MADONNA CHE NOTIZIA

Facciamo un gioco.
Pensiamo al Tg1 delle 20 del 7 luglio 2010, ieri. Giocoforza ridotto causa partita. La notizia del pestaggio dei terremotati aquilani era ovviamente scivolata in basso, a ridosso della spesa annuale di Madonna per “restare bella come a trent’anni anche se ne ha cinquanta” (notevole, vero?).
E ora, sfogliamo City dell’8 luglio 2010, oggi. Uno dei giornali distribuiti gratuitamente in metropolitana. Quella stessa metropolitana dove, come ho detto altre volte, nessuno ha più fra le mani un quotidiano a pagamento, ma solo e unicamente free-press (salvo rare eccezioni). City apre con questo titolo “Milano e Bolzano le città più care, Napoli la più economica”. A destra, foto della manifestazione degli aquilani. Titolo: “Aquilani a Roma, scontri e feriti”. Altre notzie di prima. La condanna alla prigione di Lindsay Lohan. Il caso Elisa Claps e quello di via Poma. Una dichiarazione di Claudio Amendola su quanto era importante fare il servizio militare. Pagina 4 e 5 (2 e 3 sono di pubblicità): la sezione si chiama “I protagonisti”. Argomento delle fotonotizie: la tartaruga Caretta caretta torna a deporre le uova, Madonna spende quel che spende “per curare la sua bellezza”. Ah, gli aquilani. Ci sono: due colonnini.
Risultati del gioco? Non è solo questione di telegiornali. E’ questione di una cultura dell’informazione in pillole, smart, fruibile, rapida e soprattutto con  priorità forse lievemente diverse rispetto al peso reale delle notizie. Questo è quel che viene letto tutti i giorni da una fetta gigantesca di pubblico. Che, spesso, non ha ulteriore accesso all’informazione. Che si fa?

38 pensieri su “MADONNA CHE NOTIZIA

  1. Detto da una specialista della censura e della proscrizione come te, risulta davvero contraddittorio. Ho smesso di acquistare La Repubblica per causa tua.

  2. Che si fa? Bella domanda.
    Il maquillage di regime evidentemente non tiene più. Lo psiconano ha una carrettata di problemi anche in casa propria, i governatori che protestano, adesso pure i terremotati in piazza e la nazionale ha fatto la fine che sappiamo. Il tg1 di Minzolini non val nemmeno la pena di boicottarlo, mi dicono che l’audience è calata a picco. E l’informazione è solo il condimento: è la minestra che sta cambiando. Fra qualche mese gli italiani si accorgeranno di che significa avere servizi locali decurtati, una scuola pubblica in via di smantellamento e la cassa integrazione trasformata in licenziamenti.
    Io vedo prossima la giornata delle monetine per il cavaliere (sono troppo ottimista?), dopodichè un triumvirato Rutelli-Casini-Fini mi fa venire i brividi ma quello che temo di più è la secessione reale del nord che soluzioni centriste del genere non riuscirebbero ad evitare.
    L’imbarazzo della sinistra ad affrontare quella che sta diventando la questione centrale di questo paese, è peggio dell’Aventino.

  3. Ma infatti.
    Ieri ho letto e molto apprezzato i commenti al post precedente (cinquanta, settecento, altro) specie Valter Binaghi e Paolo E.
    Binaghi, soprattutto, mi ha fatto salire un potente magone, e a volte ci vuole.
    Tutto è, è stato e sarà vano. Il futile che si sostituisce alla responsabilità di affrontare una realtà difficile, contraddittoria, dura. E’ eterodiretta: ce ne sfuggono le dinamiche, le congiunture, i punti di forza. E’ incomprensibile.
    Pure, le notizie e i contenuti “pesanti” ci sono e ci sono i mezzi per poterli raggiungere, ora come non mai prima. Ma l’approfondimento è appunto pesante, non è di moda. Non si ha tempo. Non si ha voglia. Non ce la si fa con la testa. E’ complicato. Non buca. E’ inutile. E’ tempo perso. Tanto…
    Intanto, pare (dice, sembra) che anche Cialente (sindaco aquilano) si sia beccato la sua dose di manganellate. Non so se mi spiego.
    Non la faccio lunga (ma apodittica, sorry): è tutto un problema di formazione e informazione. Tutto.
    E’ paradossale che chi si accosta e sa accostarsi e ha voglia di accostarsi agli strumenti informativi, sostanzialmente, non ne avrebbe bisogno.

