L'ALTRA EMMA

Sarà che il mondo letterario italiano tende a usare troppe maiuscole e troppi punti esclamativi nel lanciare i libri, da ultimo. Sarà che è difficile, per chi ha a che fare con i libri medesimi, non esserne frastornati. Sarà che la ricerca del “caso” è diventata ossessiva.
Quel che voglio dire è che il romanzo di Valentina Brunettin, I cani vanno avanti, è un gran bel libro al di là di tutto quel che ho riferito nelle righe precedenti, e che si ritrova puntualmente in rete e non.
La storia è una, anzi due, anzi tre, anzi quattro. Il tema è quello della scrittura, che si intreccia in modo niente affatto ombelicale con quello del femminile. Del dolore femminile, anzi: ci sono donne abbandonate, abusate (intellettualmente e fisicamente), respinte, aggredite (dalla malattia, da stupratori, da amiche). Ci sono cagne (una su tutte: Laika, la martire delle guerre spaziali) scelte per il viaggio nel cielo a causa della propria grazia e bellezza. C’è una protagonista, Emma,  che con costernazione ho sentito definire (su Facebook) una “Barbie”, e che forse non casualmente richiama per gran parte del romanzo l’altra Emma. Quella di Flaubert. Quella che “ha contro di sé le debolezze della carne e la sottomissione alle leggi”. E la cui volontà “come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti venti”. Anche in questo caso, “c’è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene”.
Il desiderio è quello di scrivere quel che realmente Emma desidera (la storia della cagnetta Laika). La convenienza è quella che le impone di continuare a sfornare con il fatuo marito Virgilio best-seller che detesta. E di allontanare il disagio concentrandosi sul proprio corpo: conteggio delle calorie, creme, ginnastica.
Nel dentro-fuori della trama principale, ne affiorano altre: i racconti delle donne violentate, che Emma espone ad amiche e amici ricevendone mugugni (“basta con i piagnistei “, “basta col moralismo degli scrittori”). E il punto di vista della cagna, con i suoi scarti di stile e prospettiva.
Si può scrivere un libro non convenzionale sulle donne usando ingredienti che apparentemente alla convenzione appartengono? Si può. Io l’ho amato molto,  e ve lo consiglio di cuore.

11 pensieri su “L'ALTRA EMMA

  1. Provo a rompere il ghiaccio: del libro ho letto solo poche pagine, quelle del cosiddetto specimen (l’estratto che si usa per presentare in anteprima il libro ai librai e/o ai giornalisti) ed erano pagine di dolore ma di grande potenza, fortissime. Pagine che mi avevano lasciato la curiosità dell’attesa dell’uscita. Se il tuo consiglio è questo, trovo conferma delle mie sensazioni e allora affronterò presto la lettura. Posso però testimoniare il grande entusiasmo di Giulia Belloni nel raccontare il libro di Brunettin, entusiasmo che lasciava presagire dietro le parole certamente il mestiere di editor che prova a stimolare la curiosità dell’interlocutore ma anche una vera passione per un romanzo in cui credere e credere davvero. Mi pare che gli elementi comincino a convergere…

  2. Ero curiosissima di leggere la tua recensione e di vedere cosa ne avresti pensato, dal primo momento che l’ho letto. E non solo io 🙂
    Qualcuno ha definito Emma una Barbie?? Me l’ero persa ‘sta cosa. Quando si dice cogliere il senso dei libri…
    Io ho trovato invece discutibile leggere recensioni in cui si parla di un libro al femminile, scritto per le donne, e quindi ostile agli uomini per partito preso. In realtà è un libro sul dolore come hai ben detto tu, sul senso di colpa, sull’eccessiva importanza dei ruoli imposti e dei quali si finisce per essere complici e non solo vittime.

  3. L’ho letto appena è arrivato in libreria.
    Non mi ha entusiasmato.
    Le parti migliori sono quelle dei due stupri, sono le più vitali: il resto mi sembra stereotipato, piatto (soprattutto i personaggi maschili, nella loro descrizione il punto di vista è troppo parziale). La parte di Laika è noiosa, la scrittura in generale non è molto efficace (le immagini mancano di forza, ci sono soluzioni narrative troppo facili -l’incrocio tra le due donne dal ginecologo, la spiegazione del titolo -, aggettivi superflui) Nel complesso c’è qualcosa di buono, si legge abbastanza scorrevolmente; credo che l’eccesso di entusiasmo dell’editor sia compartecipe della delusione che ho provato a fine la lettura.
    Per ora mi fermo qui, scriverò una recensione perché il libro merita una critica argomentata .
    Boccio senza riserve invece l’introduzione di Giulia Belloni: non dico che non sia opportuno auto-elogiare il proprio lavoro, ma se lo si fa bisogna essere capaci di interessare il lettore: la Belloni, invece, scrive in modo a dir poco approssimativo (es. “quella porta aperta, in cui lei esita ad entrare” non si entra in una porta) e non riesce a restituire il senso di soddisfazione, o lo stupore, provato nello “scovare” il romanzo della Brunettin.

  4. Ero io che ho scritto che Emma era una Barbie, però non facevo che citare la Brunettin. Ora mi manca la possibilità di fare melaF nel libro e non riesco a ritrovare la frase, ma giuro che a un certo punto la Brunettin paragona Emma e Virgilio (o Emma e Andrea, non ricordo esattamente) a una Barbie con Ken a fianco.
    Io ho solo aggiunto “con Sindorme di Stoccolma” e vorrei precisare il mio pensiero, perché mi è spiaciuto sembrare perentoria nel mio messaggio su facebook.
    (Non legga chi non ha ancora letto il libro, parlo del finale!)
    Anch’io non ho pensato che fosse casuale la scelta del nome e il richiamo a Emma Bovary e ho seguito la vicenda di Emma sul controluce dell’altra.
    Entrambe le coppie Virgilio-Emma, Charles-Emma, formano “una strana società” (cito Flaubert che aveva scritto della sua : “quei due formavano una strana società”). Nel romanzo della Brunettin è più dichiarato, c’è quasi un “contratto di lavoro” tra vittima e carnefice.
    Entrambe le coppie vivono vite piccolo-borghesi, in epoche e contesti diversi.
    La coppia della Brunettin abita una vita che io ho definito da “soap”. Casa perfetta, cameriera perfetta con accento da immigrata (i negretti-servi nei romanzi di appendice di inizio secolo parlavano come lei) votata alla felicità dei loro padroni, soldi guadagnati con i lustrini di un’immagine di successo e tanta letteratura di serie B.
    Forse le due Emme hanno sposato i loro mariti con lo stesso desiderio: infilarsi in una vita socialmente “riconosciuta”, forse si sono stufate per lo stessa mancanza d’aria.
    Anche Emma Bovary è un po’ “Barbie”, se ci pensiamo. Brucia di un desiderio che è quello dell’amore “da romanzo rosa”, è sdolcinata, appiccicosa, deludente sul piano sessuale (a parte Charles, gli uomini si stufano presto delle sue romanticherie), ma la sua angoscia, quella, è tragica. Tutta la statura del suo personaggio, è tragica: per la rivoluzione di costumi che rappresentava all’epoca una donna che non si accontentava di una vita borghese, con marito e casetta ordinata. Per come brucia, per come muore, per come soffre, Emma Bovary è la prima donna “vera” della letteratura moderna.
    La Emma della Brunettin ha passioni spente da anni e il romanzo la incontra nel momento in cui queste passioni si riaccendono (sempre timide), e ne segue la liberazione. Il fuocherello (sempre timido) risvegliatosi in Emma è po’ per Andrea (ma senza troppo impegno, come pensando di non poter meritarsi un amante) e molto per una scrittura sua, privata, libera dall’ombra del marito.
    Quello che mi avrebbe reso simpatico il libro (per contrasto con le scene da vita da soap), sarebbe stato vedere Emma scrivere storie di persone “vere”.
    Invece dalla sua fantasia escono cliché.
    Non è “cliché” una ragazzina di 13 anni che fa pompini nei bagni?
    Non è “cliché” una quarantenne che per la prima volta si mette la minigonna e viene violentata?
    Una cagnetta incosciente vittima della crudeltà degli uomini?
    La Brunettin è troppo brava per non aver scelto esplicitamente di giocare con dei cliché. Ma perché? Quale è il senso?
    Allora ho aspettato la fine, sperando mi avrebbe dato la chiave di volta del libro. E non l’ho trovata.
    Emma per tutto il libro accetta, accetta il marito, accetta il cancro (gli è quasi riconoscente), accetta che Andrea non la richiami.
    E come unico atto di ribellione, di emancipazione, dopo anni di torture subite, cosa fa?: lascia il marito, va a vivere in un piccolo appartamento da sola, inizia a scrivere cosa davvero le piace (la storia di Laika), e manda un sms in cui “minaccia” una possibile imminente morte, sperando che con questo appello-ricatto, qualcuno la richiami?… E questo è tutto quello che ha conquistato? Il diritto di scrivere? Nel 2010 siamo a questo punto? E’ questo che mi ha fatto arrabbiare. E’ anticonvenzionale Emma? Mi sembra che Emma Bovary avesse più fegato. E quasi due secoli fa.
    Comunque la discussione è interessante, e questo va a lode della Brunettin.
    Grazie per lo spazio.

