LE DONNE, LE ARMI, I DRAGHI: BREVI APPUNTI SU GAME OF THRONES

Oggi e lunedì e parecchie persone, fra cui la sottoscritta, aspettano che sia sera per vedere la terza puntata dell’ultima stagione di Game of Thrones, incrociando le dita per la sorte dei propri personaggi preferiti, e anche per quelli che non sono fra i più amati ma a cui ci si è affezionati nel corso degli anni.
E’ normale anche che ci sia chi sbuffa, ghigna, mette all’indice quegli stupidotti che guardano robaccia medievale in salsa fantasy invece di dedicarsi alle cose serie, e che, si suppone, sono schiavi del capitalismo delle serie Tv. I social sono fatti per questo.
Però, ecco su GoT bisogna riflettere un po’ di più prima di bollarlo come insensato anelito ai tempi passati cui non occorre più guardare (ci sarebbero un paio di cose da dire sul legame tra Shakespeare e la saga, perché George Martin attinge dichiaratamente al bardo e alle tragedie dell’epoca, ma pazienza). Molto meglio di me lo dice qui un fine studioso come Edoardo Rialti, che delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, da cui la serie è tratta, è il nuovo traduttore dopo la scomparsa di Sergio Altieri.
E qui, per storielibere.fm, Michela Murgia e lo stesso Rialti riflettono su come l’immaginario stia cambiando anche (e non solo, certo) in virtù della centralità dei personaggi femminili della saga.
E’ interessante, questo punto, perché me ne ricorda un altro, che risale a due anni fa. “Date spazio a un autore misogino, vergognatevi”. L’invito alla vergogna provenne da un’autorevole psicoanalista quando Radio3 produsse un ciclo della trasmissione Pantheon dedicata a J.R.R. Tolkien. E’ stato difficile smentire la vulgata, che perdura ancora, persino dopo la straordinaria lezione che Wu Ming 4 tenne al Salone del Libro di Torino nel 2017, dove si dimostrava come semmai il professore di Oxford avesse ribaltato l’immagine femminile non solo medievale dando vita a personaggi nuovi (e come nel maschile si compenetrasse il femminile, faccenda non secondaria). La questione che interessava Tolkien e da cui muove Il Signore degli Anelli era quella del Male, laddove tutti i personaggi con il Male si confrontano: il Male, in Tolkien, non è mai assoluto, è semmai, come ebbe a scrivere proprio Wu Ming 4, “una sorta di decadimento del Bene. Gli Orchi sono Elfi decaduti, così come Gollum è l’ombra di uno hobbit che un tempo si chiamava Smeagol. Un’ombra che solo per un crudele quanto provvidenziale caso non compie la sua redenzione, il ritorno a se stesso che Frodo era riuscito ad avviare. Da qualsiasi lato la si prenda, l’incastro etico realizzato da Tolkien è molto complesso e ha pochi eguali in letteratura”. Del resto, è lo stesso Tolkien a sottolinearlo:
“Gli elfi non sono completamente buoni o nel giusto. Non tanto perché hanno flirtato con Sauron; quanto perché con o senza il suo aiuto erano degli ‘imbalsamatori’. Volevano la botte piena e la moglie ubriaca: vivere nella Terra di Mezzo, nella storia e fra i mortali, perché ormai ci si erano affezionati (e forse lì avevano tutti i vantaggi di essere una casta superiore), e così tentare di fermare i cambiamenti e la storia, fermare la sua crescita, considerarla un luogo di delizie, anche se in gran parte deserta, dove loro potevano essere gli ‘artisti’ – e contemporaneamente essere pieni di tristezza e di rimpianto nostalgico. A modo loro gli uomini di Gondor erano uguali: un popolo in estinzione per il quale l’unica cosa sacra erano le tombe. Ma in ogni caso questa è anche la storia di una guerra: stabilito questo, non serve a niente lamentarsi che la gente schierata da una parte è contro quella schierata dall’altra. Non che abbia reso tutto semplice: ci sono Saruman, e Denethor, e Boromir; e ci son tradimenti e discordie persino in mezzo agli orchi”.
