate per gli editori”. Foglia definisce quella dell’Iva “l’emergenza numero uno. Abbiamo sottoscritto un documento promosso da Gallimard e sono state messe in atto forme di pressione a livello internazionale. Forse gli editori italiani hanno peccato a non farne questione prioritaria dal punto di vista della comunicazione. Ma ce ne stiamo occupando”. Durissimo Cavallero: “L’Iva al 20% è un grande regalo che i governi d’Europa stanno facendo alla pirateria. Oltretutto, con l’Iva non uniformata all’interno delle varie nazioni si rischia di avere migrazioni dei negozi virtuali nei paesi con Iva più agevole, primo fra tutti il Lussemburgo E’ stato un errore della comunità europea non aver concepito l’eBook come libro ma come servizio. Un errore gravissimo”.

117 pensieri su “GLI EDITORI RISPONDONO

  1. @Anonimo
    Prima di versare sangue inutilmente…ti rimando ad un altra pietra miliare della sci-fi, Douglas Adams e alla sua guida galattica (1978) che alla prima pagina (digitale ovviamente) intimava ai viaggiatori: DON’T PANIC! Mi scuso se sembra che stia prendendo alla leggera una situazione che da un altro punto di vista puo’ magari sembrare piu’ drammatica, ma onestamente, da accanito lettore e amante dei libri credo che TUTTI stiano dimenticando una cosa: come riusciranno a convertire milioni di persone che non leggono manco un volantino in avidi lettori di libri su Kindle o Ipad etc etc. Probabilmente il prossimo Natale la Amazon e alcune altre case produttrici ed editori faranno incassi sopra la norma, maggiori dell’anno precedente etc etc…in parallelo si scoprira’ che le librerie invece avranno avuto il peggior Natale di sempre…e cosi’ via…e’ sempre il solito discorso…si cercano nicchie si fa’ un sacco di casino…qualcuno compra… ma il mercato non e’ poi tanto piu ampio di quanto previsto anzi…e’ esattamente delle dimensioni che tutti gli operatori gia’ conoscono…io magari lo compro come ho detto…ma solo perche’ ne ho le possibilita’, perche’ gia’ leggo e forse perche’ sono un cogl..ne…lo faro’ con la stessa curiosita’ con cui comprai lo Spectrum ZX…ma con molto meno entusiasmo ed illusione.

  2. Anche io, non vorrei dire una sciocchezza, ma visto che un libro non è una macchina, che ha bisogno di molti operai specializzati che la producano, ma una cosa diversa, il lavoro nel settore, visto che si sfonda un mercato nuovo, paradossalmente potrebbe aumentare. Credo è.

  3. @Wu Ming 1 Se vi importa veramente del destino dei lavoratori del settore contattate le loro rappresentanze sindacali, chiedete di poter partecipare agli incontri sindacali coi lavoratori. Verificate qual’è la condizione dei lavoratori del settore, quali sono gli scenari futuri che si prospettano dal punto di vista dell’occupazione. Se condividete le loro posizioni e preoccupazioni rendetevi disponibili per partecipare attivamente alle loro lotte sindacali presenti e future. Altrimenti i primi a favore il divide et impera sarete voi e con che diritto potreste chiedere la solidarietà della gente comune sulla questione dei diritti d’autore? Come autori e intellettuali potreste dare un grosso apporto, ma questo sono certo che non ve lo devo io… Al digitale non ci si può opporre? Va bene, ma non bisogna neppure accettarlo a qualsiasi condizione e a qualunque prezzo.

