LE POSSIBILITA' DI UN'ISOLA: UN POSSIBILE PERCORSO SCOLASTICO

Prendete quello che scrivo come una possibilità, e in nessun modo come un gesto di supponenza nei confronti di chi insegna e di chi a scuola opera. Sto leggendo di tutto in questi giorni sulla scuola medesima, e molto spesso leggo interventi di chi è lontano da quel mondo, e che ha comunque la ricetta pronta per risolvere le falle evidenziate nei giorni scorsi. Non intendo unirmi a quel coro. Anzi.
Prendete quello che scrivo come una strada su cui ho camminato nelle scuole di scrittura, utile o sciocco giudicherete voi. Ma parte da una convinzione: occorre sapere cosa le giovani persone amano fuori dalla scuola. Di questo sono certa: anche perché, al netto del perdurante disprezzo verso la cultura “pop”, quella cultura è profondamente legata con quella che noi riteniamo valida.
Per esempio, Hunger games. Già, la saga fantastica di Suzanne Collins (2008), che credo sia ancora un libro che finisce nelle mani di ragazzine e anche ragazzini. In due parole, la storia è quella di adolescenti chiamati a battersi e uccidersi fra loro per intrattenere un regime dispotico e totalitario.
Passo indietro. La stessa storia, con poche varianti, è in un romanzo derivato da un manga, Battle Royale, dello scrittore giapponese Koushun Takami (1999). La storia racconta degli studenti di una scuola media che sono costretti a combattere tra loro fino alla morte in un programma gestito da un autoritario governo giapponese ora conosciuto come “Repubblica della Grande Asia Orientale”.
Per combattere ed eliminarsi a vicenda, sono deportati in un’isola.
Passo indietro. Adolescenti prigionieri di un’isola: è Il signore delle mosche di William Golding (1954). Ma anche l’isola che non c’è di Peter Pan di James Barrie (1902).
Altro passo indietro, e una domanda.  Perché l’isola è magica? Perché lo è sempre stata, perché è protetta dal mare, separata dalle terre conosciute. A volte in quell’isola si nascondono scienziati che vogliono superare il limite: avviene in Jurassic Park di Michael Crichton (1990), ma avveniva già ne L’isola del Dottor Moreau di Wells (1896) e avveniva nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1726) che racconta proprio dell’isola volante degli scienziati pazzi, che si chiama Laputa.
Laputa? Esatto. Come nel film di Miyazaki che si chiama Laputa (1986) che racconta esattamente di un’isola volante e dove addirittura uno dei personaggi cita Swift. E come nel Dottor Stranamore di Kubrick (1963) dove la base missilistica di Laputa è l’obiettivo del bombardiere che scatenerà l’effetto fine-di-mondo.
Ma potremmo andare indietro, tra isole e continenti leggendari: e scoprire che Mu, che si inabissò nel Pacifico, appare nel Ciclo di Chtulhu di Lovecraft, in Good Omen di Gaiman-Pratchett, ma è anche il luogo dove si forgiano le armature dei Cavalieri dello Zodiaco. Scopriremmo che Avalon entra nelle leggende arturiane, nei libri di Marion Zimmer Bradley, ma anche in Tomb Raider. E da Avalon arriveremmo ad Alcina, la maga dell‘Orlando Furioso, che risiede su un’isola al di là delle colonne d’Ercole, e da qui a Eea, dimora della maga Circe nell’Odissea. E indietro fino all’isola di San Brandano, a forma di pesce, a Ovest del mondo conosciuto, che si dice ispirasse Dante.
Cosa voglio dire, limitandomi alle isole (ma analoghi percorsi esistono per altri luoghi e miti)? Che anche quello che riteniamo diseducativo (ancora!) come un videogioco affonda nella nostra storia. E che se invece di disprezzarlo proviamo a usarlo, magari qualcosa accade.
Dico e scrivo queste cose da circa vent’anni. Non è mai servito a niente. Naturalmente, insisto.

4 pensieri su “LE POSSIBILITA' DI UN'ISOLA: UN POSSIBILE PERCORSO SCOLASTICO

  1. Dici bene, benissimo. Ma non sei sola, ci sono anch’io, come sai, a dire che la crisi della scuola è soprattutto una questione di contenuto, di oggetti e forme dell’apprendere. Del resto, gli esempi che fai riflettono una logica reticolare ed associativa, così diversa dalla logica testuale della scuola (il libro di testo, appunto). E fanno leva su esperienze dentro le quali l’ascolto, la visione, l’operatività sta alla pari, si intreccia con la lingua. Vaglielo a far capire. No, non vogliono. Forse non possono, chiusi come sono dentro i loro sogni restaurativi di una realtà che mai c’è stata. Mi sono arreso. Penso che questa scuola mai potrà essere digitale, cioè aperta alla fenomenologia e ontologia della rete, e disponibile ad una cultura multicodice. A meno che non si creino, al suo interno, delle zone franche, libere da burocrazia, disciplinarità, testing, ecc. Ho scritto qualcosa in proposito, esce a giorni in volume (classico libro di carta, feticistico oggetto…non mi pento dei dieci anni passati con l’ebook e il selfpublishing, tutt’altro, ma anche da questo fronte riconosco di uscire con più ferite che medaglie). Forza, non demordiamo

  2. Grazie del’articolo.
    A mio avviso la scuola funziona se:
    a) è rispettata come istituzione;
    b) è capace di trasmettere la cultura non come un fine ma come un mezzo per la crescita personale e collettiva
    c) stimola alla lettura, lasciando spazi di libertà
    Con questi presupposti elementari si può passare alla sfida per me più importante della divulgazione/trasmissione/evoluzione della conoscenza e della cultura: comprendere (ma sul campo, nella prassi, non nella teoria) che l’apprendimento dà il meglio di sè se espresso in forma narrativa.
    E per narrativa intendo non una storia in sè stessa ma la capacità di entrare in una storia, sviluppare un contesto, fare associazioni, liberare la fantasia e al contempo sentirsi “dentro” qualcosa.
    Pensare e amare devono essere la stessa cosa, in via ultimativa.
    Mi trovi su @venetianangel
    In bocca al lupo per il tuo lavoro …. CIAO!!!

  3. Ho avuto l’immenso privilegio di incontrare nella mia strada formativa scolastica professori che ragionavano come te, Loredana. E che ci indicavano -come hai fatto tu brillantemente in questo intervento- le radici di letture o altre espressioni “pop” che ci invitavano comunque a fruire, ma CONSAPEVOLMENTE. Senza questa impostazione di base mi sarei chiuso pure io nell’élitismo e nel disprezzo “aureo”. Che, per carità, è un’ottima, comoda arma di difesa (specie in tempi davvero degradati come l’attuale), ma non aiuta minimamente a comprendere il presente e men che meno a insegnare qualcosa a qualcun altro! Peraltro, il diffuso rifiuto italico di ogni espressione culturale forse dovrebbe farci pensare: non è che a forza di distinguere tra “pop” e “alto” abbiamo solo allontanato masse sempre più consistenti di persone dalla semplice voglia (o curiosità) di apprendere? Naturalmente, c’è chi poi ne ha approfittato e ne approfitta a piene mani…

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