L'INVASIONE DEGLI ULTRAEGO

A margine di questa vicenda, ultima di una lunga serie peraltro, ho solo una riflessione da fare: e non mi porta a schierarmi con i critici letterari nè con gli scrittori umiliati e offesi.
Più che una riflessione, anzi, è una confessione: comprendo che l’Ego di chi scrive tenda a dilatarsi, a volte fino all’inverosimile. Ma sono stupita dalla mancanza di limiti assunta recentemente dagli UltraIo. Sì, certo, Mozart rimbeccava gli imperatori quando osavano criticare la sua musica, e alle nostre spalle borbottano, offesi, i fantasmi di centinaia di grandissimi ben consapevoli del proprio talento e ancora stizziti da chi lo ha messo in discussione.
Credo, però, che mai come in questi anni chiunque – davvero chiunque, dall’autore già noto all’esordiente, passando per gli affascinati dagli editori a pagamento al possessore del manoscritto inedito – si senta in diritto di essere sotto il cono di luce, di restarci sempre e di cacciare a pedate chiunque osi avanzare il più piccolo dei dubbi.
Esserci, esserci, esserci a tutti i costi. Come se il diritto al successo (perchè di questo stiamo parlando, non di arte: parliamo di persone che non vogliono semplicemente scrivere, ma pubblicare e andare in classifica) fosse l’unica possibilità di esistenza in vita.
Sarò sgradevole: ma questo mi pare poco sano, e di certo non fa bene ad un ambiente letterario come quello italiano. Molto affollato di scrittori, poco frequentato dai lettori.

31 pensieri su “L'INVASIONE DEGLI ULTRAEGO

  1. io non son Barilli, ma ho trovato ‘Lulù’, che pure parte bene, irrimediabilmente noioso.
    Bello per una scrittrice rispecchiarsi nei gridolini delle fans che acclamano il capolavoro.
    C’è ache qualche lettore che, come Barilli, letto il libro (portato atermine con fatica), lo trova davvero noioso.

  2. Gli scrittori, o sedicenti tali, sono saliti su una bella giostrina; non è colpa loro perchè qualcuno l’ha costruita sotto i loro piedi, però starci su è divertente: tutto questo luccichio mediatico intorno a libri che il più delle volte sono molto brevi, molto costosi e solo mediamente carini. Non credo ci sia un buono o un cattivo; è solo una specie di logica da reality che ormai invade qualunque campo in cui semplicemente delle persone si incontrino e debbano occuparsi insieme di una qualunque questione: niente sostanza, tutto uno spettacolo di forma e vince chi si fa notare.
    Quello che è divertente però è che i libri li leggono in pochissimi e quindi il paradosso del nulla sul quale si sta litigando è ancora più evidente.

  3. “Credo, però, che mai come in questi anni chiunque – davvero chiunque, dall’autore già noto all’esordiente, passando per gli affascinati dagli editori a pagamento al possessore del manoscritto inedito – si senta in diritto di essere sotto il cono di luce, di restarci sempre e di ***cacciare a pedate chiunque osi avanzare il più piccolo dei dubbi***.”
    Non sei mai stata più autobiografica di così, con particolare riferimento al “cacciare a pedate chiunque osi avanzare il più piccolo dei dubi”[intorno alla tua immacolata lipperitudine].