  4. ci sono tante persone che credono veramente di acquistare un videoregistratore con 50 euro presso alcuni “ambulanti” che ti fermano ai semafori. poi vanno a casa e si accorgono che del videoregistratore c’è solo il frontalino, mentre il resto è un parallelepipedo di calcinacci e cartone. non credo che la colpa sia di chi glielo ha venduto

  5. Non è solo un problema di formato (anche se concordo che le pillole d’informazione a costo zero, valgono anche zero e scivolano via come una pallina Zigulì), il problema è di quanto poco professionali e asserviti siano i giornalisti italiani che le confezionano.
    Che si fa, chiede ? Bisogna riempire gli spazi. Com’è quella legge economica: la moneta buona scaccia la cattiva? Incominciamo fare moneta buona pubblicando anche “noi” informazione popolare in pillole, radio e cultura di massa.
    In questo senso aggiungo che sono contrario allo sciopero di domani. Bisognerebbe invece moltiplicare ed intensificare l’informazione (vera) e fare le manifestazioni contro la legge bavaglio a Saxa Rubra (coi forconi) e non a Piazza Navona (coi turisti).

  6. Speriamo che le sceneggiate delle monetine non avvengano più, perchè quando le hanno lanciate al craxi, non è che le cose siano migliorate. Anzi! Sono peggiorate in modo esponenziale, come se quell’atto fosse stato liberatorio di mille pulsioni maligne.
    Ma se si dovesse avverare, prego soltanto di lanciare monetine da un cent.
    Triumvirato rutelli-casini-fini? Vale a dire pinocchio il gatto e la volpe? Per carità!

  7. Invece io non penso affatto che sia un problema di formato.
    Penso piuttosto che sia un problema di lingua e di culi.
    Anche perchè nelle logiche giornalistiche, che il mercato pubblicitario non ha necessariamente alterato, manco la free press, premia la notizia vendibile. Ora a sfruttarlo per benino, il pestaggio degli aquilani uh era una roba ghiottissima! C’erano mesate di sciacallaggio da fare a seguire! Quella complicata mistura spesso ineliminabile dall’informazione che mischia il dovere di cronaca la speculazione e la nevrosi non curata.
    Se è mancata quest’occasione è perchè il cane fa paura, perchè la critica sarebbe stata troppo forte, e la stampa sta cedendo al ricatto del governo. Aiutandola per prima a trasformarlo in regime.
    E quoto molto cacioman (che nome:)

  8. I free press sono un ottimo modo per pilotare l’informazione, in una fascia specifica di popolazione.
    Sarò un po’ banale: chi controlla City? Rcs, Corriere della Sera. Se riuscite a trovare i nomi del direttore e della redazione, segnalateli: non sono stato così fortunato.
    Leggo: proprietà del Messaggero.
    (fonte: http://pieromacri.blogspot.com/2009/05/futuro-incerto-per-metro-e-la-free.html)
    Metro: adesso (assieme a DNews) di proprietà della N.M.E – New Media Enterprise (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Metro_%28quotidiano%29 )
    Certo, c’é da dire che questi quotidiani risparmiano proprio sul lavoro redazionale, riciclando spesso notizie da internet in un’ottica di infotainement. Orientarsi su una notizia più “politica” rischia di diminuire il pubblico di potenziali inserzionisti. La domanda è: siamo ridotti a questo?
    (e non è neanche vero, perché una foto gigante di un ragazzo con la testa insanguinata a livello pubblicitario è l’equivalente di una bomba. C’é stata la volontà politica di far scivolare l’argomento. Da qui, la domanda iniziale)
    “Questo è quel che viene letto tutti i giorni da una fetta gigantesca di pubblico. Che, spesso, non ha ulteriore accesso all’informazione. ”
    Questa è la chiave del discorso. A corollario, si spiega anche l’arretratezza informatica dell’Italia.
    Che si fa? Un free press di controinformazione? 😀

  9. Ma, se ho inteso bene il senso del post, il punto è che le free press sono effetto e non causa (o concausa) della situazione presente. Cioè credo valga più la pena di interrogarsi su quest’ultima piuttosto che sulle prime.