  4. @Alessandro Ansuini Purtroppo i proprietari della “macchina” vorrebbero fare il doppio della strada con metà benzina. E poi magari, per risparmiare ulteriormente, si rivendono cerchioni, tergicristalli, specchietti retrovisori ecc… Dove finiranno tutti questi soldi risparmiati? Mistero…

  5. scusatemi, capisco le buone intenzioni, però…
    le rappresentanze sindacali dei lavoratori del settore? non esistono! avete idea dei rapporti di lavoro per le mansioni “intellettuali” in una CE? il nostro contratto collettivo è – se non sbaglio – quello dei poligrafici… Ma davvero pensate che i redattori, i grafici, i correttori di bozze abbiano contratti a tempo indeterminato?
    Al limite, gli addetti al magazzino… ma se una casa editrice medio-piccola (sono le più numerose) ha un magazzino, gli addetti non sono più di 4-5… che riunioni sindacali volete che facciano?
    L’imbuto è troppo stretto ragionando così, a mio parere. La lotta che si deve fare deve essere una lotta sulle idee e sulle buone pratiche.
    La buona pratica degli autori? Scrivere bene, mettersi in gioco, parlare a una comunità, mostrare piste di cambiamento (non tirarci in faccia descrizioni ombelicali).
    La buona pratica degli “intellettuali” della CE? Mettersi al servizio degli autori per far sì che riescano a usare i modi migliori per esprimersi.
    La buona pratica degli editori? Fare in modo che le parole degli autori arrivino il più lontano possibile, creino processi virtuosi.

  6. @danae: Ecco, hai toccato un nervo scoperto: non ci sono rappresentanze sindacali dei lavoratori del settore, non ci sono riunioni, non ci sono contratti a tempo indeterminato… Tu suggerisci di applicare, a tutti i livelli, delle buone pratiche, più costruttive per l’intero settore. Sì, va benissimo, ma non basta. Se i lavoratori (e con questo termine mi riferisco anche agli autori) non sono rappresentati da nessuno chi difende i loro interessi? Forse hanno ragione quelli del marketing che citavi in un commento precedente: forse questa è veramente una svolta, magari non quella che si aspettavano loro… Questa “frammentazione” dei lavoratori è la stessa che si ritrova anche in altri settori (il terziario per esempio) e serve proprio a scongiurare il pericolo maggiore: la formazione di un fronte comune, di una “massa critica” che possa dire la sua sulle decisioni aziendali. Lo dico chiaramente, tanto ormai credo si sia capito dove voglio andare a parare, bisogna sindacalizzare il settore e gli autori devono fare la loro parte esattamente come tutti gli altri lavoratori dell’editoria. In caso contrario, mi spiace, ma gli editori hanno il coltello dalla parte del manico.

  7. Anonimo il tuo discorso è più generale, e ovviamente condivisibile. Nello specifico, come ho scritto, credo che il lavoro nel settore aumenterà, ciò che può accusare un qualche tipo di contraccolpo potrebbero essere i trasporti e lo stoccaggio di libri ma, avendo lavorato nel settore dei trasporti, posso dirti che un bancale di libri lo stostituisci con un bancale di un’altra cosa, merceologicamente cambia poco. Invece aumenteranno le specializzazioni, nasceranno figure che ora non ci sono. Io la vedo così, per ciò che concerne l’editoria. E siamo anche d’accordo che comunque tenteranno di fregare in ogni modo i soggetti più deboli, non ci piove su questo. Ma è appunto una questione più generale.

  8. @ Anonimo,
    prima ci esorti a partecipare alle riunioni delle rappresentanze sindacali dei dipendenti. Nel commento dopo, dici che non ci sono riunioni né rappresentanze sindacali dei dipendenti. Prima ci dici che dobbiamo schierarci con il soggetto X, poi che il soggetto X non forma alcuno schieramento. Siamo a posto così, ciao.