  4. Ho letto attentamente l’articolo è ho provato un brivido di commozione.
    Ho avuto il picare di lavorare con Nico Orengo per anni. Nico era uno scrittore e un critico, lo ricordo nel suo piccolo ufficio a Tutto Libri, immerso, letteralmente in pile di volumi. Era persino difficile muoversi la dentro da quanti ce n’erano.
    Alcuni autori potevano non apprezzare i suoi Fulmini, ma tutto si poteva dire di Nico, tranne che non leggesse i libri che recensiva. Era impossibile entrare nel suo ufficio senza trovarlo con il naso incollato a una pagina.
    Scusate il ricordo affettuoso e personale, ma ci tenevo.
    Detto ciò, e avendo collaborato con TTL, vorrei ricordare che ogi autore nel momento in cui consegna la sua opera sogna valaghe di recensioni, possibilmente sulla carta stampata.
    Le recensioni, in una nazione dove non si legge, devono essere positive, per questo motivo, oltre all’autore che diventa onnipresente, esistono gli uffici stampa, normalmente valutati dal numero di pagine che riescono a ottenere.
    In quest’ottica la crita diventa un meccanismo del business dell’editoria, Tutti autori compresi si affannano per avere un buon numero di recensioni. A me va benissino che gli autori mandino a farsi fottere i critici, ma poi dovrebbero avere il pudore di comportarsi come Salinger, E invece no! Gli autori sbraitano, si autodefiniscono scomodi, di culto, vogliono dire la loro, litigano se non gli danno il tanto meritato premio letterario.
    E i critici sono sotto quel cono di luce esattamente come gli autori, perchè in Italia, visto che esiste la Letteratura, nessuno e degno di criticare la critica.
    Ci troviamo a un punto di stallo, ma il paradosso è: metre autori e critici coltivano sdegnosi il loro orticello dietro casa, il cono di luce si è già spostato altrove, causando non poca confusione in casa degli editori.

  5. E secondo me è poco frequentato dai lettori anche per questo motivo. Secondo me è passato il messaggio che solo i critici potevano dire la loro, gli altri erano tutti ignoranti. Vorrei anche ricordare che ci sono autori che si rivolgono ai lettori solo quando non vengono criticati. Se poi osi dire che quel libro lì mica ti è piaciuto, sei un incompetente. Allora ci credo che la gente si allontana dai libri.

  6. Il parere del critico vale, perlomeno, quanto quello di un lettore qualunque, e dunque c’è qualcosa che puzza nel confutarne il parere mettendo in dubbio la sua competenza (cosa che peraltro mai si farebbe con recensioni positive anche in modo imbarazzante). Se poi magari il critico si approfitti della sua posizione, non lo so, però mi sembra come dire parte del gioco…Comunque, a meno che non si sia tacciati di errori “oggettivi” (tecnici, di documentazione ecc.) a cui si può ribattere nel merito, è davvero inelegante al massimo grado difendere da sé la bellezza della propria opera!

  7. Dico la mia.
    Difendere quello che uno ha scritto non è inelegante, è onesto – perchè se l’ho scritto, e pubblicato, e marchiato con il mio nome, è perchè quel coso là mi piace.
    Quanto alla critica, ho già detto come la penso. C’è un certo tipo di critica (giornalistica, bloggarola, eccetera) che trovo interessante e utile. Poi c’è la Critica con la ‘C’ maiuscola, quella fatta di elaborazioni teoriche su Arte, Letteratura, Poesia E Altre Cose Con La Maiuscola (la ‘Critica’ in senso stretto) che trovo ridicola, uno zombie lasciato in vita per interessi corporativi. E che di solito eleva fregnacce al rango di… boh, qualcosa.
    Ma il discorso è più ampio. Qualsiasi testo critico è un testo ‘parassitario’. Non lo dico in senso negativo – l’esempio che faccio sempre è quello dei funghi, che sono uno dei miei cibi preferiti, e sono un parassita. Un testo critico può essere anche più bello, più intenso, del testo di cui è parassita. Tutto sta a non intendere negativamente la parola ‘parassita’… ma resta il fatto che una storia su Poirot parla di Poirot, una critica ad Agatha Christie parla di storie che parlano di Poirot.
    E qui c’è un elemento che mi sta a cuore. In quanto ‘testo’, un testo critico è passibile di critica. Non è ‘più lucido’, ‘più esatto’, o ‘più’ qualcosa del testo da cui proviene. E’, soltanto, un altro testo che da quel testo proviene. E quindi uno scrittore (o un critico, o quel che sia) è pienamente legittimato nel farne critica, appunto.
    Poi questa critica si può fare in modo più o meno elegante, e senza dubbio l’Ego (quello dello scrittore come quello del critico) si mette sempre in mezzo.
    Ma è un altro discorso…

