MAESTRI, MAESTRE

Io non sono sicurissima di essere d’accordo con Adriano Sofri quando scrive, come ha fatto stamattina in un bell’articolo su Repubblica (non on line, purtroppo), della necessità di avere “buone maestre”. Penso, anzi, che a svalutare drammaticamente questa professione sia stata propria l’impossibilità di sradicare l’equazione donna=educatrice ideale. Non è vero, semplicemente. Ancor più semplicemente, come diceva Elena Belotti, l’insegnamento non è una vocazione: è una professione.
Penso, invece, che abbiamo un disperato bisogno di autori di testi scolastici. Di persone competenti, e non semplicemente volenterose. O famose: dopo il citato libro di storia firmato Zavoli, dopo il libro d’inglese targato Winx, mi aspetto un libro di scienza di Piero Angela. A testimonianza di un paio di cosette: primo, nel nostro simpatico paese non sono gli studiosi a sforzarsi di essere, come sarebbe corretto, accessibili, ma i divulgatori televisivi ad essere equiparati agli studiosi. Secondo: è in crescita il numero di insegnanti che si fa volentieri sedurre dalla notorietà. Della serie: adottiamo come libro di lettura per la terza media Il cacciatore di aquiloni ( E’ in classifica!Wow!).
Tornando ai libri di testo.
Dialogo mattutino con il secondogenito, alle prese con gli esami imminenti. Argomento: Elsa Morante, La storia. Dice lui: “Poveraccia Ida, il figlio piccolo muore epilettico e quello grande in una sparatoria”. Dico io: “Ma no, Ninuzzo muore in un incidente automobilistico, inseguito dalla polizia. E’ vero, si spara da una parte e dall’altra, ma nessuno viene colpito, e il camion finisce nel burrone. A me ha sempre fatto pensare  il fatto che Nino fosse riuscito a scampare ad ogni insidia, durante la guerra, per poi morire in un modo così banale”. Il secondogenito si inalbera: “Lo-dice-il-mio-libro”. Lo prende e legge: ha perfettamente ragione. Conflitto a fuoco. Mi inalbero anch’io e prendo la mia vecchia copia de La storia e gli leggo il passaggio della morte di Nino. “Così è un’altra cosa”, commenta il secondogenito. Certo, tecnicamente “il conflitto a fuoco” c’è.
Ma, appunto, è un’altra cosa.

47 pensieri su “MAESTRI, MAESTRE

  1. anche io non mi sono ritrovata proprio a piombo con Sofri stamane, ma nelle prese di posizione capita.
    penso che a svalutare drammaticamente la professione sia stata la discontinuità tra “maestro” come figura cardine nell’italia che è tutta provincia e “maestra” o “professoressa” come figura secondaria rispetto al vero mestiere di madre.
    penso che, nonostante certe derive baronali, abbia ragione Figà Talamanca quando osserva che il bassissimo livello scolare dipende dall’abbandono dell’insegnamento da parte di gente (fortunatamente desessualizzata) laureata in fisica e chimica e ingegneria.
    penso che, nonostante certe derive snobistiche, abbia ragione Citati quando dice che molti problemi della classe docente (fortunatamente, finalmente desessualizzata) sia la bassa retribuzione (per converso molto sessualizzata e al femminile).
    penso che le antologie selezionate (e che per una volta tutta l’erba sia un fascio) siano la morte della letteratura che va ruminata e ruminata e basta.
    penso che leggere Odon von Horvath in Gioventù senza Dio (1937) sia attuale e macabramente assiso sul rapporto scuola e media.
    penso che avrei avuto fortuna a incontrare Miss Brodie perché l’unica cosa che mi ha sempre fatto scuola intorno è stata la curiosità intellettuale.
    e questo lipperatura.
    chi
    “Io credo che prima di essere assunti a scuola sia necessario sostenere un colloquio motivazionale. O almeno una conversazione motivazionale con individui che insegnano da tempo. Andrebbero esclusi per direttissima tutti coloro che utilizzano, per descrivere il mestiere che andranno a fare, termini come Missione, Prodigio, Supplizio e Abnegazione. Andrebbero sponsorizzati coloro che azzardano termini come Seduzione, Espressione in lingua italiana, Impegno, Sudore della fronte e Schiacciamento delle natiche.
    Ovviamente, giacché sarebbe ragionevole, la conversazione motivazionale non è programmata a nessun punto della trafila. Comunque, come mi ha fatto notare Speranza, io non sono interessata alla carriera politica, non sono ministro e dunque è meglio che mentre svolgo il mio lavoro mi faccia pure i casi miei. Oppure posso decidere di pubblicare i miei verbali e se lei ci mette le mani forse ci caviamo qualche soldo.
    In effetti con tutte le persone che lavorano a scuola e contemporaneamente fanno altro si potrebbe sostenere che l’istruzione pubblica ha uno scopo di lucro.”