  9. @Wu Ming 1 Se hai la pazienza per seguirmi proverò a spiegarmi meglio. Il soggetto X è disorganizzato da un punto di vista sindacale, non ha piena coscienza dei propri diritti e dei propri doveri (danae, per esempio, scrive “il nostro contratto collettivo è – se non sbaglio – quello dei poligrafici…”). Questa condizione, naturalmente conviene al datore di lavoro del soggetto X che è l’editore che – guarda un po’ – è pure il tuo datore di lavoro e adesso ti sta strangolando sulla questione degli ebook. Su quella stessa questione domani strangolerà tutti gli altri suoi dipendenti, chiaro? Ora, segui il ragionamento, tu da solo sei un soggetto sindacalmente debole, gli altri lavoratori del settore idem: perché non stabilire un punto di incontro comune e collettivamente rivendicare i propri diritti? In questo contesto cosa potresti fare tu come scrittore e intellettuale? Prestare la tua conoscenza e la tua intelligenza per aiutare i soggetti più deboli di questo settore a capire quali sono i loro diritti e i loro doveri e come organizzarsi per ottenerli. Spero di essere stato più chiaro. Però adesso smettila di fare orecchie da mercante, altrimenti cominceremo a pensare che la questione semplicemente non ti interessa. Se ti sta bene così non mi straccio di certo le vesti, semplicemente ti giochi la solidarietà di un lettore (e magari anche di qualche dipendente delle case editrici) e mi pare che questa ti interessasse. In questo caso tanti saluti e in bocca al lupo per i tuoi diritti d’autore!

  10. @Alessandro Ansuini: Probabilmente hai ragione sulla questione de trasporto e dello stoccaggio. Sulla nascita di nuove figure professionali e sulla specializzazione di quelle esistenti penso ci sia da fare un po’ di chiarezza. Al momento non è ben chiaro chi dovrà formare questi nuovi professionisti e quali saranno le loro mansioni, i loro diritti e i loro doveri. Intravedo dei rischi enormi per il settore se l’intera trasformazione sarà lasciata nelle mani delle aziende che, dall’altra parte, non hanno un soggetto forte (i lavoratori) con cui confrontarsi. Sappiamo tutti quali sono le trafile degli stagisti…

  11. @ Anonimo,
    il mio “se non sbaglio” si riferiva alla dicitura ‘poligrafici’. Quello che volevo intendere è che nell’ambito dei CCN non esiste il concetto di “redattori”, o “correttori di bozze” separato da quello delle altre funzioni nell’ambito delle CE (e così per i vari settori).
    Ripeto: capisco le buone intenzioni e immagino che tu abbia a che fare direttamente con queste realtà. Da parte mia, non amo molto che “mi si sindacalizzi”. E’ vero: occorre capire diritti e doveri. E’ vero: occorre aiutare i più deboli a capire i propri diritti. Ma, come farlo? Cioè, come farlo ora, in una fase di transizione così importante nel mondo dell’editoria?
    E perché dovrebbero mettersi gli autori a farlo?
    Solo questo non riesco a capire del tuo ragionamento…
    Personalmente, non ho bisogno della solidarietà di WM1 (scusami, eh! 🙂 ) per le mie battaglie in CE. Però, certamente ho bisogno delle cose che scrive WM1 (e vabbè, dai, già che ci siamo ti prendo a esempio di buona pratica letteraria), perché può aiutarmi a trovare nel mio settore nuove chiavi di lettura, nuovi modi di essere presente a me stessa e alla società (anche la micro-società nella quale lavoro).
    Poi, se WM1 ha voglia di farsi un giro nella CE in cui lavoro a farsi due chiacchiere, per carità, è sempre il benvenuto! Però, non gli chiedo di fare l’Epifani della situazione, ecco…
    Sindacalizzare l’editoria mi sembra una fatica immane, al limite della proponibilità (quale sindacato entra nelle CE? 1, 2, 3, n sindacati? c’è rischio che ci siano più rappresentanti che lavoratori). Non so, guardando da dentro, e non affacciandomi su una situazione rosea, continuo a pensare che la soluzione sia nel “fare rete”, “mettere insieme idee e proposte” in modo più costruttivo.
    Non vedo negli editori dei mostri: ma se anche lo fossero, la realtà nella quale ci troviamo ora è così fluida che noi per primi, noi lavoratori intendo, dobbiamo renderci conto che la tendenza non è quella a cui si preparano i padroni del vapore. E se noi per primi conosceremo la nuova realtà e la sapremo usare (uso i verbi al futuro, ma dovrebbero essere al presente), giocoforza gli editori dovranno seguire noi. Non potranno fare altrimenti. Non potranno che abbandonare la gestione verticale… Non hanno il coltello dalla parte del manico. Se noi l’abbiamo capito, dobbiamo fare leva su questo.