  10. @Sir Robin: certo, hai ragione. E’ un sintomo. Come diceva zauberei in un bell’intervento (come di consueto), il cane fa paura. Tuttavia, i free press esistono in tutto il mondo. E nella nostra condizione, si tratta di ulteriori possibilità perse.
    (detto questo, la colpa non è dei free press. E’ il sistema informativo che è sclerotizzato. Perciò, che fare?)

  11. cosa possiamo fare? eh, bisognaerebbe trovare una maniera di fare UNA massa critica il più possibile compatta e rappresentata. Ma come?

  12. Purtroppo, quella legge economica recita esattamente l’inverso: è la moneta cattiva che scaccia la buona.
    Credo spieghi molte cose. Tra le quali anche perchè il volontarismo, in buona fede e tante volte ammirevole, non funzioni.
    Allo stesso modo, l’informazione, pur essendo questione di grande importanza, non è che un aspetto del naufragio cognitivo e sociale che fa di noi dei profughi sedentari. Profughi, non dopo, ma prima della catastrofe.
    In attesa.
    In questo senso, L’Aquila e i suoi abitanti sono al tempo stesso esemplari e diversi da tutti.
    Perchè lì la catastrofe si è già compiuta, e solo dopo, e il relativo stordimento, ci può essere la reazione.
    Quando si perde la conoscenza, e le ragioni dello stare insieme, il legame sociale si frantuma, evapora, polverizza, e rende ogni atto, ogni evento sconnesso dall’altro.
    Il quadro un puzzle illeggibile. La cornice incapace di contenerne i pezzi. E dunque, alla lettera, non se ne scorge più nè il senso, nè la funzione.
    La conoscenza di sè come comunità è un processo di lunga durata, sia in costruzione che in dissoluzione, e vi partecipano una quantità di fattori, diversi dei quali sfuggono all’analisi del quotidiano, anche se sul quotidiano riverberano di continuo.
    Gli eventi traumatici hanno un enorme potere di accelerazione sui processi cognitivi collettivi.
    Ritengo sia uno dei motivi per cui gli uomini, come specie, danno tanta importanza, e pratica, alla guerra.
    E’ il modo, brutale e immediato e imperativo, per far stare insieme una comunità. Contro un’altra.
    Ieri notte ho visto un documentario, bellissimo, condotto e raccontato attraverso gli occhi e le domande di un bambino, Sidi. Tuareg.
    Un viaggio a cavallo, meglio a dorso di cammello, tra Niger e Pordenone.
    Questo bambino meraviglioso sapeva, sa, di sè, di noi, molto più di quanto oggi noi siamo in grado di sapere, e tollerare. Su noi stessi.
    Cosa lo ha reso capace di tanto?
    L’evento traumatico del distacco, della diaspora? Il transito da un deserto ad un altro?
    La secessione è già in atto. Questo è già un post-paese.
    Non è piacevole dirlo, ma i cittadini della penisola mediterranea dovrebbero, ciascuno come può, prepararsi. Gli scossoni in arrivo daranno la sanzione. L’effetto cogente e traumatico di quell’immagine differita e sfocata che oggi ci giunge dal futuro. E saremo profughi, non più sedentari.
    Di certo renderà molto più semplice capire perchè stavamo insieme. Molto meno invece, sarà ricominciare a farlo.
    L.

  13. Ci sono due soluzioni:
    – i (pochi) giovani di buona volontà e buoni principi prendono il potere con la forza (che qui sta per violenza, imbrogli, complotti ecc.);
    – i (pochi) giovani di buona volontà e buoni principi fanno le valigie e lasciano imputridire questo paese di m…. (dove per paese si intendono le persone e non il paesaggio).
    Io sto già facendo le valigie, a voglia dire che tutto il mondo è paese e che l’erba del vicino è sempre più verde: con l’età media e il livello di xenofobia che ha l’Italia non va da nessuna parte, altro che fine della depressione…
    E scusate la volgarità.

