Grazie a Pagina3, scopro che Goffredo Fofi ha scritto un articolo sulla fantascienza su Kobo. E’ sempre interessante e importante leggere quel che scrive Fofi, dunque vado. E’ una disamina come al solito profonda e acuta, come avrete modo di constatare. Eccezion fatta per il finale:
“Perché la fantascienza è scomparsa dalla scena letteraria occidentale, con poche appendici in un paese dove davvero il futuro si è realizzato al suo massimo come lo è oggi la Cina? Probabilmente perché è diventata realtà.
Viviamo in tempo di pandemia, il futuro siamo noi, è tra noi, e tutti siamo costretti a constatarne il trionfo, ma certamente non godendone. Gli scrittori si rifugiano nel narcisismo delle piccole storie e degli “io penso che”, si affidano a scuole di scrittura dove insegnano beoti del successo, e l’industria culturale ha preso strade che riguardano la finanza e non la cultura.
O meglio: la cultura si è fatta sempre più servile, e das Kapital le affida il compito di intrattenere, di aiutare a non pensare e a non ragionare. Oggi il nostro presente sa meno di eterno, è un incubo giornaliero e la catastrofe (l’ultima? la penultima? una delle ultime?) è tra noi, lo sappiamo bene. Anche se è ancora possibile, temo, immaginarne di peggiori, non si vedono in giro scrittori occidentali che siano capaci di farlo”.
Ora, a parte il fatto che il famigerato fascio di tenebra che viene dal futuro la fantascienza è ancora in grado di descriverlo (eccome), mi chiedo perché Fofi faccia un’affermazione di questo genere senza cercare un riscontro. Sorvolo sulla cultura servile, perché è un suo vecchio pallino (ma davvero lo è? Tutta? Inclusa quella che si affaccia nei piccoli e anche grandi editori, inclusi certi libri scardinatori che a volte emergono a galla e portano al Nobel la sua autrice, e penso a Olga Tokarczuk per fare un solo nome?). Davvero la fantascienza non è in grado di raccontare l’onnipresente presente?
La risposta è “certo che è in grado”. Faccio intanto un nome, che è quello di Ted Chiang, che forse in Italia resta sottotraccia, ma è colui che lavora proprio sul tempo, apparentemente immobile a meno di non considerarlo da altri punti di vista. Faccio quello di Jeff VanderMeer, cui si deve peraltro anche l’antologia delle Visionarie. Penso a vecchie glorie come Alan Moore, a Jeff Noon, ma anche, espandendo il concetto di fantascienza fino a fantastico, in ordine sparso a Tiffany McDaniels, Richard K. Morgan, Karin Tidbeck, Sarah Waters, Sandra Newman. Penso a tutto il catalogo di quattrocinqueuno, che è una realtà italiana. Penso, accidenti, a Martha Wells, che ha fatto incetta di premi Hugo e Nebula. Ovviamente l’elenco è parzialissimo e chiedo venia per questo. Ma aggiungo due romanzi che SONO fantascienza: Il silenzio di Don DeLillo e Klara e il sole di Kazuo Ishiguro. Non è che perché non hanno l’etichetta di genere non lo siano.
E, no, non si tratta di “nicchia”. Volendo considerarla nicchia si rientra ancora una volta nella vecchia concezione di generi e sottogeneri, che grazie ai cieli è in via di superamento. Non so, non riesco a capire ma capisco. Capita di sbagliare. Ho sbagliato anche io, ieri, quando ho espresso una spontanea perplessità sul Nobel per la letteratura assegnato a Abdulrazak Gurnah che non conoscevo, e non ho letto. Ma il problema è mio, mica dell’Accademia svedese. Mio e dell’editoria italiana che non lo ha in catalogo. Dunque, mi sbarazzo della perplessità e spero di leggere presto. Sarebbe bello che Fofi leggesse Ted Chiang. Molto. Mi auguro che lo faccia.