  12. @danae: scusa se rispondo così in ritardo, non avevo la possibilità di accedere a Internet. Brevemente, secondo me sbagli ad intendere la sindacalizzazione come una specie di malattia venerea 🙂 Una sana sindacalizzazione dei lavoratori (che parte sempre dalla consapevolezza del proprio ruolo nell’azienda e termina con il coinvolgimento attivo di ogni singolo lavoratore con una buona idea nei processi creativi…) serve anche e soprattutto a migliorare le dinamiche di lavoro e la qualità della produzione e quindi, in definitiva, aiuta l’azienda a fare profitti e a crescere. Il punto è che, temo, gli uffici di dirigenza di molte CE non sono interessate a far crescere le proprie aziende, ma solo a fare il maggiore profitto possibile. Quando poi la candela si è consumata, l’azienda non c’è più e loro se ne vanno a distruggerne un’altra (sì, lo so, generalizzo, ma ammetterai che questo genere di storie è all’ordine del giorno in Italia!). Questa non è un’opinione solo mia, ma mi rendo conto che al momento è poco diffusa, oggi si sceglie l’ottimismo 🙂 Venendo alle tue domande. Come sindacalizzare i lavoratori di una casa editrice (di qualsiasi dimensione)? Molto semplicemente bisogna chiedere la consulenza di un sindacato tra quelli esistenti che ci sono proprio per aiutare i lavoratori ad organizzarsi. Tutto qui? Sì. Non c’è altro da fare. Va fatto in fretta, meglio subito, proprio perché – come scrivi – questa è una fase di transizione importante del mondo dell’editoria. Queste cose che scrivo, ovviamente, molti autori che lavorano per le CE le sanno già, avrebbero potuto dirle ai lavoratori delle CE molto chiaramente e molto prima di me, ma non l’hanno fatto. Io dico che questo è il momento per loro (perlomeno per quelli che difendono il valore della solidarietà tra lavoratori) di farsi avanti e recuperare l’iniziativa perduta. Non dubito che il “calcio d’inizio” potrebbe darlo anche un magazziniere di Feltrinelli (faccio un esempio), so che nelle CE ci sono persone in gamba (a volte molto più degli autori ;-), ma bisogna riconoscere che gli autori di una casa editrice hanno anche un diverso peso mediatico e questo potrebbe fare la differenza. Mi domando perché non metterlo a disposizione per il bene comune… Inoltre loro potrebbero funzionare da “collettore” iniziale perché sono super partes (prima di decidere a che sindacato rivolgersi bisognerà pure che si parlino i lavoratori, no? Perché gli autori non potrebbero farsi promotori di riunioni di questo genere?). Per quanto riguarda il resto delle tue riflessioni, cara danae, prego che tu abbia ragione: quello che auspichi sarebbe magnifico per tutti. Lettori compresi.

  13. @Anonimo,
    no, venerea no, se la prendiamo dal lato medico. Se invece la prendiamo dal lato mitologico, invece, credo venga da venere tutto quello che dici a proposito della partecipazione attiva dei lavoratori anche ai processi creativi dell’azienda. E tutto quello che viene da venere mi piace.
    Dove vedo il problema? Nello strumento sindacale per come lo conosciamo. Ripeto: parlo per esperienza. Tu dici “Molto semplicemente bisogna chiedere la consulenza di un sindacato tra quelli esistenti che ci sono proprio per aiutare i lavoratori ad organizzarsi”. Molto semplicemente? No, sai, non e’ per niente semplice. L’ho visto accadere davanti ai miei occhi la prima volta che siamo riusciti a organizzare una specie di assemblea dei lavoratori nella CE in cui lavoro. Pensi che tutti siano d’accordo nel chiedere “consulenze”? No. Pensi che tutti siano d’accordo nel chiedere consulenze a un solo sindacato? No. I lavoratori delle CE non sono tutti di sinistra, non sono tutti pro CGIL (o tutti di destra, o tutti di centro, o tutti di nessuna parte politica…).
    Per questo non vedo nel sindacato la risorsa giusta. Le forme sindacali – per come sono strutturate ora – non funzionano nell’editoria.
    L’editoria (come tutto quello che ha a che fare con la cultura) e’ difficilmente strutturabile: questo da un lato rende complicato far sentire la propria voce, ma dall’altro da’ modo di inventarsi modi nuovi di intendere il lavoro e l’organizzazione del lavoro.