  2. Ci sono un sacco di professioni che sono anche una vocazione. Se non hai la vocazione le puoi forse esercitare discretamente, ma non oltre. e secondo me l’insegnamento è una di questi.
    In Canada, chi sa se te l’ho già scritto in un vecchio commento, c’è stato un provvedimento per cui nelle scuole elementari e in particolare quelle periferiche sono stati selezionati maestri maschi. Per contrastare con un modello maschile sano e accudente violenza e bullismo. Lo trovo interessante (speremo che nun te l’ho già scritto).
    Ma gli insegnanti poracci sono così maltrattati e demotivati!
    E i libri di testo hai ragione. Sono una iattura. Ce ne vorrebbero di migliori si!

  3. Non me lo avevi scritto, ma anche se così fosse stato, viva le ripetizioni.
    Vero, gli insegnanti sono maltrattati e demotivati. Verissimo. Vero anche che sono sottoposti a non poche vessazioni da parte dei genitori.
    Però.
    Mezz’ora fa ho deglutito e taciuto, al telefono col secondogenito, che aveva proposto come programma d’esame un percorso siffatto: Wagner-nazismo e seconda guerra mondiale- Guernica- Giappone- Energia nucleare, con Elsa Morante per la parte letteraria. La controproposta è stata: Wagner, fine dell’imperialismo e…ehm, “il Romanticismo in Manzoni e Leopardi”.

  4. Gentile Loredana, non ho capito se il libro di testo di suo figlio fa un riassunto falso del romanzo della Morante, o se espone sciattamente la trama, inducendo a credere che Ninuzzo muoia nel conflitto a fuoco e non nel burrone. Anche in questo caso fa differenza. In entrambi i casi il libro in questione sarebbe da eliminare, nel fuoco o in un burrone non fa differenza. Ma il suo autore andrebbe eliminato con motivazioni diverse. Complimenti al secondogenito per aver scelto il programma d’esame. In particolare Wagner-nazismo e seconda guerra mondiale. Avrà la fortuna di poter leggere, se non l’ha già fatto, Il Caso Wagner di Nietzsche. In generale, sulla questione libri di testo, scuola, educazione, ecc. sono sempre d’accordo con lei. Che l’insegnamento sia una professione e non una vocazione mi sembra una splendida sentenza degna di Pessoa.

  5. Caro Giordano, direi le due cose: un riassunto sciatto e non veritiero. Concordo con il fuoco e il burrone. 🙂
    Quanto al secondogenito, purtroppo dovrà, appunto, rinunciare alla sua idea e concentrarsi su Manzoni….

  6. mi perdoni signora Lipperini, ma non è da lei cadere nel qualunquismo di un “purtroppo Manzoni…”.
    Purtroppo la scuola, purtroppo i libri di testo, purtroppo gli insegnanti, purtroppo i politici, purtroppo la retorica ecclesiastica… questi “purtroppo” ci stanno tutti.
    Purtroppo, direi io, il popolo italiano, che non se lo meritava un autore così. Hanno violentato Manzoni per un secolo un mezzo. Ma me lo trovi lei, in tutta Europa, a quell’epoca e anche dopo, un altro capace di scrivere un libro di quella grandezza. A Goethe ne servono tre, per fare i Promessi Sposi. A Stendhal, che forse è il più bravo di tutti, ce ne vogliono almeno due. Bisogna aspettare Flaubert e Dostoevskij, ma è passato mezzo secolo…

  7. Il mio purtroppo si riferisce esattamente a quello che lei dice: inserire a forza Manzoni in un percorso personale d’esame (che ovviamente è un di più rispetto al programma che viene portato) non significa fare del bene all’autore medesimo, secondo il mio punto di vista.
    Ma, come detto, non interferisco e taccio.

  8. Loredana, purtroppo la prassi è quella del prof/prof.ssa che decide in vece di…, ma sarebbe di qualche aiuto far presente al secondogenito che il percorso dovrebbe (norme alla mano, mica cose che mi invento io) esser personale, e avere come unico limite gli argomenti del programma dell’ultimo anno?

