LE NOSTRE MANI TROPPO PICCOLE

E’ molto difficile, per me, prendere parte alla marea, ora  in parte discendente, di pareri e analisi su quanto avvenuto mercoledì scorso a Parigi. Un po’ perché sono stata direttamente coinvolta come comunicatrice, dal momento che ho trascorso i pomeriggi degli ultimi giorni a informare e porgere pareri su quanto avvenuto, un po’ perché credo che abbiamo un disperato bisogno di complessità e non di visceralità. Dunque, prendi questo post come un insieme di appunti privi di certezze, per ragionarne insieme, mon semblable, mon frère.
Uno dei punti su cui vado rimuginando in solitaria è quello che mi sembra essere un incremento dei fondamentalismi: intendendo con questa parola la non disponibilità al dialogo e al rispetto reciproco, ovvero l’antichissimo gioco del “non esiste  altro punto di vista possibile se non il mio”. Come scrive Salman Rushdie (grazie a Pascal Marinelli per aver ritrovato e postato queste parole): “uno dei più melliflui elementi del linguaggio che si è sviluppato per giustificare questo tipo di comportamenti è una sorta di reinvenzione della parola “rispetto”. Quando ero giovane, rispetto voleva dire prendere le persone sul serio, non voleva dire non esserci mai in disaccordo. Rispettare qualcuno è dire “va bene, valuterò con cura quello che stai dicendo, e se non sono d’accordo proporrò un controargomento all’altezza”. L’idea che sarebbe irrispettoso nei confronti di qualcuno dissentire in qualche modo dal suo sistema di pensiero è un’idea nuova, è un nuovo significato della parola “rispetto”, che – io credo – non ha nulla a che fare con il rispetto”.
Perché avviene? Le ipotesi sono molte, e tutte valide. La perdita di centro, la debolezza delle comunità e anzi la loro disgregazione, l’assai malinteso concetto di libertà che va a coincidere con “faccio quello che mi pare, io sono l’unico metro di giudizio, di quel che accade intorno a me poco mi cale”, la paura, la povertà, l’incapacità di ricordare il passato e di progettare, anzi, di vedere il futuro.
Tutto giusto.
Ma tutto questo non porta a un nuovo abbraccio alle religioni intese come unica certezza. L’ultimo sondaggio Gallup di cui ho traccia è del 2012, ma sembrerebbe andare nella direzione contraria. Come scriveva Il Post qualche giorno fa, “la percentuale di persone che sostengono di essere religiose è passata dal 77 al 68 per cento tra il 2005 e il 2011, mentre quelli che dicono di essere atei sono aumentati del 3 per cento. Nel complesso, dice la ricerca di Gallup, in tutto il mondo si può stimare con un buon grado di approssimazione che il 13 per cento della popolazione sia atea (in Italia l’8 per cento), con un altro 23 per cento che si considera “non religiosa””.
Dunque i vari tipi di fondamentalismo religioso sono il colpo di coda di qualcosa che va, se non svanendo, perdendo forza? Non lo so. So, però, che è difficile trovare un’altra parola  (fondamentalismo) per definire una durezza e una chiusura di cui fino a qualche tempo fa non si trovava traccia. E non sto parlando (solo)  di religione islamica, ma di religione cattolica così come viene intesa e portata avanti da chi si oppone alle leggi che hanno sancito diritti: in altre parole, sentir parlare di tolleranza in un paese che ha quasi il 100% di medici obiettori di coscienza e dove si organizzavano veglie con lancio di bottiglie di acqua minerale contro Beppino Englaro, o dove l’inenarrabile assessora Elena Donazzan emette circolari per invitare al mea culpa i genitori di allievi musulmani,  mi dà qualche brivido, così come me lo dà la contrapposizione fra religioni monde di sangue e religioni della violenza (su Wikipedia esiste una voce Christian terrorism: andrebbe almeno letta).
Quello su cui rimugino, da donna che osserva e non da specialista in questa o quella analisi, è che, però, forse i fondamentalismi e i fanatismi prescindono dalle religioni. Trovano nelle religioni un rilancio e un conforto, ma si devono ad altro. A uno smarrimento e a una cupezza che non mi sembra di ricordare, nella mia non brevissima vita, neppure negli anni di tenebra a cui spesso si fa riferimento, e che così tenebrosi non erano. Quello che personalmente ho sentito svanire con l’assassinio di Wolinski e Cabu e dei loro colleghi è l’innocenza di una generazione (sì, innocenza) che riteneva di poter immaginare, nonostante tutto e ancora oggi, un futuro libero da vincoli identitari, religiosi, di appartenenza. Non mi sembra più possibile. Naturalmente è possibile, e necessario, costruirne altri: ma quello, temo, si è rivelato un’utopia. “nessuno, nemmeno la pioggia, ha mani tanto piccole”, verseggiava E.E.Cummings, con altre intenzioni. Bisogna trovare mani più grandi, o far più grandi le nostre, questo io credo.

