L'ODIO DEI GIUSTI E IL RESTO DI NIENTE

Il 20 agosto 1799 Eleonora Pimentel Fonseca sale sul patibolo. Enzo Striano, in uno splendido libro che cito spesso e che si chiama Il resto di niente, la immagina mentre, con il cappio al collo, guarda le facce sghignazzanti intorno al palco e mormora, in latino, Forsan et haec olim meminisse juvabit (”Forse un giorno servirà ricordare tutto questo”).
Ma non ci crede.
Scrive Striano: “Di lì a poco, finita la festa si sparpaglieranno in mille direzioni. Sulla sabbia della Marinella, verso Santa Lucia, a Toledo… Domani avranno già scordato quanto succede adesso: ora però si stanno divertendo, innocenti e crudeli come infanzia”.
Salto in avanti.
A gennaio 2014 Pierluigi Bersani viene operato al cervello per emorragia cerebrale. Ricordo molto bene il “caso Fatto quotidiano” che scoppiò all’epoca. Nell’edizione on line un avviso ammoniva: “evita gli insulti, le accuse senza fondamento e mantieniti in topic. Abbiamo bisogno del tuo parere”.
Cosa era successo?
Qualcosa a cui ci siamo abituati, ormai: sia sul sito che sui social dove il Fatto è presente, si sono rovesciati gli usualissimi insulti nei confronti di Bersani. Tanti, come ancora una volta è usuale. Quali i motivi? Non ci sono, non sono necessariamente – anzi, non sono affatto – insulti “politici”. Per esempio, scrive T (donna, fan di Borsellino e della Barbie, odiatrice di rom), : “sono veramente contenta di quel ke gli è capitato..spero muoia quanto prima…..visto tt la gente ke si è tolta la vita a causa delle sue scellerate scelte politike..equitalia in primis….non dimentikiamoci ke ne è stato uno dei fautori”.
Sono tutti politicamente caratterizzati, questi commentatori? Alcuni, leggendo qua e là, dichiarano la propria simpatia per il Movimento5Stelle, altri se ne infischiano, non evidenziano alcun interesse politico, fotografano piatti di spaghetti alle cozze o commentano (spesso con la stessa ferocia) le ultime avventure del personaggio televisivo di turno. E’ come se essere “indignati” e “anticasta” avesse sostituito il provino per il reality o il talent: e sarebbe davvero interessante avere un “Videocracy” sugli haters, per comprendere quel misto di autogratificazione, desiderio di riconoscimento e inclusione, spinta all’omologazione che il commento odiatore porta con sé.
Cosa è dunque avvenuto al Fatto? Semplice: dopo la controreazione (utenti che si indignano in gran numero per gli odiatori), lo status Facebook che riportava la notizia del malore di Bersani è stato rimosso, mentre sul sito è partita una mobilitazione dei gestori per eliminare i commenti violenti. Ma come, e tutto quel che è stato seminato negli anni precedenti dallo stesso quotidiano? Nulla, abbiamo scherzato, anzi, qualcuno ha esagerato ma non è colpa nostra, si suppone.
Salto in avanti, ancora.
Dopo la vicenda Gozzini/Meloni di cui si è parlato qui lunedì, i pareri si sono moltiplicati. Ne scelgo uno, molto interessante, di Federico Faloppa per la Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio. Leggetelo tutto, io vorrei soffermarmi su questo punto:
“Un altro problema, forse meno evidente ma altrettanto reale, è quello del cosiddetto “odio dei giusti” (e “delle giuste”): le espressioni di disprezzo e d’odio – misogino, razzista, classista – di chi si sente nel giusto, appunto, attaccando i misogini, i razzisti, i classisti con i loro stessi metodi. Si tratta di insulti, slogan, tentativi di umiliare l’altro, non di dialettica o di scontro politico e sul piano delle idee. Il body shaming sessista non è questione di destra o sinistra: è offensivo, arrogante, violento. Punto. Così come lo sono il classismo e il razzismo: non vi è una formulazione migliore dell’altra. Se scade in discorsi misogini e hate speech l’eloquio di un professore democratico antifascista non è “più giusto” di quello delle persone che lui vorrebbe (politicamente) combattere, a maggior ragione se prende di mira il corpo (“rana dalla bocca larga, vacca, scrofa”) e non le idee, come farebbe un qualsiasi bulletto senza argomenti.
Ciò che in effetti disturba, e molto, di quella trasmissione radiofonica, non sono soltanto le parole di Gozzini, ma il clima generale da bulletti che se la ridono e se la cantano da soli, come fossero al bar: tre uomini che – in radio a microfoni aperti, non nei loro tinelli – pensano di essere intelligentemente spiritosi insultando, spalleggiandosi l’un l’altro, senza esitazioni, come fosse normale scambiarsi certe battute davanti ad ascoltatori e ascoltatrici. Disturba che proprio loro, che del linguaggio e dei contesti d’uso dovrebbero avere contezza e consapevolezza, avendone fatto un mestiere (tra cui quello di insegnante) e una ragione intellettuale, non si rendano conto di fare lo stesso gioco di coloro che vorrebbero criticare, di mescolare alto e basso, arguzia e trivialità, perdendo completamente il senso del “peso” che la parola pubblica dovrebbe avere.
Nessuno rimpiange il politichese, l’estrema formalità (e l’estremo formalismo) di certi registri, una comunicazione elitista e ipercontrollata anche quando il mezzo – e il contesto – richiedono semplicità, chiarezza, immediatezza. Ma se il linguaggio diventa soprattutto flatus vocis, ammiccamento cameratesco, “parlacomemangi” nell’idea che – forti di un’arroganza questa sì classista e mal dissimulata – tutto si possa dire, sempre e comunque, anche in uno spazio pubblico, esentati da responsabilità e sensibilità nei confronti di chi ascolta (e delle persone di cui si sta parlando), non bisogna sorprendersi troppo se si superano i limiti della decenza e si scivola, malgré soi, nel vituperio e nel bullismo. L’hate speech, d’altronde, anche questo fa: mortifica la nostra competenza linguistica e comunicativa riducendola a una ridda di slogan, di battutacce triviali (da non confondere con l’ironia, ben altra cosa), di insulti, sparati spesso – tra l’altro – nel mucchio, al riparo di uno schermo o di un microfono e di una presunta patente di impunibilità”.
Ecco, torno sull’argomento non per mettere in croce nessuno. Non sono per le punizioni, le sospensioni, le chiusure di trasmissioni. Tutt’altro: penso che in questo caso possano essere controproducenti, e far precipitare i puniti nello status di vittima che, come è noto, è immobilizzante. Sarebbe bello, invece,  che l’episodio producesse un dialogo e dunque un cambiamento. Forsan et haec olim meminisse juvabit. Magari si potrebbe provare a crederci.

Un pensiero su “L'ODIO DEI GIUSTI E IL RESTO DI NIENTE

  1. ” Ma se il linguaggio diventa soprattutto flatus vocis, ammiccamento cameratesco, “parlacomemangi” nell’idea che – forti di un’arroganza questa sì classista e mal dissimulata – tutto si possa dire, sempre e comunque, anche in uno spazio pubblico”
    Mi chiedo: perché il linguaggio pubblico si è ridotto a flatus vocis?
    Rispondo: perché si è ridotta a flatus vocis anche l’opposizione democratica (di cui Gozzini pare sia un rappresentante). Non basta essere contro le Meloni appellandosi ai Draghi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto