ESSERE UNA FEMMINISTA

La questione non riguarda solo le unioni civili. Personalmente, sono convinta che si faranno. Non so in quali termini, e non so neanche entro quanto tempo: ma si faranno. Così come, decadi fa, questo paese è riuscito – in ritardo, in ritardo spaventoso – a ottenere leggi sul divorzio e sull’aborto. Il mondo, il nostro, è già cambiato così come era cambiato allora.
Dunque, è solo questione di tempo, e capisco bene la sofferenza e la rabbia di chi quel tempo lo vive sulla propria pelle: mi auguro che sia breve, mi auguro che, questa volta almeno, le questioni di opportunità politica scivolino in secondo piano rispetto alla questione dei diritti.
Qual è dunque il punto? La riflessione che queste prime settimane del 2016 portano con sé riguarda il significato della parola femminismo, e gli infiniti modi in cui, giustamente, può essere declinato. Premetto – se ce ne fosse bisogno – che non esiste un solo femminismo, e aggiungo che è molto rischioso, oggi come ieri, pensare di poter parlare a nome di altre donne. Almeno per me. Le donne, e gli uomini, e le persone LGBTI, devono poter intrecciare i propri discorsi, e camminare insieme per un progetto sociale, e politico, e naturalmente personale. Questo, a mio modo di vedere, significa – anche – femminismo.
Ho scritto tre libri, anzi quattro (uno con Michela Murgia) che parlavano di donne: bambine, vecchie, madri, donne uccise dai propri compagni. Non ho mai pensato, che mi si creda o no, di voler diventare un punto di riferimento: né lo voglio. Nelle prime pagine di Ancora dalla parte delle bambine, quasi dieci anni fa, lo avevo scritto:
“La parte più bella, più eccitante, più divertente di Google Earth è l’inizio della ricerca. Per l’esattezza, quando, una volta digitato il nome della nazione, della località e dell’indirizzo che si desidera visualizzare attraverso le riprese satellitari, il programma conduce il navigatore in avanti, lanciandolo dall’icona iniziale del globo terrestre in un tuffo mozzafiato, in volo fino alla strada che attraversa un paese di cento anime, di cui solo poche decine di persone sanno riconoscere i colori delle case, i profili delle montagne che lo circondano, il fiume che lo attraversa.
Questo libro nasce con un’intenzione molto simile: partire da un’immagine d’insieme e arrivare ai dettagli che la compongono.
Naturalmente è più difficile: perché, in questo caso, la visione di partenza non è chiara, e viene anzi percepita in modi apparentemente inconciliabili. Proprio in questi ultimi mesi, infatti, la cosiddetta questione femminile è tornata ad emergere nelle cronache, nei libri, nelle discussioni intellettuali: in alcuni casi per una sbigottita denuncia del tramonto delle differenze; in altri, per l’altrettanto angosciosa presa d’atto di una nuova e violentissima ondata di misoginia. Che debba tornare ad assestarsi nel ruolo centrale di moglie e di madre, o che debba continuare a rivendicare di essere prima di tutto persona, la donna di cui si sta parlando sfugge comunque alla visione. L’immagine totale è fuori fuoco. Proprio per questo, occorre forse saltare verso il basso e osservare da vicino quel che dall’alto non si vede”.
Mi sono limitata a fare quel salto verso il basso, in tutti questi anni. In primo luogo, come è sempre indispensabile ammettere, per me. Perché avevo bisogno di mettere a fuoco e di capire. Se altre e altri hanno trovato utile il salto, è motivo di gioia. Ma in nessun modo questo fa di me altro da una donna che guarda. E, in un certo modo, agisce, sapendo che le parole possono diventare spunto per le azioni altrui.
Ma in queste settimane, specie dopo Colonia, quel salto mi è divenuto di nuovo necessario: ancora una volta per me, per chiarire a me stessa qual è la mia idea di femminismo. Mia, individuale, in alcun modo da estendere per dogma, e in alcun modo quella idea mi porta e mi porterà a marchiare con lo stigma dell’antifemminismo chi la pensa in altro modo.
Per me, dunque, essere femminista significa battersi contro le disuguaglianze. Quelle che riguardano le donne, certo e certissimo. Ma anche quelle che riguardano le persone LGBTI, quelle che riguardano i vecchi e le vecchie. I migranti e i profughi. I rom e i sinti. Le bambine e i bambini che non hanno possibilità di accedere come si dovrebbe alla cultura, e le loro sorelle e fratelli maggiori che vengono, anno dopo anno, scoraggiati dal proseguire gli studi, e a lavorare purché sia. Le persone che hanno perso il lavoro. Le persone povere.
In poche parole, per me femminismo e quella che un tempo si chiamava lotta di classe non sono disgiungibili. Ecco perché non ho mai creduto alla possibilità di un partito trasversale delle donne che lotti solo per le donne. Non è possibile, per me, lottare solo per le donne e non contro quello che Naomi Klein chiama “il capitalismo stupido”. Se, per citare Klein, una rivoluzione ci salverà, quella rivoluzione è multiforme: include il clima, include le disuguaglianze, include la lotta contro lo schiavismo sussurrato e i negrieri globali, che ci sono anche se non li vediamo, e non vogliamo vederli.
Questo significa per me la parola femminista.
Al netto delle teorie, delle scuole, della filosofia, delle correnti, dei partiti, dei movimenti.
Non pretendo che valga per tutte. Ma vale per me, e continuerà a valere.