7 pensieri su “LE NOSTRE MANI TROPPO PICCOLE

  1. Io ho le idee più che confuse. Mi sono imbattuto proprio adesso in qualcuno che sostiene di averle più chiare e lo segnalo:
    http://www.lavoce.info/archives/24457/come-nasce-un-terrorista/
    Nel merito, sospendo il giudizio. Il libro non non l’ho letto e, pur essendo la statistica il mio mestiere, ne diffido molto quando si tende ad applicarla a fenomeni difficili da inquadrare e in cui la casistica è per forza di cose limitata. E qui se ne fa un certo uso, mi pare di capire. Però, nella nebbia in cui sento di trovarmi, anche un apppiglio del genere può offrire qualche spunto di riflessione. Il resto è panico.

  2. Cara Loredana, bellissima, intensa riflessione. Ferma ma pacata. Credo che molto del grigio – o del nero – che sta opprimendo questi nostri tempi sia anche dovuto all’atteggiamento della “ggggente” comune, oltre che dei politici assetati di consenso e di comunicatori e stampa poco avveduti (Manipolati? Manipolatori?). Troppa partigianeria, ipocrisia, gravissimo pressapochismo, aggressività nello sproloquio, che trasforma l’eloquio…Tutti con la propria verità in tasca e, soprattutto, pronti a innalzare le proprie barricate scagliando strali contro “gli altri”. “La Storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, poetava qualcuno, ma vale anche il detto “non in mio nome”. Dunque? Stimo che ci siano diritti e conquiste che si possano discutere, riformulare, se portano pace e benefici per tutti e altri che non siano oggetto di trattativa poiché si oppongono alle leggi che hanno sancito diritti e un po’ più di equità e uguaglianza e sono, quindi, punti fermi su cui si è costruito un accrescimento della civiltà e l’identità. “Identità” non significa chiusura poiché si è costruita nei secoli grazie all’accoglienza, all’interazione. Non sempre ciò che NON è negoziabile è “divisivo” quanto, piuttosto, affermazione di principi e valori condivisi: quando sono partecipati e collettivi. Allora, forse, tra la ricerca di mani più grandi o di far più grandi le nostre proporrei di unirle, intanto, il più e più possibile, individuando le migliori, le più aperte, da cui ripartire… con visioni disincantate ma capaci, ancora, di immaginare nuove narrazioni incorrotte.

  3. Nel ringraziare Barbara per le sue riflessioni (e ovviamente Loredana che le ha innescate!), vi segnalo l’articolo di apertura di oggi dell’edizione digitale di “Le Monde” (www.lemonde.fr) sul caso Dieudonné: il grande quotidiano francese titola: “Da a Dieudonné: fin dove può andare la libertà d’espressione?” Occhiello: “Perché Dieudonné viene attaccato mentre il “Charlie Hébdo” può mettere in prima pagina le religioni? Domanda che ritorna spesso” (libera traduzione mia).
    Detto questo, credo che sia Loredana che Barbara abbiano ragione.

  4. Per un errore è stato mal riportato il titolo di “Le Monde”: “Da “Charlie” a Dieudonné: fin dove può arrivare la libertà di espressione?”. Mi scuso per il refuso.

  5. Un articolo notevole questo su Lipperatura; è sempre misterioso l’intreccio tra i pensieri dei singoli individui, e l’inesorabile divenire della Storia con i suoi drammi.
    Credo sarà interessante da rileggere tra qualche anno (o qualche mese) questo pezzo; A Parigi fanatici islamisti fanno intenzionalmente strage di un intera redazione giornalistica, altre vittime innocenti cadono in un negozio kosher, e per fortuna gli stragisti vengono fermati prima di poter fare un’altra strage intenzionale in un asilo.
    All’indomani di tutto questo sterminio ci viene ricordato che; però, in Italia, abbiamo i medici obiettori.

  6. Caro k., i medici obiettori sono figli dello stesso tipo di fondamentalismo. Inoltre le ricordo che i cristiani si sono scannati per secoli in nome della Croce e hanno commesso genocidi immani da cui si sono ampiamente auto assolti. Forse le religioni (in particolare quelle monoteiste) costituiscono un problema, quando invadono lo spazio pubblico. Tutte, nessuna esclusa.

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