  8. Il discorso è complesso, a partire dal fatto che la stessa critica è un genere letterario. Non trovo così strano che uno scrittore provi a difendersi se viene stroncato, magari è un modo per “obbligare” il critico a scendere maggiormente nei dettagli delle proprie analisi, che sui quotidiani tendono a ridursi molto spesso a giudizi tranchant, che fanno venire più qualche dubbio che il libro in questione sia stato davvero letto e che la critica non sia basata invece sul sentito dire… Insomma, il discorso implicherebbe piuttosto una riflessione sul ruolo della critica oggi (leggasi: da almeno venti anni), che spesso si riduce, come qualcuno ha già detto più sopra, a coltivare un orticello, o peggio a sponsorizzare o stroncare per partito preso questo o quell’altra… (ma in fondo, a ben vedere, senza certe faziosità non dovremmo neanche considerarli dei critici, ma degli studiosi…)

  9. Se un auore ha scritto e pubblicato una cosa è già chiaro che a lui piace, ci ha investito tempo, passione, impegno, aspettative ecc…In questo senso la difesa piccata della propria stessa opera è un gesto comprensibile ma inelegante, perchè ribadisce una posizione scontata a priori, questo intendevo.

  10. Francesca: sulla risposta ‘piccata’ sono del tutto d’accordo. Ma questo ha a che fare, appunto, con lo stile personale. Però sulla difesa… il punto è che, dopo aver scritto un libro, quello appartiene a tutti. Non è detto che il punto di vista dell’autore sia il ‘migliore’ (non credo che un punto di vista ‘migliore’ esista), ma è uno, e se all’autore va, che lo esprima. Poi parlo in teoria, perchè io alle critiche di solito non rispondo. Solo, capisco se a uno va di farlo, e anzi, trovo che là il circuito ‘produzione-critica’ dia il meglio di sè.

  11. Io so solo che un critico che scrive romanzi mi è sempre puzzato un po’.
    Non dico che non possa esistere, ma credo ci sia da fare una scelta di campo.
    Il critico-romanziere io lo vedo un po’ troppo compromesso, in entrambe le vesti, dal proprio ruolo.
    (Altra cosa è lo scrittore che, in modo quasi hobbystico, scrive su un giornale dei libri dei colleghi, ogni tanto e solo di quelli che gli sono piaciuti – magari non entusiasticamente, comunque non tanto da lasciar capire che quello è il suo amichetto).
    Del resto, io stesso mi trovo in imbarazzo a parlare di queste cose. Mi pare di fare del metalinguaggio e, se scrivo romanzi, sarebbe il caso che di quelli mi occupassi, e di nient’altro.

  12. Lo trovo uno sport nazionale quello di NON sottoporsi alla critica. E non credo sia soltanto una questione di ego, penso piuttosto sia la malabitudine di questi anni di messa in competizione tra gli individui tutti della nostra società: come dici, se non sei in classifica (una qualsiasi…) non sei nessuno, se non esisti sotto il cono di luce, non esisti tout court.
    Non importa cosa si abbia (e se ci sia qualcosa) da dire: ed ecco la povertà delle nostre narrazioni di futuro. Non sappiamo guardare oltre il primo posto di un podio… Buona colpa anche degli editori che spesso hanno alimentato i “fenomeni”, lo spettacolo editoriale, non la qualità. E non voglio dire dei contenuti. Che poi ogni tanto ci scappi il buon libro o l’ottimo autore, beh quello è culo. Puro.