  5. L’incipit secondo me è potente, ed è la parte che nel mio piccolo di comune lettrice più ho apprezzato, in parte forse richiama Bulgakov, cuore di cane, ed è efficace nello scardinare il baricentro dal nostro prezioso ipertrofico io a un sofferente altro-da-sé fuori dal campo attrattivo dell’antropocentrismo. Per il resto dal versante del plot il libro mi ha un poco annoiato, l’architettura narrativa mi è parsa soffrire sotto il peso della scrittura a tratti un poco virtuosistica. Dal lato del manifesto di iconoclastia, anche a me è sembrato non così dirompente come mi aspettavo dalla prefazione, mi ricorda a tratti Houellebeq, ma senza la sua lucida cattiveria e il suo coraggio visionario di polverizzare lustri di storia e farci vedere, al di là dei fondali abbattuti che credevamo la realtà, scenari apocalittici… Ecco forse quello di cui ho sentito la mancanza: di qualche squarcio di psicanalisi che mi facesse sentire più da vicino le emozioni e il flusso di coscienza dei personaggi, soprattutto di Emma: invece Emma rimane lontana e le sue emozioni sepolte, mi pare, in profondità sotto la superficie opaca della sua stanca vita patinata e l’unica voce autentica che si leva da lei ci parla attraverso gli stupri e la storia di Laika. Negli stupri c’è l’unica proiezione della personalità di Emma: entrambe le vittime sono descritte come personalità ordinarie (almeno così appare a noi nella nostra insipienza), sono letteralmente in attesa di un carnefice tanto che la violenza appare quasi una conseguenza inevitabile della loro dabbenaggine.. E dopo la violenza, puntualmente giunta a punirle, non c’è riscatto, non c’è comprensione, non c’è elaborazione, l’umiliazione subita rimane l’ultima parola inflitta e loro, mute e inebetite’ rinunciano a reagire.
    Forse era proprio questo il messaggio che la narratrice ci voleva trasmettere? che il dolore non offre riscatto? E’ questo che Valeria intende dirci di EMma quando il suo tentativo di ritagliarsi una vita letteraria a propria somiglianza, dopo tanti “stupri” alla sua ispirazione, è punita con il cancro? Quindi la condizione di vittima rende vano qualsiasi tentativo di ribellione?
    In ogni caso ho apprezzato molto l’ambizione di affrontare, diversamente da tanta letteratura episodica, temi universali e di uscire da quel minimalismo in cui si crogiola tanta letteratura italiana.
    Grazie per l’interessante discussione.

  6. Giulia Belloni ama così tanto se stessa da non indurmi ad alcuna simpatia umana. Le riconosco tuttavia di osare, se è vero che punta su un nome già uscito con altri editori e non emerso, tira diecimilacopie (così dicono i giornali) e definisce “grande patrimonio” senza pudore di iperbole il libro o le parole non mi ricordo di valentina brunettin. ora il romanzo è uscito da due settimane e ne stanno parlando già tutti i giornali, ma se non ne parlava nessuno per me Giulia Belloni saltava bella che in aria e con lei tutte le sue belle collanine colorate a cui si dedica con tanta abnegazione. se ha corso questo rischio significa per me che sapeva che carta aveva in mano, quando l’ha aperta l’abbiamo vista tutti, era un asso ma io lo avevo già intuito. Forse non entra nelle porte ma quella passa anche attraverso i muri. il romanzo di valentina brunettin nel panorama nostrano a me sinceramente sembra davvero un unicum. Ogni pagina che giravo mi incazzavo sempre di più, ha offeso la parte più delicata la migliore del mio carattere. Ma il punto non è questo. Il fatto è che il romanzo è nuovo, ti inchioda al muro e ti dice che non vivi in un sogno, che è questa la tua realtà. L’autrice non si guarda allo specchio, non compiace nessuno, il romanzo è lontano da tutti, in questo sì secondo me è davvero bello. La scrittura di altissimo profilo è molto metaforica e ha qualche ingenuità è vero (ma chissenefrega in fondo? questa ha ventotto anni!). Le cose vanno male, sembra dirci, se possono andranno ancora peggio, che peccato, che dispiacere per noi, poverini. siamo soli, se siamo vittime siamo colpevoli di esserlo, siamo meschini. L’amore? è un alibi, come ha detto atrocemente a Loredana Lipperini, un alibi per i nostri interessi e appertiti sessuali. Un romanzo terribile, duro, crudele, la vera violenza la racconta senza, ripeto pietà, senza pietà per nessuno, senza sentimentalismo alcuno. Per una volta sono d’accordo con i critici, La Belloni, che si piace e si compiace tanto in un narcisismo che ha pochi uguali, stavolta però ha trovato un romanzo che afferma l’autrice che lo ha scritto in modo per me poco discutibile.