  14. Scrive Blepiro:”Che si fa? Un free press di controinformazione?”.
    Domanda: sarebbe un’ opzione del tutto impercorribile? Non mi intendo molto di stampa free-press, non mi capita mai di leggerla (non uso metropolitana e in treno leggo libri), quindi chiedo a voi.

  15. Dopo prolungata assenza semivacanziera, saluto e riverisco la padrona di casa e il commentarium.
    Sul post, penso che TG1 e free-press rispondano a due logiche opposte, che finiscono paradossalmente per portare a risultati convergenti.
    Il free press credo sia fondamentalmente un mezzo per raccogliere inserzionisti, dunque si tratta di spazi pubblicitari rivestiti da un sottile strato di notizie: quanto più generaliste e capaci di catturare la più ampia massa di pubblico per garantire introiti ad aziende private
    ( Poi certo sarebbe bello che un editore illuminato e creativo proponesse un free press quotidiano alternativo…).
    Il TG1 invece dovrebbe essere erogazione di servizio pubblico, mentre per connivenze e opportunità politiche finisce per perdere credibilità e molti spettatori pur di dare un’immagine rassicurante della situazione economica e politica del Paese. Per fare ciò stronca le notizie vere con censure vere e proprie o deliberata superficialità, il rimanente lo soffoca tra fuffa e infotainment a volontà, e finisce perciò per somigliare a un free press, ma in peggio perchè non è neanche free visto che lo si paga noi, alla fine. Questo andazzo peraltro viene aspramente criticato da più voci (giornalisti, scrittori, intellettuali…); cresce il dissenso interno, vedi le dimissioni della Busi con lettera molto esplicita e dura proprio su questo tema; dal basso, blogger e altri attori dell’informazione cercano di colmare i vuoti diffondendo una versione del mondo alternativa a quella edulcorata del TG1, e i cittadini fanno sentire la loro disapprovazione abbandonando in massa questo telegiornale. Cioè, qualcosa già si fa.

  16. Spezzo una lancia a favore della free-press, come già ha fatto qualcuno in precedenza: si tratta di un mezzo commerciale che sfrutta l’informazione, quindi per forza di cose si tiene “abbastanza” neutrale e molto, molto poco critico. (Tranne su spettacoli e sport, dove fare caciara è fonte di sicuro gradimento).
    Negli anni passati notavo spesso che City era “un po’ più a sinistra”, Leggo “un po’ più a destra” e Metro “un po’ più boh”. Nell’ultimo periodo si sono molto uniformati, anche la selezione delle notizie è bene o male la stessa e l’esposizione sempre molto asettica (ma su questo nulla da ridire, quello che spesso fa inquietare è lo spazio riservato).
    Ciò che Loredana (scusa il tu:)) nota su city a riguardo degli scontri a Roma l’ho verificato anche su metro, e fra me e me ho pensato “già è tanto che sia in prima pagina”. Mi viene da dire che chi si affida totalmente alla free-press è lo stesso che prende per oro colato le panzane del TG1, mentre un lettore più consapevole la prende come va presa: un collage disordinato di notizie, tanto per farsi il panorama. Poi, si piglia la Rete e si approfondisce. Tenersi un minimo informati è una fatica, al giorno d’oggi.
    La free press di “controinformazione”, che poi in realtà sarebbe d’informazione-ebbasta contro la mezzinformazione o pseudo-paella-di-notizie dei mezzi più gettonati, sarebbe un’idea interessante. Bisogna vedere se effettivamente, come qualcuno ha sostenuto, il sostegno degli inserzionisti sarebbe latitante per via dei contenuti FORTI (!!).
    Che voi sappiate, il TG1 ha avuto dei cali di ascolti? Dovrebbe. Se la gente fa quello che dice. Ricordo ancora, poco prima dell’insediamento del Minzo, tre minuti di auto-sbrodolamento su quanti record di ascolti avevano battuto durante i servizi sulla tragedia de L’Aquila.