  13. ‘Difendere quello che uno ha scritto non inelegante, è onesto’
    Ma nessuno può essere giudice del suo caso. Quanto a uno scrittore cosa c’è di ‘onesto’ nel dire di un suo libro ‘è bello, lo so perchè l’ho scritto io’…
    Critica giornalistica e bloggarola ‘interessante e utile’: cioè la critica dell’amico sul giornale o quella che ci si fa da se online, insomma la critica che serve a spingere le vendite. L’altra, cioè quella che, se fatta bene potrebbe insegnarci qualcosa, non conta, è inutile, è morta.
    Da tempo ho imparato che se prendersela con un critico specifico può avere le suo ottime ragioni prendersela con la critica ‘in se” dimostra soltanto disprezzo per la letteratura. La critica è una forma d’arte e quando è fatta bene la cosa è evidente da se. Mai provato, giusto per non citare viventi, a leggere Giovanni Macchia o Edmund Wilson? Mai provato a leggere le critiche teatrali di Savinio o Beerbohm? Mai provato a leggere le critiche di cinematografiche di Pauline Kael o Oreste del Buono? Magari hanno torto marcio ma è letteratura: come la narrativa è parassitaria della vita loro lo sono della letteratura. Di seconda mano quindi? No, perchè se il critico ne vale veramente la pena la vita c’è tutta, talvolta meglio che nell’opera.
    Uno dei sintomi più penosi del nostro tempo è la popolarità di quelle raccolte di stroncature eccellenti o rifiuti editoriali di capolavori ‘accertati’. Solo dei poveracci (e ammetto che qualche volta è capitato pure a me) possono apprezzare simili compilazioni messe assime da poveri di spirito nel senso peggiore del termine. E’ il divertimento del senno di poi: noi che sappiamo come è andata la partita ci sentiamo superiori a chi ha sbagliato il pronostico grazie al semplice espediente di non dire nulla, aspettare il risultato e stare col vincitore. Chiaro quindi che la nostra capacità di distinguere il meglio della nostra epoca è inversamente proporzionale alla nostra conoscenza (spesso superficiale) del meglio delle epoche passate.
    Quel che manca all’Italia è un James Wood, l’odiatissimo critico del New Yorker di cui è appena uscito ‘Come funziona la narrativa’, odiatissimo soprattutto perchè scrive molto meglio della maggior parte degli scrittori americani viventi e non si fa intimidire dalle stelline di Amazon…

  14. Sascha: personalmente, preferisco le letture di Nerval fatte da Eco a Nerval. Quindi, certo che un discorso ‘parassitario’ può essere migliore di quello di partenza. Quanto però alla critica che avrebbe ‘da insegnarmi’: se qualcuno prova a insegnarmi qualcosa, non si lamenti se si becca un pugno sul naso. Ho da imparare molto, ma dagli insegnanti, diffido.

  15. Non ho letto Tuttolibri, quindi non so se Barilli ha usato, nella sua recensione, gli stessi toni che la Santacroce ha usato nella sua risposta. Certo è che quest’ultima non mi dice nulla in difesa del libro stroncato, quindi non arricchisce affatto il dibattito intorno al libro, che è quello che interessa a me come lettore.
    Lasciando perdere il caso specifico, come dice Francesco penso che gli scrittori abbiano il diritto di difendersi così come i critici quello di attaccare, e viceversa – anche se ridurre tutto a scontro è un po’ triste, ancora più triste perché funziona davvero così. L’importante, dal mio punto di vista, è che critiche e risposte siano basate sul merito; per dire, WM1 nella risposta alle reazioni negative sul NIE usa toni belli polemici come suo solito, ma come corredo a osservazioni concrete. Questo mi va bene, gli scrittori che delegittimano l’idea stesso di critico no, nemmeno se lo fanno con modi pacati e ponderati.