  9. Io ho fatto le elementari negli anni ’80. Francamente non saprei dire nulla sulla qualità dei libri di testo.
    Nella mia esperienza personale, a quell’età la maestra è contata direi un 90%. Stava tutto il tempo lei, niente moduli. Devo dire che fu un caso fortunato, ma la stragrande maggioranza degli argomenti ci venne spiegata dalla maestra. Ho tutti i libri pieni delle sue annotazioni nonché quintalate di quaderni.
    E, penso che a 7-8 anni una figura del genere finisca anche per influire come educatrice, direi parecchio. Ho anche sempre creduto che l’assenza totale di maestri sia una situazione negativa.
    Certo, già alle medie, l’importanza dei libri aumenta. Ma essendo comunque scelti dai docenti, comunque vada una grossa fetta della responsabilità dipende da loro. Giusto o sbagliato che sia, un insegnante odioso di matematica difficilmente ti farà appassionare a quella materia se già tu non lo sei…

  10. Girolamo, temo che la vis polemica e donchisciottesca del secondogenito sia già abbastanza forte così per incrementarla ulteriormente. 🙂
    Ekerot, verissimo. Però, per quanto riguarda i libri: a quell’età si tende ancora a considerarli come “fonte unica e assoluta di verità”. Anche quando mentono.

  11. La qualità dei testi scolastici ha anche dei corresponsabili, oltre ai già citati autori: da un lato infatti le case editrici sembrano preoccuparsi non tanto della qualità di ciò che è scritto, ma della presenza o meno di una serie di orpelli dedicati a “semplificare il lavoro dell’insegnante” (non dimenticate che è l’insegnante che, adottando il libro, ne determina la vendita; quindi il libro viene di fatto venduto all’insegnante, non agli alunni, anche se questi lo pagano): guide per l’insegnante, griglie di valutazione, esercizi di recupero, cose così.
    Dall’altro, chi dovrebbe per mestiere effettuare tutti i controlli necessari perché eventuali stupidate non siano stampate (per intenderci, i redattori) sono sempre più spesso esterni (faccio parte di questa categoria) e spessissimo sottopagati (non siamo i soli, lo so) a fronte di un carico di lavoro sempre più pesante e con tempi sempre più stretti.

  12. Loredana, meglio non incentivare donchisciottismi, soprattutto se lo scopo del gioco è finire la scuola
    quello che emerge dal tuo post, e che volevo sottolineare, è non solo il cattivo servizio fatto alla letteratura da certi insegnanti, ma soprattutto un problema reale: l’insopprimibile voglia di un certo ceto docente di indottrinare, giudicare, decidere “per il bene altrui”, ovviamente senza sentire ragioni. Il tribunale della ragione ridotot ai pizzini sui quali vengono scritte le domande (e le risposte) che i ragazzi “spontaneamente” si alzano a fare…

  13. Aggiungo un carico da 11 da perfetto ignorantone che sono:
    Perché nei libri di testo i Crepuscolari e gli Scapigliati devono per forza essere più importanti di Alan Moore e di Will Eisner?

  14. Su professione e vocazione, direi che nessuna dovrebbe escludere né prevaricare l’altra. Il puro missionario può far male tanto quanto l’asciutto professionista, in campo educativo. Chiaro che in condizioni di disastro, fa comodo a chi dirige avere il missionario, pronto a sacrificarsi per la causa… ma questo non potrà che tamponare falle, mentre è a monte che bisogna agire, per evitare i disastri. (scritto al maschile, pensato al neutro, giuro).
    Sui libri di lettura — forse l’ho già raccontata. Einaudi, collana Letture per la scuola media. Gianni Rodari, per il suo C’era due volte il barone Lamberto prevede non le schede di fine capitolo, ma attività aperte. Prendete il vocabolario, cercate sull’atlante, cose così. ESPLICITAMENTE scagliandosi contro i percorsini idioti di leggi&comprendi o simili. Applausi, applausi.
    Cercatevi una ristampa successiva alla sua morte: oltre le attività proposte da Gianni, assieme a un pugno di patetiche scuse, ci troverete… le schedine con le domandine per cretini!
    Luce di speranza: domenica, al mare, ho sentito 2 ragazzine che parlavano dei loro progetti per la matura… una è riuscita a focalizzarsi sul “silenzio”, passando per le forme d’onda, John Cage, Primo Levi. Complimenti a lei e i docenti, in bocca al lupo per gli “esterni”.
    Su Manzoni, Luigi Weber: e che merito ci sarebbe a scrivere UN così grande libro, anziché due o tre?

