L'UTOPIA DI SARAMAGO

Mi ripropongo quasi ogni mattina di raccontare il dietro le quinte di Fahrenheit: difficilissimo farlo, però. Troppe cose da annotare: nella sola giornata di ieri, la discussione su donne e lavoro insieme a Maria Luisa Pruna e Pietro Ichino. Il dialogo a tre (che avrei proseguito per  ore) con Maurizio Ferraris e Giacomo Papi su memoria, presente, tracce, tecnologia. La chiacchierata tranquilla e pensosa con Stefano Benni. Poi, le mail che arrivano in diretta. Una, di Tiziana, aveva un allegato. Lo posto. Mi sembra che le parole di Josè Saramago, in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, siano quelle che occorre ascoltare.
Vedo dai sondaggi che la violenza sulle donne è l’argomento numero quattordici tra le preoccupazioni degli spagnoli, nonostante si contino tutti i mesi sulle dita delle mani, e sfortunatamente non ci sono sufficienti dita, le donne assassinate da quelli che credono essere i loro padroni. Vedo anche che la società, nella pubblicità istituzionale e in singole iniziative civili, anche se un po’ alla volta, si rende conto che è un problema degli uomini e che solo gli uomini lo devono risolvere. Da Siviglia dall’Estremadura spagnola ci è giunta notizia, qualche tempo fa, di un buon esempio: manifestazioni di uomini contro la violenza. Fino ad oggi erano soltanto le donne a scendere in piazza per protestare contro i continui maltrattamenti subiti dalle mani dei mariti e compagni (compagni, triste ironia), che, mentre in moltissimi casi prendono la forma di fredda e deliberata tortura, non disdegnano l’assassinio, lo strangolamento, la pugnalata, lo sgozzamento, l’acido, il fuoco. La violenza da sempre perpetrata sulle donne ha trovato nel carcere in cui si è trasformata il luogo della coabitazione (ci rifiutiamo di chiamarla casa), lo spazio per eccellenza per l’umiliazione quotidiana, per il maltrattamento abituale, per la crudeltà psicologica come strumento di dominio. Il problema è delle donne, si dice, e questo non è vero. Il problema è degli uomini, dell’egoismo degli uomini, del malato sentimento possessivo degli uomini, della pigrizia degli uomini, questa miserabile codardia che li autorizza a usare la forza contro un essere fisicamente più debole e a cui è stata sistematicamente ridotta la capacità di resistenza psichica. Qualche giorno fa a Huelva, applicando le regole dei più grandi, alcuni adolescenti di tredici e quattordici anni hanno violentato una ragazza della loro stessa età affetta anche da una deficienza psichica, forse perché pensavano di aver diritto al crimine e alla violenza. Diritto a usare quello che consideravano loro. Questo nuovo atto di violenza di genere, più quelli avvenuti questo fine settimana, a Madrid una ragazzina assassinata, a Toledo una donna di trentatre anni uccisa davanti a sua figlia di sei, avrebbero dovuto far scendere in piazza gli uomini. Forse 100mila uomini, solo uomini, manifestando per le strade, mentre le donne sui marciapiedi a lanciargli fiori, questo sarebbe potuto essere il segnale di cui la società ha bisogno per combattere, dal suo interno e senza scrupoli, questa insopportabile vergogna. E la violenza di genere, con o senza la morte, cominci a essere uno dei primi dolori e preoccupazioni dei cittadini. È un sogno, è un dovere. Può non essere un’utopia.

8 pensieri su “L'UTOPIA DI SARAMAGO

  1. C’è da dire, che se oggi siamo ridotti a concepire codeste manifestazioni come “utopistiche”, beh annamo bbene!
    Lessi da qualche parte che il gene Y sta diventando sempre più povero. Magari dove non sono giunti secoli di lotta, arriverà la natura a riequilibrare.

  2. Non ci avevo mai pensato, solo uomini in piazza, per difendere l’altra metà di se stessi. Sorgerebbe spontaneo se fosse veramente sentito come un problema anche loro. Cosa lo rende invece una utopia?

  3. Sentivo prima, nel gr3, che un’altissima percentuale di donne non considera crimine la violenza subita all’interno delle mura domestiche. Mi sembra una cosa gravissima, questa. Se anche alle donne manca la consapevolezza, come potranno (come potremo) combatterla?
    Milvia

  4. Bellissima l’utopia di Saramago.
    Ripenso alla manifestazione del 2007 però, a cui gli uomini non “dovevano” partecipare. Sarei sceso in piazza ma si disse che gli uomini non avrebbero dovuto farlo. Credo che fu un’occasione persa. Giustificabile forse, comprensibile sicuramente, ma provai una sensazione fastidiosa.

  5. Sì, certo condivido le parole di Saramgo, anzi le condividevo pure prima che le leggessi, mi pare lapalissiano che gli uomini debbano considerare le violenze sulle donne come un loro problema.
    L’utopia sta probabilmente nel dire qualcosa di evidente e, nello stesso tempo, invisibile: cambiare punto di vista, sì, questo a volte può diventare rivoluzionario.
    p.s. scusa Loredana non puoi dire a una ascoltatrice di Fahre ‘fissata’ come me che ‘ti riproponi’ ogni mattina di raccontare il dietro le quinte di Fahre. Fhallo! (o sennò, taci). E comunque, da quato ci sei tu, non riesco ad ascoltare nemmeno cinque minuti di trasmissione di fila. Mannaggia.

  6. che bella vecchiaia, quella di saramago. lucida, onesta, indipendente. lo vidi la scorsa estate a lanzarote, e forse non esiste posto migliore per figurarsi un premio nobel 87enne che apre un blog e attacca la chiesa, la politica corrotta, il maschilismo, le ipocrisie. per me è lui la vera coscienza critica della modernità.

  7. Due riflessioni. Prima: forse, se lo dice Saramago, qualche altro uomo si convincerà o perlomeno rifletterà. Seconda: ci sono anche donne che dividono la parola dal fatto. Che leggono la cronaca della violenza ma non vogliono sentir parlare di sessismo e di maschilismo. Convinte che la violenza capiti perché te la meriti, e disgustate dalla parola ‘femminismo’ perché è ‘vecchia’. Una donna che conosco, e che stimo, mi ha detto un giorno che ‘nel 2009 quello femminista mi sembra un linguaggio superato’. Si separa il linguaggio – ‘la donna è oppressa, discriminata, violentata’ – dall’atto – l’oppressione, la discriminazione, la violenza. Uno deve cambiare, anche se l’altro rimane lo stesso nei secoli.

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