PARLARE DI DONNE AD ANKARA

La settimana prossima sarò ad Ankara, per tre giorni, per un incontro internazionale sulle questioni di genere. Viene a proposito questo articolo di Francesca Caferri apparso su Repubblica, oggi.
C´è una jihad tutta nuova che da qualche anno si aggira per il mondo: va dal Marocco all´Iran, passando per gli Stati Uniti, la Malesia, la Turchia e l´Egitto. Le sue armi non sono kalashnikov ma libri e conoscenza. I suoi portabandiera, non kamikaze ma studiose testarde e determinate.
La “gender jihad”, la battaglia di genere che le donne musulmane stanno combattendo per affermare il loro ruolo all´interno della società, è la protagonista di due volumi arrivati in libreria a poche settimane di distanza l´uno dall´altro. Femminismo islamico: Corano, diritti, riforme di Renata Pepicelli (Carocci, pagg. 160, euro 12,60) e Teologhe, musulmane, femministe di Jolanda Guardi e Renata Bedendo (Effatà editrice, pagg. 160, euro 11), raccontano come due idee all´apparenza lontane – quella del femminismo e quella dell´Islam appunto – si siano negli ultimi anni mescolate per dare vita a un movimento nuovo e variegato che sta animando il dibattito culturale in Occidente, così come in Africa e in Asia.
I libri ci spiegano che, a differenza di quanto accade in Europa e negli Stati Uniti, dove la parola femminismo è passata di moda, nel mondo musulmano questa idea vive una nuova primavera: nato negli anni ‘90 in risposta al rafforzamento di un islamismo conservatore e retrogrado (non a caso, nota Pepicelli e confermano le cronache di questi giorni, è tanto forte in Iran) e accentuatosi in seguito alla rappresentazione violenta dell´Islam causata dagli attentati dell´11 settembre 2001, il femminismo islamico si propone di riscoprire il ruolo e i diritti delle donne non in contrapposizione all´Islam ma al suo interno.
Lo fa partendo da una rilettura dei testi sacri – il Corano e gli Hadith – ed evidenziando in essi tutte le libertà e i diritti che Maometto e i suoi primi seguaci garantirono alle donne: ruolo di primo piano nella famiglia, nella divisione dei beni, nell´educazione dei figli, nella società. E lo fa riscoprendo le donne forti dell´Islam delle origini, che questi diritti incarnarono e trasmisero: da Khadjia e Aisha, mogli del Profeta, a Umm Salama, sua consigliera, fino a Zaynab, sua figlia. Queste figure, il loro ruolo e con esse il messaggio di liberazione che Maometto portò al sesso femminile, secondo le femministe islamiche sono state progressivamente messe in un angolo da interpretazioni sempre più conservatrici: ora è tempo di riscoprirle e restituire alle donne il loro posto originario.
Ad arrivare a questa conclusione comune sono movimenti e personalità profondamente diversi l´uno dall´altra, per origini geografiche e formazione. Soggetti che spesso faticano a riconoscersi nel concetto di femminismo, per il connotato occidentale che la parola ha assunto nel tempo, ma che alla fine accettano questa etichetta e ad essa danno un senso nuovo: le marocchine Fatema Mernissi e Asma Lamrabet, entrambe impegnate, seppur in modo diverso, a riscoprire il valore liberatorio dell´Islam delle origini. Amina Wadud, teologa afro-americana in prima fila per portare le donne ad un ruolo di primo piano nelle moschee. E personaggi enigmatici come Nadia Yassine, portabandiera dell´ala più conservatrice del movimento, quella che si riconosce nei partiti islamisti, come il suo al-Adli wa´l Ihsan in Marocco, Hezbollah in Libano e Hamas nei Territori palestinesi: che pure reclamano per la donna un ruolo di primo piano nella società.
I volumi si pongono l´obiettivo di raccontare tutto questo: Pepicelli lo fa con una scorrevole carrellata che ripercorre le origini storiche del movimento e ne racconta le sue esponenti più famose, le storie personali e le idee, mettendo bene in evidenza quanto il mondo islamico sia un universo aperto, diverso e spesso contraddittorio al suo stesso interno (al contrario dell´immagine che spesso ne viene trasmessa sui media). Guardi e Bedendo sono più tecniche e si concentrano sul discorso teologico in senso stretto: con una frecciata finale all´Italia, paese in cui il dibattito su queste tematiche è, colpevolmente, in ritardo.

4 pensieri su “PARLARE DI DONNE AD ANKARA

  1. Fra l’altro, da quel che so, le “femministe islamiche” sono molto più inclini, per cultura e tradizione, a intessere reti di alleanze e solidarietà fra donne, di quanto alla fine lo siano mai state le femministe italiane, ad esempio, sempre pronte a separarsi in gruppi e gruppuscoli.
    O è una visione occidentalista edulcorata?

  2. Mi è capitato di seguire su Fahre qualche giorno fa proprio una discussione sul femminismo islamico (una era proprio Renata Pepicelli). Dal caso “rivoluzionario” del Marocco, dove il femminismo è interno all’Islam, fino alla Tunisia in cui si è cercata una via “laica”.
    E da quanto ho potuto capire, esistono molteplici islam, e molteplici femminismi. Ho sentito che le femministe malesiane hanno chiamato quelle marocchine per farsi spiegare la nuova legge sulla “parità” dei sessi nella famiglia.
    Mi paiono tanti piccoli segnali che distruggono il pregiudizio di un Islam toutcourt dove la donna è schiava e sottomessa.
    Dietro il velo, abbiamo nascosto in realtà la nostra incapacità di capire l’altro.

  3. trovo interessantissimo questo argomento, di cui so poco ma vorrei sapere di più. è vero che da noi nn passa niente o quasi sulle donne islamiche che nn sia il compatimento sterile del velo o – al contrario – la sua esaltazione come possibilità di autenticità e liberazione. ringrazio loredana e chiunque voglia ancora intervenire in merito.

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