  15. @ Paolo S.
    ho il vago sentore che la domanda sia polemica, ma certo deriva dal fatto che mi sono spiegato male.
    Non è il numero che conta, ovviamente. Volevo dire che, a mio parere, fino a “Madame Bovary” e all’ “Educazione Sentimentale”, o fino a “Delitto e Castigo”, nessuno in Europa scrive un libro della profondità, complessità, ricchezza, spietatezza dei “Promessi Sposi”. Il libro più pessimista e materialista della letteratura italiana, altro che Provvidenza! Il libro sociologicamente più raffinato mai scritto su questo paese, che per ovvie ragioni non ha mai voluto leggerlo davvero. Né “Le Illusioni perdute” né “Il Rosso e il Nero”, né “Le Affinità Elettive” né il “Wilhelm Meister”, che pure son tutti capolavori immensi, ci mancherebbe, gli stanno alla pari. Solo “Moby Dick” ci metterei (però vent’anni dopo).
    Detto questo, concordo con la signora Lipperini sul fatto che sarebbe una bella cosa se il percorso di uno studente fosse scelto in maniera autonoma. Ma poi bisogna prevedere anche il rischio, non dico di Alan Moore e Will Eisner, che già andrebbe benone, quanto di un programma d’esame incentrato sui Gormiti e su Moccia.
    All’università la gente propone tesi su Tiziano Terzani…

  16. Luigi, parole sante! Io sono perfettamente d’accordo. Negli anni in cui Manzoni scrive “I promessi sposi” (gli anni ’20 dell’Ottocento), nessun altro in Europa sta scrivendo un’opera che abbia un’altrettale (!) portata cosmica. Nel seguire del XIX° secolo sì, ma tra le opere precedenti o pienamente *coeve* a quella di Manzoni, non ce n’è nessuna che regga il confronto. Quella che ci va più vicino è “Il rosso e il nero”. Certo, sconta il fatto di essere scritto in una “lingua minore” (che però è anche un vantaggio, e non starò a citare Deleuze etc.), mentre Stendhal e Goethe scrivono in lingue “universali” e hanno più gittata e più influenza (come avrà più influenza il “Frankenstein” della Shelley, 1818), ma quel che dici è vero. E che la scuola ci faccia odiare un libro come quello, sminuzzandone e isterilendone la lettura nonché dandone un’interpretazione piatta e ancora screziata di bigottismi, è un crimine. Ma *tutto* Manzoni è bistrattato a quel modo: “Il Cinque Maggio” è una delle poesie più potenti mai scritte, ha un respiro planetario e te la fanno sembrare una cantilena del cazzo, e non ti fanno capire cosa dice. Un sacco di gente (l’ho constatato personalmente) ricorda male il primo verso e dice: “Ei fu siccome immobile”, senza il punto, e pensa che significhi “Egli rimase come immobile”!
    A scuola non ti insegnano a leggere la poesia senza rimanere impigliato nel ritmo, non lo capisci che il senso della prima strofa: “Egli morì. Come il suo corpo, dopo l’ultimo respiro etc. etc., così rimase il pianeta, impietrito e sconvolto, all’arrivo della notizia.” Il pianeta, l’intero pianeta è il soggetto. E’ il pianeta che è immobile “siccome” il cadavere di Napoleone. “…percossa, attonita la terra al nunzio sta”. E Manzoni prosegue adottando il *punto di vista* del pianeta, o della sua “faccia” (la faccia della terra): è la terra stessa che pensa all’ultimo ora dell’ex-imperatore e si chiede quanto passerà prima che un simile piede torni a calpestarla. Calpestarla. A pensare non è “il mondo” nel senso francese, cioè “la gente”, no, è proprio letteralmente la terra, quella che calpestiamo, quella a cui rimaniamo attaccati grazie alla forza di gravità, a pensare e immaginare. Deriva da ciò la forza, la potenza dei primi dieci versi della poesia.