  14. @danae. Ok, ammetto di aver indorato un po’ la pillola: non è semplice. Questo però non vuol dire che sia impossibile (te lo dico per esperienza personale). Chiaro c’è da faticare parecchio, ma nessuno ha mai detto che la lotta sindacale sia una scampagnata. Come pensi che abbiano conquistato i nostri nonni e i nostri padri i pochi diritti che ancora ci rimangono? Comunque, anche ammettendo che hai ragione quando dici che i sindacati per come sono oggi non sono adatti a rappresentare i lavoratori dell’editoria, prima di buttarli a mare forse bisognerebbe pensare se non si possano in qualche modo cambiare. Esiste anche l’opzione dei sindacati autonomi… E’ difficile trovare un terreno comune sull’inclinazione politica (o sulla sua assenza), ma gli interessi sono condivisibili da tutti, no? Tutti ci tengono a non perdere il proprio posto di lavoro, a migliorare la propria condizione di lavoro, a fare il proprio dovere e a vedersi riconoscere i propri diritti. O forse no? Ora però, anche se il discorso a me interessa molto, mi pare stiamo andando un po troppo OT e non vorrei annoiare gli altri lettori di questo blog 🙂

  15. Mi affaccio timidamente a questa discussione molto specializzata. Siccome alcuni di voi hanno accennato agli autori, io vorrei dire qualcosa come autrice semi-sconosciuta.
    Ci sono vari tipi di autori, quelli di saggistica, di manualistica, di scolastica, di narrativa, ecc. Ma prendiamo un autore di narrativa, quello che generalmente chiamiamo scrittore. E prendiamo uno scrittore che faccia (o vuole fare) solo lo scrittore e non in parallelo il giornalista, il medico, l’avvocato, il calciatore, ecc. Questo scrittore tout court a cosa dovrebbe interessarsi e di cosa dovrebbe occuparsi? In quanto scrittore a tutto tondo si interessa un po’ di tutto, per poi trarre dal tutto storie interessanti. Bene.
    Quindi potrà prendere atto di queste nuove realtà editoriali, ebook, siti di editoria online, ecc., ma non può entrare in tutti i dettagli, non può, altrimenti farebbe un altro mestiere, che so l’informatico o l’esperto marketing.
    Voglio dire, uno scrittore deve dedicarsi ai contenuti/forme (cioè al “libro”) e assicuro che non è attività facile, è un’attività che prende 24 ore su 24, perché ci si addormenta e ci si sveglia con la “storia” in testa e non si ha pace finché non si trova il modo di scriverla nel migliore dei modi.
    Come può, questo autore trovare tempo e energie per comprendere il complesso mondo del marketing editoriale? Sento dire che alcuni autori si vendono da soli in internet, attraverso vari strumenti. Ma chi può farlo? Chi ha una minima conoscenza di come funzionano i siti e i motori di ricerca e i posizionamenti per incrementare le visite, ecc. O chi ha qualche amico che gli fa il lavoro al costo di una cena.
    Insomma, credo che ognuno debba fare il suo, se vuole farlo bene.
    Forse sono stata confusa, anzi sento di essere stata confusa, ma… okay, torno nella mia tana a scrivere storie.

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