STAGIONI DIVERSE: QUELLI CHE SI ADONTANO PERCHE' KING CAMBIA

Puntualmente, a ogni approssimarsi di nuovo romanzo di Stephen King (Billy Summers esce a fine mese), spuntano quelli che scrivono qua e là “King non è più quello di una volta”. E sciorinano i titoli davanti ai quali  si sono annoiati: in questo ultimo caso, Rose Madder (e certo, quando si parla di donne abusate si sbadiglia: eppure King è uno dei pochissimi ad averlo fatto senza la scritta al neon “questo romanzo contiene un MESSAGGIO”) e, con qualche ragione, The Cell. Che pure, secondo me, aveva e ha suggestioni potenti. Puntualmente, si parla di quel che non si conosce: e dunque via Lisey’s Story, che è uno dei romanzi più belli e forse meno compresi, e via Duma Key, dove King, invece, rielabora alcune delle sue antiche intuizioni e anticipa Revival nel suo lungo omaggio a Lovecraft.
Detto questo, è verissimo che King è cambiato. Ha cominciato a farlo  dalla trilogia di Mr. Mercedes, dove si è innamorato di un personaggio, Holly Gibney, e lo ha trasferito anche in The Outsider. Ma il punto è proprio questo: non si può mettere a confronto L’Istituto e The Stand. Sono epoche diverse, mondi diversi, paure diverse. Ed età diverse di uno stesso scrittore. Non so perché, ma a proposito di alcuni autori debbano necessariamente avere un percorso lineare. Per paradosso, contro il pensiero lineare si è espresso recentemente uno strepitoso centenario come Edgar Morin:
“Bisogna pure abbandonare un modo di pensare lineare che consisteva nell’avere l’impressione che la storia progredisse e che si potessero prevedere fin da ora gli anni 2030 o 2050, senza tener conto delle enormi incertezze”.
Forse sono la fan acritica che l’autore dell’articolo mette alla berlina. Possibile. Ma prescindendo dalle emozioni immediate che una lettura provoca, credo che sia molto più sensato provare a capire che tipo di strada sta seguendo King ora: la sensazione che ho è che stia capriolando fra i generi, proprio per permettersi le libertà che il “re dell’horror” non si è preso in precedenza. Così come altri, privi di etichette di genere, lo stanno facendo andando a esplorare quegli stessi generi. Per una volta non cito Ishiguro e DeLillo ma Hervé Le Tellier, premio Goncourt, che ne L’anomalia capriola a sua volta tra fantascienza e noir e tutto il resto.
Comunque, ne parliamo, anche, a Torino, al Salone. Dove, caro commentarium, arriverò molto acciaccata: le stagioni sono diverse e capita di beccarsi, ai primi freddi, una bella periartrite che consente l’uso del solo braccio destro. Ma ce la faccio, eh.

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