  17. Io da maestro elementare maschio do pienamente, assolutamente ragione a Loredana: nella scuola c’è bisogno di competenza. (Salto a piè pari tutte le menate motivazional/vocazionali: se sei adeguatamente retribuito, invece che essere appena sfamato come uno schiavo, la motivazione e la vocazione ti vengono eccome!). Il problema, lo dico e ridico sempre, è che insegnare vuol dire INSIGNIRE. Mi dovete spiegare di quale inchiostro deve imprimere i ragazzi una maestra la quale E’ poco già di suo. Una mestra che non legge, non va a teatro, né al cinema, né viaggia. Una maestra che sa tutto, viceversa, delle stelline televisive e delle marche di borse che non si potrà mai permettere. Questo, signori, non è sarcasmo d’accatto, cronachetta di colore. Questa è la realtà del 90% delle maestre italiane. Orbene, io magari sarò a 40 anni un catorcio dell’altro secolo, io credo che solo UN elemento faccia crescere gli insegnanti come persone e, ex adversu, i loro alunni: la cultura. Invece di infagottare i programmi e le attività con tutta questa paccottiglia di laboratori e corsi e e balli pomeridiani: mandate le maestre a sentire conferenze su Wittengstein, concerti di Philp Glass, a vedere mostre di Hopper. Fate loro leggere scaffali di letteratura. Oppure mandatele tutte via e prendete le ragazze giovani e laureate che dimostrino serie intenzioni, come scriveva Frabboni nei manuali per il concorso magistrale, di proporsi come “operatrici culturali” in formazione continua. Oh, le vedrete le maestre, quando si sentiranno invitate a sentir parlare di “Umorismo ebraico niuiorchese”. “E che c’entra tutto questo con l’insegnamento? Noi abbiamo biosgno di gente che ci spieghi il METODO”, vi risponderanno (oltre che maestro, son figlio di maestri fino al bisnonno, e ho zii zie cugini tutti ma proprio tutti nella scuola). Salvo poi, quando le inviti a parlar, metti, di metacognizione, a defilarsi al grido di “Non sono tenuta, è offensivo”. Invece l’umorismo ebraico c’entra eccome, con l’imprimere! C’entra tutto. L’ontologia si coltiva.
    Quanto ai testi, è un falso problema. Io insegno inglese e il libro lo uso giusto quando non c’ho voglia di lavorare. Insomma è uno dei tanti sussidi di cui mi servo. Alle superiori, però, abolirei proprio il concetto di Antologia, come è inel resto dei paesi europei. Conosco laureate in lettere che dei classici hanno letto solo i brani antologizzati per gli esami. E la stessa sbobba propongono agli studenti per decenni.
    Ok. Torno a lavorare.

  18. Che bello sapere di non essere solo in questa battaglia di retroguardia… grazie WM1!
    Tutti quelli che oggi trovano insostenibile l’orrore di Guantanamo e Abu Ghraib, e insieme fremono davanti allo scandalo dei servi che li giustificano o li dissimulano, tali orrori, politici o giornalisti che siano, dovrebbero andarsi a leggere la “Storia della Colonna Infame”. Lì il paradigma c’è tutto, e chiarissimo. Il paradigma di un potere senza scrupoli che gestisce i casi spinosi ricorrendo a poveri cristi messi in mezzo e costretti a confessare colpe non commesse con la tortura o con l’inganno, e della pigrizia mentale degli “intellettuali” che ripetono senza porsi domande la vulgata comoda a quello stesso potere.

  19. Per WM1: da tuo estimatore, mi dispiace notare che generalizzi: che io sappia – sono insegnante di materie letterarie – la maggior parte dei docenti italiani spiega “Il cinque maggio” come Manzoni comanda…
    Per Davide: quello che affermi è vero per molti casi; per quanto mi riguarda potrei fare tranquillamente a meno dei libri di testo e lavorare utilizzando la Rete. Ricordo a tutti, però, che l’adozione dei libri di testo non spetta, per legge, all’insegnante, bensì al Consiglio di classe (compresa la componente genitori e alunni) e, in seconda battuta, al Collegio dei docenti (cioè a tutti i docenti di una scuola).

  20. E chi mette in dubbio che ci siano bravi insegnanti? Anch’io a scuola ho avuto fortuna, però negli anni ho raccolto aneddoti su insegnanti di italiano totalmente ignavi, comunque non credo che il problema sia quel che si dice sul momento, a lezione, quando si legge e commenta una poesia: il problema è insegnare ad amarla e quindi *ricordarla nel modo giusto*, e poi desiderare di leggerne altre. Il fatto che la stragrande maggioranza degli italiani non legga niente di niente significa che questo amore non ce l’hanno, ergo che non lo hanno appreso, e i luoghi dove in teoria dovevano apprenderlo non sono così tanti da poter nascondersi dietro un dito: la scuola, la famiglia… Così, per celia, ho fatto diverse volte la prova del primo verso del Cinque Maggio, e garantisco: “Ei fu siccome immobile”. Così come lo hai detto? Sì, sì, me lo ricordo, è così. E che significa? “Che… lui rimase immobile?” Ed erano persone che leggono, mica analfabeti, solo che associano Manzoni alla noia profonda che provarono a scuola, non lo amano, non lo hanno ancora riscoperto. E per favore, non dirmi che non è così, perché a scuola Manzoni è *il più delle volte* una rottura di palle, le testimonianze si raccolgono a milionate.