  7. Magari sto prendendo un granchio enorme.
    Quello che sto per dire deriva solo da un impressione, è probabile che mi sbagli, ma…
    Il commento firmato da pierfrancesco, gran parte dei commenti a “i cani vanno avanti” presenti su ibs e alcuni commenti del blog del libro sembrano scritti dalla stessa persona: in realtà anche quelli che possono apparire negativi danno al lettore un motivo per comprare il libro, sembrano scritti per accenderne la curiosità.
    Ripeto, è solo un’impressione, è più verosimile che i lettori del romanzo che hanno sentito l’esigenza di manifestare la propria opinione su internet abbiano una sensibilità comune, un modo simile di esprimere i concetti.
    Sempre in riferimento al commento di pierfrancesco, in apparenza parla male della Belloni, in realtà ne parla benissimo: P. elogia il lavoro della Belloni nonostante l’antipatia per la persona: questo dà ancora più rilievo all’apprezzamento.
    Poi l’autrice del blog (che non è schiava della teoria del complotto come invece lo sono io) fa bene a sottolineare che non bisogna approfittare di un post per esprimere il proprio parere su una persona.

  8. Arturo, la pulce nell’orecchio me l’hai messa. Gli Ip di due commenti, in effetti…
    (difficile fare marketing virale, gente: ne abbiam parlato proprio oggi a Fahre) 🙂

  9. A me invece non torna la descrizione di Laika nello spazio, proprio alcune parole appena trasformate, mi ricordano un pezzo bellissimo di Falco letto sul primo amore anni fa, che poi lessi su Carta. Non ci credo che la Brunettin non lo abbia letto. Così come la storia di Frascella mi ricorda il libro di Vasta però svuotato del senso forte, della lingua, della complicanza, e capisco bene che ci siano cose nell’aria ma non vorrei che ci siano coloro che si bruciano con le loro idee (me ne frego per quale editore pubblicano, mi interessano i libri, mi piace Vasta e non mi piace minimum fax per molte scelte) e altri che vivono di rendita continuando a fare girare un po’ pure le stesse parole. Certo costoro nullità o soubrette televisive di rai due servono alle case editrici (che alimentano proprio queste faccende e ci ritroviamo scaffali di librerie dove cosa non troviamo? la qualità, che caso eh!) al mercato ma non alla letteratura. Perché servono lettori confusi che non sanno chi è Franco Arminio o Giulio Mozzi o Antonio Pascale? Le speculazioni di questo tipo le fanno sia le piccole che le grandi case editrici. Forse, in ogni caso è così che devono andare le cose. Alcuni e poi altri. Adesso saremo invasi da storie di bambini di 11 anni e di adolescenti alla periferia di qualche impero e i temi di pochi saranno rivendicati da emergenti ventenni come se fossero di invenzione loro, sempre senza mai citare che ne so la Muratori. Meglio tirare fuori Cortazar invece di dire, sapete che c’è? Ho letto un bel libro di una/o che scrive da dio nella mia lingua, l’editor che lo ha molto ammirato me lo ha fatto leggere e mi ha detto di seguire quella strada, quindi gli sono debitore. Mi sembra difficile in questo strano paese poi fare i moralisti con i politici che ci ritroviamo. Comunque forse è giusto così ci sono i Wu Ming e ci sono le factory, che ne so. Esseri a ruota di qualche cosa, e tra chi sta a ruota qualcuno sarà un autore che prenderà spazio su alcuni più bravi di lui e anche ci saranno altri insignificanti autori che invece spariranno e il più bravo resterà il più bravo. Come diceva la Muratori in un suo libro: davanti ai bravi ci si inginocchia punto e basta. Quindi rubare in fondo non serve e non cambia le cose davvero. O no. Non lo so più. Serve per vivere meglio ora e poi chi se ne frega di restare nella lunga tradizione della letteratura italiana. Questo l’avranno capito molto bene i più e gli altri pochi (credo) faranno sempre più e molta fatica per fare bene e non saranno apprezzati per questo qui nel paese dove i mediocri hanno preso il potere, la parola, tutto, e questi molti non si vogliono proprio inginocchiare preferiscono schiacciare piuttosto anche con il marketing virale. “Continuiamo così, facciamoci del male”

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