  17. E’ forse questa crudele notizia l’informazione che ci manca perchè il mondo non finisce ai confini di questa povera Italietta che si barcamena tra calcio gossip e pochissimi argomenti seri.
    Il bavaglio all’informazione? Certamente nessuno lo vuole, ma vorrei anche una informazione più vera e meno pasticciata e molto meno addomesticata o di parte.
    Anche questa notizia ci manca o forse l’abbiamo avuta a notte inoltrata. In ogni caso notizie nascoste.
    Da fb

  18. Il servizio pubblico dovrebbe prevedere una informazione quanto meno corretta. A parte il TG1, esempio di servilismo sfacciato (secondo me va oltre i diktat politici e poi è noioso a bestia), è proprio l’informazione che latita.
    D’accordo l’afa, ma aprire continuamente con l’emergenza caldo fa cadere le braccia. A questo punto meglio Studio Aperto, gossip di prima mano.
    La free press, invece, non ha veri doveri di informazione, non sei costretta a leggerla, la contro free press mi agghiaccia (mi ricorda le corse che si facevano quando trovavi gli esaltati di “lotta comunista” che pretendevano l’obolo per la noia dello smilzo quotidiano). Quello che è successo al sindaco dell’Aquila dovrebbe farci vergognare, ma di è la colpa se è morto il giornalismo inchiesta? Quella è una notizia che andrebbe data settimanalmente sull’Espresso che latita anch’esso…

  19. Mi verrebbe da dire: altro che sciopero dei quotidiani, domani. Dovrebbero distribuirli gratis, per un giorno. Sai che bomba.

  20. Luca c’è qualcosa di inquietante quanto convincente in quanto dici sulla necessità degli eventi traumatici. Che andrebbe però completato in qualche modo con un discorso sulla necessità della consapevolezza, per non fare passi indietro ancora e ancora maggiori.

  21. Sai Luca evocando una scenario già accaduto e mettendoci il concetto di comunità smarrita rendi gli altri commenti un poco insulsi, ovvero di fronte a ciò chi se ne frega della free press e dell’informazione?

  22. @Vincent: Vero. Penso che uno sciopero della stampa sia la condizione che alcuni figuri (molti) si auspicherebbero ad vitam. Ne condivido i motivi ma non la forma, mi piacerebbe vedere i redattori “scioperanti” che per un giorno tirano fuori fogli di informazione gratuita, senza spot, e non viziata da considerazioni di vendita o di opportunità politica.
    Poi, sono curioso: ma il TG1 come si porrà? Già mi aspetto l’editoriale-show.
    @Luca: immagini suggestive e inquietanti, indubbiamente. Ma lontane, ancora, a mio avviso. Quando la maggioranza degli italiani sta bene così.

