LE RAGIONI DEL CUORE, GLI ZOMBIE, GLI INTELLETTUALI E TUTTO QUANTO

“Ti vedo defilata”, mi dice un amico che incontro in queste complicate giornate. Defilata, già. E’ vero, lo riconosco. Non firmo appelli, non intervengo ogni giorno sul fatto del giorno, non rilancio, non rispondo. Così, mi trovo nella difficile situazione di essere un’antica antifascista e antirazzista che nel momento in cui occorre urlarlo  sembra tacere. In realtà non taccio, ma cerco. E non sto scrivendo queste poche righe per giustificarmi, quanto per provare a condividere una gigantesca difficoltà. Ieri Javier Marias su Repubblica è intervenuto di nuovo sul silenzio degli intellettuali, sulla mancanza di manifesti e proteste: eppure, come mille volte si è detto, mai come ora gli intellettuali parlano e scrivono dove possono, e non vengono letti. Come possono parlare, come possono usare le proprie voci, dunque? E sopratutto, dicendo cosa? E sottolineando cosa?
Qualche giorno fa ho postato una vecchia e breve analisi di Antonio Caronia: riguardava la fantascienza, ma nei fatti riguardava il nostro modo di essere, già oltre vent’anni fa.
“Bisogna guardare ai mutamenti sociali venuti a maturazione nello straordinario decennio degli anni Ottanta: la diffusione di un’angoscia planetaria per la sovrappopolazione e il degrado dell’ambiente; l’acuirsi della forbice tra Nord e Sud del mondo e il realizzarsi di una «rivoluzione» del terzo mondo rovesciata rispetto alle previsioni dei marxisti ma non per questo meno sconvolgente, quella dell’emigrazione; il crollo del sistema del «socialismo reale» e la fine, con la crisi del comunismo, di tutte le utopie; l’intrecciarsi schizofrenico fra l’emergere di una cultura integrata su scala planetaria, che chiederebbe anche un governo sovranazionale, mondiale, dei processi, e lo scatenarsi anche sanguinoso dei particolarismi, dei localismi, dei tribalismi, con l’immancabile e triste codazzo delle xenofobie e delle infamie antisemite. In questo quadro si comprende chiaramente che è la stessa nozione di «futuro», una nozione chiave della modernità, sulla quale si basava in larghissima misura la fantascienza, a dissolversi”.
Allora, il compito di chi scrive dovrebbe essere recuperare quella nozione di futuro. La prendo larga. Oggi, sempre su Repubblica, Stefano Massini ricorda i cinquant’anni da “La notte dei morti viventi” di George Romero, e auspica il prossimo seppellimento definitivo degli zombie. Ma se desse uno sguardo all’immaginario che li riguarda, specie nelle ultime serie televisive, scoprirebbe una faccenda niente male: i morti che tornano (in Revenants, nel remake The returned, in Glitch) non puzzano, non sono scemi e non ti mangiano. Semplicemente, tornano alle proprie famiglie e ai propri amati e li mettono in crisi. Ma come, mi amavi tanto, eri disperato, e ora hai sposato la mia migliore amica? Ma come, ero la tua sorellina prediletta e ora non vuoi vedermi?
Ecco, è che quei morti che tornano puntano il dito sia sulla nostra mancanza di prospettiva verso il futuro sia verso la nostra incapacità di elaborare il passato, di non saper ridirlo, di non poterlo comunicare, e sulla nostra orribile solitudine di abitatori del presente. Questo è quello che mi tiene defilata. Il battere i pugni su porte chiuse, senza aver trovato le parole giuste.
Diceva un anno fa Agnes Heller a Wlodek Goldkorn (che sul numero dell’Espresso uscito ieri le ha fatto un’intervista strepitosa):
“Non basta indicare il Male perché le persone non compiano il male. La razionalità non è sufficiente. Prendiamo un bambino: dirgli di non torturare il gatto non basta, perché il bambino può sempre rispondere ” fa male al gatto, non a me” » . E quindi? « E quindi bisogna trovare un modo perché il bambino senta e non solo sappia che non occorre fare del male. Per citare Pascal, ci sono le ragioni del cuore » .”
Come le troviamo?

Un pensiero su “LE RAGIONI DEL CUORE, GLI ZOMBIE, GLI INTELLETTUALI E TUTTO QUANTO

  1. Semplice: il Male deve colpire ovunque, deve distribuire sofferenza democraticamente, dobbiamo provare quel che ora facciamo agli “altri”. La strada è stata imboccata, ora si tratta di percorrerla fino in (al) fondo.

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