(Lettera 154, 25 settembre 1954)
La premessa tolkieniana è utile a capire l’universo di George R.R. Martin: che più che all’etica è interessato alle mutazioni dei personaggi quando entrano in contatto con il potere. Martin ha sempre detto che la sua Westeros somiglia alla Quarta Era di Tolkien, l’Era degli Uomini dopo la partenza degli Elfi dalla Terra di Mezzo. La magia non c’è, almeno fino al risveglio dei draghi, poi cresce lentamente. Quella che c’è, da subito, è la battaglia fra bene e male, che della narrativa fantastica è elemento fondante, ma in questo caso, come Martin dice, “è interiore al singolo individuo, nelle decisioni che deve prendere”. In questo quadro rientrano le donne di Westeros, ed è molto difficile darne un’interpretazione univoca, tant’è vero che anche le interpretazioni di critiche e spettatrici femministe si dividono. E’ incontestabile un solo punto: all’inizio della saga, nel libro e nella serie, quando re Robert Baratheon si reca a Grande Inverno per nominare Ned Stark Primo Cavaliere, le donne sono poco più di un contorno e si limitano a intrecciare conversazioni (Cersei Lannister e Catelyn Stark), a sognare sul futuro principe consorte (Sansa), a scalpitare per una vita diversa (Arya) mentre, di là dal mare, una fanciulla terrorizzata è costretta a sposarsi per procurare il trono al fratello (Daenerys Targaryen). Viceversa, arrivando alla penultima stagione (di quella in corso è dura parlare, ancora), le donne detengono il potere: Cersei siede sul Trono di Spade, Sansa è la signora di Grande Inverno, Daenerys è l’amata regina di un popolo che la segue spontaneamente, e rivendica il Trono stesso, mentre Arya è imbattibile nell’arte dell’assassinio (e di Catelyn si tace, se non si è letta la saga).
E’ un potere maschile quello che detengono? La maggior parte delle critiche femministe insiste su questo punto. Cersei Lannister, che sembra ricalcata sul modello delle Oscure Signore e agisce come una lady Macbeth senza rimorso e senza più un re, esprime più volte il proprio disgusto per il destino femminile, e di quel destino intende semmai utilizzare le armi consuete, la dissimulazione e la seduzione (ma non la mitezza). Certo, ci sono i piaceri che non si nega: il vino, il sesso con il gemello Jaime, l’intrigo. Ma sono piaceri rubati, vissuti sotto l’ombra schiacciante della famiglia: la Ditta, avrebbe detto Toni Buddenbrook, alla quale comunque occorre sacrificarsi. Cersei sacrifica molto, nella storia: arriva ad essere Regina dopo essersi lasciata alle spalle l’amore e i figli stessi, e la sua crudeltà nasce da un dolore che non le insegna nulla. Dopo essere stata di fatto stuprata e tradita da re Robert, Cersei non esista a far stuprare septa Unella, che l’aveva umiliata e affamata durante la sua prigionia nelle mani dei fondamentalisti religiosi dell’Alto Passero. Il potere cambia.
Cambia tutte, in verità. La stessa Daenerys, che è costruita come l’antagonista naturale di Cersei, impara, a differenza di lei, dal suo destino, salvando dallo stupro la strega Mirri Maz Duur, che però la ripagherà uccidendole sposo e figlio, e che Daenerys brucerà viva nel rogo da cui nasceranno i suoi draghi. Ugualmente subordinerà l’alleanza con Yara Greyjoy alla rinuncia allo stupro da parte degli uomini delle Isole di Ferro, ma il fatto che quell’alleanza costi carissima a Yara sottolinea la difficoltà di un cambiamento così radicale. Daenerys sembra perfetta: libera gli schiavi, arringa folle in nome dell’uguaglianza, chiede amore e lo ottiene. Ma ugualmente non esiterà a usare i draghi per distruggere eserciti, con soddisfazione dello spettatore, ma con qualche dubbio su come quel potere (di madre, ancora una volta, perché i draghi sono nati grazie a lei se non “da” lei) viene usato.
La famiglia è al centro dei sentimenti di Catelyn Stark, che ogni cosa sacrifica per la salvezza dei figli (ma Catelyn ha un lato oscuro che solo i lettori conoscono) così come della figlia Arya, che nel nome della famiglia sterminata cresce assetata di odio, e consumerà vendette degne di una tragedia elisabettiana. E anche Sansa, che si autodescriveva come sciocca e svampita, e a sua volta subisce orrori, percosse e stupro, si accanirà con impassibile crudeltà su Ramsay Bolton, che è stato lo sposo feroce attribuitole dalla ragion politica: eppure, allo stato del racconto, è la sovrana più autorevole, intelligente, e sola.
Ma oltre alle tre signore, ci sono le altre. Margaery Tyrell, che sa manovrare il potere con la menzogna e la lusinga, ma ne verrà schiacciata, così come la nonna Olenna. Ellaria Sand, che per cercare vendetta distrugge se stessa e le figlie. Melisandre, la donna rossa devota al Signore della Luce che in suo nome consegna al rogo anche una bambina. Non si sfugge? Sì, perché ci sono almeno due figure che dal potere si discostano. Brienne di Tarth, che sceglie di diventare Cavaliere non a causa della sua scarsa avvenenza, ma del suo desiderio. e Ygritte, del libero popolo dei Bruti, che al potere è totalmente disinteressata e invece rivendica la propria libertà di amare e vivere come crede. In che Cos’è la libertà? Hannah Arendt scriveva: “Sono gli uomini a realizzare i miracoli, quegli uomini che, per aver ricevuto il duplice dono della libertà e dell’azione, possono fondare una loro realtà”. L’innovazione di Game of Thrones, e soprattutto della saga, è che a cimentarsi con le problematiche della politica, del potere e della libertà stessa siano le donne. Nel bene e, inevitabilmente, nel male.

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