  23. Non ritengo quelle immagini granchè suggestive, e l’inquietudine chi ce l’ha se la tiene, ci convive finchè non scoppia.
    La maggioranza stava bene anche durante il ventennio, così credeva, ancora oggi si tramanda che i treni arrivassero puntuali, le porte di casa lasciate aperte…. Entrarono in guerra con una dabbenaggine e un’impreparazione che oggi, retrospettivamente, lascia sbigottiti. E con presunzione da contemporanei ci lascia supporre che a noi, oggi, non potrebbe accadere.
    Racconto un piccolo episodio, cui ogni tanto mi capita di pensare di recente.
    Tra il 1991 e il 92, all’univ. di bologna, mi capitò di organizzare, insieme ad altri studenti cattivi, un seminario su destre, fascismi, curve e violenze europee, articolato in vari incontri tematici con ospiti e approcci di varia estrazione. Erano gli anni della prima onda lunga leghista, che aveva addirittura un suo perverso fascino esotico, barbaro, antistorico.
    Ricordo che tra i materiali di preparazione di quegli incontri mi capitò tra le mani un report geopolitico di uno di quei centri studi strategici di matrice atlantica, credo fosse proprio americano, e purtroppo non ne rammento il nome. Nella parte che riguardava l’italia, si esprimeva, tra le varie, in termini probabilistici, per gli anni a venire, sulla permanenza della sua dimensione unitaria. Mi colpì molto che al 2012 la probabilità fosse fissata con un dato di poco inferiore al 10%, e che al 2020 tale dato decadesse sotto il 2%.
    Sembrava tutto molto lontano, e appunto, molto improbabile. E invece…
    Quello che voglio dire è che, nelle crisi e negli esiti di transizioni sociali culturali e politiche all’apparenza imprevedibili, si giocano e incidono fattori non solo endogeni, ma anche esogeni. Ovvero auspicati, o anche solo non ostacolati per via di condizioni geopolitiche mutate o particolari in un determinato momento.
    Ecco, io penso che oggi tali condizioni, interne ed esterne, quegli ingredienti ci siano tutti.
    Non è affatto la Grecia, irrilevante, e tantomeno la Spagna, l’anello debole della Zona Euro. Siamo noi, insieme agli eterni Balcani.
    E di questo magma ribollente che scorre molto sotto i nostri piedi, noi non vediamo nulla. Dobbiamo accontentarci, in superficie, dei grotteschi fantocci di bossi e berlusconi, che già bastano e vanzano, pensate un po’, a scardinare tutto lo scardinabile.
    Sono convinto che la fine politica di B. darà il via a uno scenario che facciamo fatica a immaginare, e penso anche che la cosa sia abbastanza imminente.
    Poi mi posso sbagliare, e lo spero anche molto.
    L.

  24. @Luca
    Anche io sono convinto che quello che ci viene ammannito non sia altro che un pallido teatrino di una realtà che se uscisse fuori con la dovuta evidenza sarebbe quantomeno destabilizzante. Ma è che del vero, del reale (specie se traumatico) si ha una gran paura, meglio non parlarne affatto e non dargli alcun peso. Meglio non guardarsi allo specchio. Ti vuoi informare?
    Di informazione non c’è carenza, al contrario con Internet, con la TV, con la stampa, ce n’è un diluvio, una sovrabbondanza, uno sproposito esorbitante. Il che non è affatto un male. Anzi. C’è chi dice (e io sono fra questi) che più ce n’è meglio è: la probabilità di reperire informazione migliore tende a crescere con il crescere della quantità. Anche semplicemente incrociando le inferenze che si assumono da fonti diverse.
    Ma, certo ci vuole tempo. Bisognerebbe dedicare minuti e ore a questa attività. Nondimeno è una risorsa cui poter accedere se e quando lo si ritenga opportuno.
    Ma anche ci vuole una grossa dose di maturità per sapersi orientare in una superficie magmatica. Potrebbe essere percepita (anzi forse lo è) come una specie di incubo, come la notte in cui tutte le vacche sono nere. Ecco allora, per esempio, la funzione delle free press (che hanno il fantastica prerogativa di essere free). Ma più in generale di una qualsiasi testata giornalistica o televisiva o anche semplicemente di un blog come questo: dare senso. Fungere da machete nella fittissima boscaglia della realtà tradotta in parola scritta o orale o in immagini. Fornire una selezione verso la quale indirizzare la moltitudine delle attenzioni. Rendere intelligibili, dare evidenza a scenari e istanze che altrimenti si confonderebbero in mezzo ad una indistinta confusione che fa paura. Ma dietro alle free press non c’è un progetto editoriale, non c’è un’idea. Si tratta semplicemente di appoggiarsi ad un supporto, in questo caso la carta, per farlo rendere e rendere bene, attraverso la pubblicità e contenuti di seconda mano. Mettendosi agli antipodi di qualsiasi presa di posizione. E’ solo spazio da affittare. Nulla di più. Ha successo perché, bene o male, dona gratuitamente l’illusione di aver compiuto il proprio dovere nei confronti dell’informarsi. Cioè gratifica con la sua superficialità. Non per questo è un’arma spuntata. No?

