LO STIGMA DELL'ELFO

“Ho cominciato a scrivere Il gigante sepolto pensando a quanto è successo in Bosnia e in Ruanda negli anni novanta: proprio ricordando queste popolazioni che vivevano in una pace evidentemente fittizia, e che quasi all’improvviso si sono ritrovate al centro di tremendi conflitti, ho messo in scena la convivenza precaria di Bretoni e Sassoni”.
Così Kazuo Ishiguro sul romanzo Il gigante sepolto (qui l’intervista completa). Se non lo avete letto, fatelo. Anche se c’è un drago, anzi, una femmina di drago che tanto orrore ha suscitato in alcuni lettori. La polemica sulla blasfema decisione di inserire elementi fantastici nella produzione di un autore “serio”, però, si è oggi spostata su Vita degli elfi di Muriel Barbery. Nella recensione de La Stampa, si ricordano con una punta di gongolante perfidia le stroncature francesi:
“Drasticamente illeggibile per Les Inrockuptibles , scritto con enfasi manierista tale da suscitare o deliquio ammirativo o repulsione totale per Le Figaro , e saggiamente affidato al giudizio dei lettori da Le Monde , La vita degli elfi avrà comunque un seguito (lo scoglio del prossimo ritorno? Aggirato con un espediente pratico, la saga)”.
Non ho ancora iniziato a leggerlo, quindi non sono in grado di esprimere al momento un giudizio. Il pregiudizio, però, lo leggo bene, e mi chiedo anche se valga la pena di ripetere concetti che ripropongo da anni. Che problema avete, critici e lettori che vi trovate di fronte a un elemento proveniente dal fantastico? Perché un elfo o un drago vi allontanano da un libro?
Buffo, perché mai come in questo periodo il realismo non sembra essere in primo piano: anzi, è tutto un fiorir di distopie o di romanzi post-apocalittici. Anna di Niccolò Ammaniti, Berlin di Fabio Geda e Marco Magnone, ma anche Le cose semplici di Luca Doninelli, su piani diversi.
Però, si dirà, quel genere è stato in qualche modo ammesso nella letteratura alta (basti pensare a Dissipatio H.G. di Guido Morselli, ignoto ai più ma amatissimo – giustamente – dalle elette schiere).  Poco conta che, dunque, in alcuni casi si riproponga quello che è un vero proprio canone post- apocalittico: il  mondo privo di adulti, sterminati da un virus misterioso, è un classico della narrativa post-apocalittica, specie per young adults (i primi e più recenti che mi vengono in mente: Gone di Michael Grant e The Young World di Chris Weitz, dove per di più si muore al primo scompenso ormonale, appunto, proprio come in Anna). E va bene così. Ogni storia è già stata raccontata, quel che conta è come viene raccontata. Ma se ogni tanto chi si occupa di letteratura gettasse uno sguardo a quelli che vengono chiamati i plebei della narrativa, male non farebbe, tanto per avere qualche punto di riferimento in più.
Se l’umanità sterminata si accetta, l’elfo e il drago, però, non vengono digeriti a priori. E qui sarebbe interessante capire perché: nella gran parte dei casi, temo, più che il modello originario, Tolkien (che immagino molti dei detrattori non abbiano letto, e chiedo anticipatamente scusa per il cattivo pensiero), conta la sterminata serie di epigoni, molti dei quali pessimi, e conta certamente l’uso scellerato che degli epigoni ha fatto l’editoria di casa nostra, e non solo quella.
Il problema non sta, si vorrebbe sommessamente suggerire, nell’uso di elfi e draghi, ma nel come li si inserisce nella storia, e soprattutto nel come quella storia viene raccontata, con quale lingua e con quale intenzione. Perché è ben buffa la vicenda: gli scrittori che possiedono linguaggio e profondità e si cimentano con elementi fantastici non vengono graditi dal fandom in quanto troppo trasgressivi rispetto al canone dato, e non vengono graditi neppure dal lettore “mainstream” in quanto fantastici.
Già scritto, già detto. Ma che infinita noia.

4 pensieri su “LO STIGMA DELL'ELFO

  1. Concordo senza riserve. Confesso però coperto da un salvifico anonimato che ho preso un Tolkien dalla biblio della anticamera e ho letto pagina uno e ho rimesso il volume dove era e non ho mai sentito la necessità di riprovare. Pusillanime, lo ammetto. Confesso anche di essermi quasi addormentato durante la proiezione delle Cronache di Narnia. Non mi interessano gli elfi ed i draghi. Non vorrei vederli nemmeno discutere con Harvey il Coniglio Invisibile o sulle scale anti-incendio della cucina in cui la Strana Coppia prepara le linguine al sugo, ma sono pronto a battermi al fianco di chiunque combatta il pregiudizio secondo cui elfi e draghi non possano esser in romanzi recensiti nelle pagine culturali dei giornali o digeriti in quel contesto da chi di solito mastica love stories tra vampiri e zombies.

  2. Il gigante sepolto, di Ishiguro, è un romanzo bellissimo e struggente, sulla forza e sulla necessità della memoria, e insieme su quanto la dimenticanza, l’oblio possano a volte essere la cura (più facile) a dolore (sia per chi l’ha subito sia forse soprattutto, per chi l’ha commesso). Ora, se l’autore usa la via del fantastico – ma un fantastico umido, sfocato, come la Storia – che male c’è?

  3. in coscine di pollo del mio adorato, un bastone dipinto rituale, una conchiglia strombo, un calzino sporco, un cucchiaino d’argento e una scatola di fagioli, sono i deuteragonisti. Ed è uno dei romanzi da prendere più sul serio se si vuole decodificare tutto il resto

  4. “Il gigante sepolto” è davvero straordinario . Ora voglio leggere l’ultimo di Muriel Barbery ( grazie !) . E – fra distopie fantasy e post-apocalissi – permettetemi un piccolo ricordo di un vecchio grande libro : “I figli dell’invasione ” di J. Wyndham – anno 1957. Quanti lo hanno malamente ricopiato dopo ….

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