  16. A cosa servono i critici?
    dal mio punto di vista, essi dovrebbero aiutare me, e la comunità dei lettori,
    in quanto tecnici. dovrebbero “aprire” le opere, farmene vedere i meccanismi, i materiali usati, e gli strumenti che li hanno assemblati.
    Inoltre, credo che dovrebbero porre domande, molto più che fornire risposte, spesso peraltro sbrigative. ci sarebbe molto bisogno di critica oggi, per chi legge e chi scrive, che ci aiutasse, per interrogazioni successive, a farci un’idea del perchè, e come, certe opere, belle o brutte, vengono prodotte proprio in questo tempo e qui da noi, o da qualche altra parte. invece ormai siamo siamo tutti più o meno d’accordo che la funzione di un critico sia di “applaudire” o stroncare un testo. Pollice verso o salvezza. Ma cosa me ne fotte?
    Se una cosa cosa mi piace o mi lascia tiepido lo capisco da me. Di venti, trenta opere lette, un critico dovrebbe scegliere di parlare di una, perchè la ritiene importante, bella o brutta non c’entra nulla, per dire delle cose su ciò che si scrive in un determinato momento.
    Il critico non è un “giudice” delle opere. Semmai un idraulico.

  17. In parte sono d’accordo con te Luca, sul ruolo alto dei critici. Però penso anche, prosaicamente, che le recensioni dovrebbero aiutare noi lettori ad orientarci tra le ennemila offerte editoriali: e dunque segnalare, argomentando possibilmente in modo circostanziato, i libri che vale la pena leggere o che è meglio evitare.

  18. Francesco: . Personalmente eviterei questi eleganti paradossi, a meno che non si stia scrivendo una dotta recensione!, perché li trovo pedanti. Se posso parlare per me, anch’io ho tantissimo da imparare ed ho una fame fortissima di insegnanti. Il fai-da-te, almeno nella “fantastica” versione italiana, ha un volto che non mi piace. No?

  19. Dicevo quanto siano tristi i giochetti sulle recensioni e bocciature ‘sbagliate’ fatti per alimentare l’autocompiacimento dei contemporanei.
    Ma che dire della sciocchezza opposta e contraria, cioè la stroncatura demente dei classici che rende ridicolo chi la fa e che si trova soprattutto il loci internettiani classici come le recensioni di Amazon (generalmente opere di imbarazzanti teenager americani)?
    http://www.salon.com/books/amazon/index.html?story=/books/feature/2010/04/02/mean_amazon_reviews_open2010

  20. Desian: è una faccenda troppo vasta per il formato-commento, ma non è un paradosso. Scrivere, per esempio, è una cosa che richiede tanta tecnica e che puoi imparare, ma nessuno può ‘insegnarti’. Pensa ai vari life coach che appestano le sponde contemporanee. Chi crede di avere qualcosa da ‘insegnare’ pensa di aver raggiunto dei solidi punti fermi. E io da questi tizi diffido. E diffido ancora di più da chi mi dici di affidarmi a loro. Sono fermo ai Pink Floyd, posso farci poco…

  21. Io sono sempre per gli scrittori che si difendono dalla critica, chiunque essi siano.
    Volevo chiedere piuttosto se Loredana Lipperini ha letto “Lulù Delecroix” ed eventualmente cosa ne pensa.
    Visto che siamo in tema di pregiudizi.