9 pensieri su “ESSERE UNA FEMMINISTA

  1. La rivoluzione vera, credo, sia nella consapevolezza del valore femminile, nella sua intelligenza (esercitata) nella Stima di se. Quella consapevolezza e stima che fa lottare, non si arresta né si arrende allo sconforto. Per amore di ogni vera crescita evolutiva, per amore di una Dignità spesso sottovalutata se non messa sotto i piedi. Viva questo tipo di Donna e ogni tipo d’Uomo che le rispetti e rispettandole le aiuti a esprimere la profondità di ogni valore nascosto. Mirka

  2. Se il diritto è l’aspirazione ad riconosciuti per quel che si è, o si considera giusto, allora non si dovrebbe manifestare solamente per il riconoscimento di un proprio bisogno. Le manifestazioni siffatte sono solo una prova muscolare che poco hanno a che fare con l’equità.
    Avrei voluto vedere le folle di “arcobaleni” anche alle manifestazioni per il diritto al lavoro che manca tragicamente, per la parità e la violenza sulle donne… e per i diritti dei bambini, spesso taciuti. Invece…

  3. Leggerla o ascoltarla è sempre un piacere per il rispetto che esprime e perchè evita di imporre verità, che tanto domani sarebbero sostituite da altre, per forza. Credo anch’io che si possa quasi solo osservare. Femminista credo di non esserlo più da tempo, non nel senso che non voglio proteggere dalla violenza e dalla disparità le persone del mio sesso. Nel senso che donna e uomo sono animale uomo entrambi e il danno fatto ad una parte è per forza danno a tutta la specie. Se una rivoluzione ci salverà, è certo comprensiva di tutti gli aspetti, come diceva lei, ambientali, economici e di relazione in generale, fra i sessi, fra le età, fra i disuguali in genere. E’ l’ultima idea entusiasmante, concepita molti anni fa , per me, quando nacquero i verdi, che ancora mi emoziona.

  4. Condivido la riflessione e al riguardo consiglio questo pezzo che percorre i motivi storici dell’avversione al femminismo, quando, in realtà, è un movimento che riguarda tutte/i noi e cito: ” lottare contro le discriminazioni sulle donne non può essere slegato dalla lotta contro tutte le discriminazioni, il sessismo, il razzismo, l’omofobia, la transfobia, etc. Una volta chiaro il concetto che ogni persona è unica, con pari diritti e pari dignità, è chiaro anche che la violenza di genere comprende ogni etnia, orientamento sessuale (gay-lesbo-trans-bisessuale-queer etc.), identificazione di genere, classe, disabilità, religione e cultura, inscindibili nella lotta contro le diseguaglianze del sistema..”. Buona lettura 🙂
    http://utopiablog.it/femminismo_una_parola_che_non_ci_piace_perche/

  5. Ciononostante consiglio caldamente Corsi di Lotta Giapponese a tutte le Donne consapevoli che, evolversi attraverso e dentto lo spirito dell’Intelligenza è anche mettere in conto ogni possibile difesa giusta per ogni eventualità. Auguri e sempre un Evviva. Mirka

  6. “I don’t know what you mean by ‘glory,’ ” Alice said.
    Humpty Dumpty smiled contemptuously. “Of course you don’t—till I tell you. I meant ‘there’s a nice knock-down argument for you!’ ”
    “But ‘glory’ doesn’t mean ‘a nice knock-down argument’,” Alice objected.
    “When I use a word,” Humpty Dumpty said, in rather a scornful tone, “it means just what I choose it to mean—neither more nor less.”
    “The question is,” said Alice, “whether you can make words mean so many different things.”
    “The question is,” said Humpty Dumpty, “which is to be master—that’s all.”
    Alice was too much puzzled to say anything, so after a minute Humpty Dumpty began again.
    “They’ve a temper, some of them—particularly verbs, they’re the proudest—adjectives you can do anything with, but not verbs—however, I can manage the whole lot! Impenetrability! That’s what I say!”

  7. Carissima Loredana, mi hai fatto tornare indietro con il tempo quando, poco più che una bambina mi univo al corteo dell’8 marzo, nella mia cittadina, con le mie compagne tutte più grandi, per gridare a squarciagola la mia “voglia di esserci”. Ci ho creduto sempre, ne ho fatto la mia filosofia di vita, incazzata, ribelle, ma sempre con spirito sensibile verso tutto ciò che e’amore in questo schifo di universo.Poi le compagne di corteo si sono dissociate: fidanzate, ben sposate, drogate, insomma “dissolte” da quel meraviglioso sogno di pace,libertà ed ugualianza. Quindi il nulla, il vuoto, sulla strada ero sola, ma non ho mai smesso do credere in me stessa. Ecco oggi, leggendo le tue parole quasi mi commuovo pensando a quella quasi bambina, che ha vinto la sua libertà e se oggi può valere quasi come una formula magica mi piace dire: sì io sono femminista!

  8. La “trasversalità” di tutte le donne, propugnata nei primi anni del femminismo (concordo che è più esatto parlare di “femminismi”) ha avuto il grande merito di renderci consapevoli della specificità dell’oppressione di tutte le donne ad opera della cultura maschile (che allora si sarebbe definita patriarcale).
    Personalmente sono d’accordo che femminismo e lotta di classe debbano andare di pari passo, senza mai dimenticare quanto di specifico concerne in particolare le donne.

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