  25. Non penso che lo sciopero di domani sarà un autogol, perché immagino che chi li legge quotidianamente non si farà conquistare dalla free press o dal tg1 (edizione di oggi delle 13.30: giornalista donna con gelato inn mano riepiloga le ultime vicende così come sono state raccontate dal premier e, temendo probabilmente di non essere sufficientemente fedele all’originale, le intervalla con questa formula: “ma ascoltiamolo direttamente dalle sue parole”. Seguono spezzoni di video della conferenza di B).
    Probabilmente lo sciopero non sarà efficace perché, diciamocelo chiaro, la libertà di stampa non sta al centro degli interessi della maggior parte di noi italiani.
    Sul che fare non lo so, perché sono d’accordo con Zaub: molta censura o ‘selezione’ delle informazione dipende dall’autocensura, e sì, il cane fa molta paura.
    Buffa questa cosa del cane, perché nella tradizione liberale il cane a guardia della democrazia sarebbe la stampa, qui invece noi intendiamo ‘il padrone’ a guardia dei propri interessi.
    Allora sarebbe buona cosa mettere bene in evidenza, accanto al titolo del giornale, il nome del padrone (o ‘proprietà’) e dei maggiori inserzionisti, così, tanto per dare uno straccio di contesto.

  26. I giornali sono parte attiva nella costruzione di quella che Giorgio Vasta definisce “penombra cognitiva”.
    “Intercettazioni, seduzioni, potere: tutto resta attaccato e confuso come sopra una carta moschicida, e il risultato è una proliferazione di parole nelle quali c’è commento emotivo, scandalo, acquiescenza, in una inconsapevole e diabolica manutenzione della realtà”.
    Ancora: “Serve una coscienza che irrompa nell’indistinzione, nella materia magmatica, per organizzarvi un ordine e un palinsesto, riscattando l’intelligenza affinché da essa scaturiscano azioni.”
    “Noi comprendiamo tutto, […] sappiamo tutto. Ma è un’intelligenza che non si continua nelle azioni, […] in azioni concrete e umane capaci di generare conseguenze. Si limita a contemplare se stessa. Si basta. Fa parte della resa.” Spaesamento, Laterza 2010
    Che si fa? Non ci si arrende, se non da tumulati (o cremati).

  27. Che si fa?
    ah, semplice: si chiudono per decreto tutti i giornali gratuiti; poi si manda a casa Minzolini e altri due o trecento (mila?) giornalisti servili e “corrotti”; poi diciamo che Mediaset NON è una risorsa culturale per il Paese e che anzi deve stare sul mercato secondo le regole, senza fondi neri; poi c’è la Mondadori ma ormai il lodo è roba vecchia passata, però almeno si potrebbe evitare di fargli vincere lo Strega (e il Bancarella e…) tutti gli anni da qui al 2024 – quindi evitiamo (?) di acquistare i loro libri (almeno quelli di Vespa che come si sa vende pochissimo ma anche quelli di D’Alema e, perché no, pure quelli di Genna che ivi scrive o di WM in Einaudi). Poi, che si fa?
    Si fa?
    Bum.
    Ah, dimenticavo: possiamo sempre lamentarci ben consapevoli di tutto ciò. E continuare (più o meno) tranquilli…..

  28. oh, mi aspettavo di trovare maggiori commenti, dell’informazione sembra fregarcene poco, alors?
    A parte Luca, tutto un poco una lagna o forse è la domanda della Lipperini che è mal posta? Sta storia delle cultura dell’informazione, riferendosi alla metro b di Roma più che populista ha un retrogusto di paternalismo un filino sgradevole. Ci pensavo oggi, mentre ascoltavo radio tre, si parlava di delegittimazione dell’avversario. Non so perché ma pensavo: ma chi sono questi italiani che si accontentano del giornaletto gratuito in metropolitana? Magari odiano proprio noi, coi rotoloni sotto il braccio e tre libri aperti a casaccio. Ci vivono come privilegiati? Siamo noi i nemici?

  29. Io credo che a molti di loro dello sciopero dei giornali di domani non frega nulla, si preoccupano di come arrivare al lavoro per lo sciopero dei mezzi pubblici. Ecco in questo il berlusconismo ha stravinto: gli intellettuali (parola che mi fa ridere ma ci metto in mezzo giornalisti, scrittori, traduttori, lettori ecc) vissuti come parassiti fancazzisti, da prosecchino in enoteca. Superflui.

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