  22. io due parole le spendo anche a proposito dell’articolo di Luigi Mascheroni, che fa un fritto misto mettendo di qua il partito dei recensori, di là quello degli scrittori, come se fossimo da Vespa, De Filippi, o chi volete voi: e cioè incentivando tanto l’EGOlatria di alcuni, quanto il clima da rissa continua che tanto piace e tanto fa bene all’attuale classe dirigente. Se non sbaglio una volta un articolo come questo lo si sarebbe chiamato “pastone”, e non era certo un elogio.
    Per capirci, un conto è la stroncatura di Barilli, che in passato aveva speso buone parole per Santacroce, e che oggi la stronca perché la legge; un conto è la stroncatura di Ferroni, che non legge Baricco perché lo stronca (e se ne vanta, di aver letto meno di un terzo del libro che stronca). Un conto è l’irritazione di Moresco, che in tutto, o quasi, quello che scrive (piaccia o meno, non è qui rilevante) si chiede che cosa oggi, in un mondo non solo letterario tutt’altro che “normale” ha senso ed è giusto che un narratore faccia e scriva (e secondo me lo stesso valeva per “I barbari” di Baricco), ed ha diritto di essere stroncato o elogiato con un giudizio sul merito delle risposte che dà a questo interrogativo; un conto sono le irritazioni di chi si crede Prust e non tollera che gli si faccia notare che non lo è (che poi, per essere il nuovo Prust bisognerebbe imparare in primo luogo lo stile col quale questi reagì alle prime bocciature di un romanzo che nessuno voleva pubblicare).
    Io ricomincerei dal tracciare un diverso discrimine: non tra narratori e critici, ma tra chi, scrivendo (non importa se narrativa, poesia, critica, teatro, non importa se una sola di queste o più d’una) si pone quell’interrogativo – che cosa, oggi, in questa situazione, con questi lettori, è giusto fare e scrivere? – e chi no.

  23. Viva Ferroni! Ma avete mai incontrato uno scrittore simpatico, che sa ridere del suo? La scrittura è altrettanto denegante. O un critico che non sia andreottiano tra il potere della letteratura e la governabilità della plebe-lettrice? Il diritto di non leggere, di chi legge (molto) e il bene!!!

  24. gentile Loredana Lipperini, mi sembrava di essere entrato nel merito della discussione con la mia premessa. Io sono sempre dalla parte dello scrittore, anche in casi come quello di Moresco o Parente che ho avuto modo di criticare ampiamente, ma dei quali riconosco il respiro “letterario”, al di là dei miei gusti. Sulla Santacroce, invece, visto che il tema sono i pregiudizi ed é coinvolta una bambina, mi incuriosiva sinceramente sapere il suo parere. Concludo dicendo che l’affollamento di scrittori, che lei giustamente evidenzia, è tale proprio perché vengono messi sullo stesso piano autori esordianti e autori che, volente o nolente, da dieci o più anni contribuiscono alla letteratura italiana. Senza dilungarmi troppo, un Giordano non puo’ essere messo sullo stesso piano di un Moresco. Così come una Silvia Avallone non puo’ essere paragonata a Isabella Santacroce. Ora, se un autore che ha alle spalle un libro ha la spocchia di rispondere a un critico, buon per lui, ma il contesto non lavora dalla sua parte, proprio per mancanza di materiale giudicabile.
    Un canti del chaos, un contronatura, un vm18, in aggiunta alle altre opere dei loro autori, secondo me non possono essere liquidate con una battuta come fa lei nel post. Non stiamo parlando di tre esordienti che si lamentano, stiamo parlando di tre autori autorevoli che si lamentano.
    Questo è il mio parere. E di qui la mia domanda sull’ultimo libro di Isabella Santacroce.

  25. Dalla sua bibliografia, gusti a parte (a me non piace) mi pare proprio di sì. La Macinatrice, Contronatura e il saggio su Proust mi pare che giustifichino la mia affermazione. Poi sui suoi modi possiamo discutere. Di sicuro non mi sembra uno sprovveduto.

  26. Sulla serietà di Parente, giusto così
    “Alessandra C. (che scrive su Tuttolibri, e non è la cugina trash di Melissa P., e allora chi cazzo è?)”
    “…dove tornano Alessandra C., quella che la dà senza pensarci…”
    “…Alessandra C., la quale giocando su internet un gioco d’insulti si chiede come mai tutti le scrivano “Muori troia” e come mai la medesima frase gliela ripetano i suoi ex fidanzati. Non mi basta pensare anch’io: muori troia.”
    Ora io capisco che l’antologia in questione gli aveva provocato problemi intestinali, ma da lì a dare della troia a un’autrice perchè non ti piace il suo personaggio.
    Va be’, nel gioco a ribasso ci stà, la critica ha anche un suo lato trash

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