  21. Livio dice: “Conosco laureate in lettere che dei classici hanno letto solo i brani antologizzati per gli esami. E la stessa sbobba propongono agli studenti per decenni.”
    Ecco, sono proprio le ignave / gli ignavi di cui parlavo sopra. Ne ho sentite, di storiacce con protagonista questa sotto-categoria… Ce n’è a frotte nella scuola, ce n’è eccome.
    E’ giusto dire che è colpa del sistema, dei programmi, di pesantezze burocratiche ereditate, delle scarse retribuzioni, della schizofrenia di “riforme” che si susseguono e si accavallano, tutto questo è verissimo. Ma una volta concordato tra noi che è verissimo, vogliamo dircelo, senza assurde titubanze, che c’è *anche* un problema di competenza, che c’è un problema di accomodarsi nel tran tran più avvilente, che c’è scarso amore per la cultura? Gli insegnanti che leggono questo blog non ce li hanno mai avuti dei colleghi bigi e noiosi?
    Ribadisco: non parlo della mia esperienza. Io ho avuto un maestro elementare di cui ricordo ancora le lezioni, un maestro che – morto anni fa – mi tiene ancora compagnia con le sue espressioni, i sorrisi, le storielle, le idiosincrasie. Le medie sono state una parentesi un po’ così, ma poi al liceo ho avuto insegnanti di eccellenza, soprattutto quello di greco, tanto che i docenti che ho trovato all’università non reggevano il confronto (ero abituato troppo bene!), e nel giro di pochi mesi ho deciso di dare tutti gli esami da non frequentante. Se mi capita di dire queste cose, capita che l’interlocutore di turno mi dica: “Beato te!” e attacchi un rosario di aneddoti su insegnanti di sconcertante mediocrità e grigiore.

  22. Cito Wu Ming1: “E che la scuola ci faccia odiare un libro come quello, sminuzzandone e isterilendone la lettura nonché dandone un’interpretazione piatta e ancora screziata di bigottismi, è un crimine”.
    Sì, questo è un crimine. Quando càpita, è un crimine. E càpita ancora.
    Però vorrei dire che, forse, sempre meno è così, e spero non sia illusione: anche nella scuola, infatti, si sono fatte strada le interpretazioni di Raimondi, ad esempio, la sua lettura problematica e tutt’altro che rasserenante del romanzo “senza idillio”.
    Così come, ad esempio, si ricorre anche a Calvino, di modo che il romanzo – una volta definito e tramandato acriticamente come il “romanzo della Provvidenza” – oggi è presentato come l’opera in cui a parlare di Provvidenza sono solo certi personaggi, mica il narratore: e sono variazioni significative di focalizzazioni adottate, che riflettono punti di vista diversi sul mondo.
    Tornando alla grandezza dell’opera maggiore manzoniana: straordinaria. E drammaticamente attuale, sotto aspetti importanti, come quello – per citarne uno – relativo all’uso distorto del linguaggio, alla voluta mistificazione della realtà operata da chi violenta il linguaggio e lo piega a significare altro, a deviazioni colpevoli. Si pensi al termine “galantuomo”: nel romanzo a definirsi tali sono i peggiori cialtroni; e Ferrer, da parte sua, utilizza il linguaggio per ingannare la folla. In un mondo rovesciato, anche il linguaggio è tale: le parole piegate a significare altro, ad uso e consumo dei potenti, a danno dei più deboli. Ciò ricorda qualche potente a noi contemporaneo? Sì, ricorda qualcuno, in questo paese, qualcuno che sta violentando il linguaggio, certe parole, di cui si è impossessato e che ha reso vessillo per sé e i suoi sodali.
    E un fra Cristoforo che, solo contro tutti, osa ribellarsi al signorotto del luogo, ed è per questo trasferito altrove, ricorda qualcosa? E quel dialogo, mirabile, tra il politicone conte Zio e il Padre Provinciale, quel dialogo che comporterà per fra Cristoforo l’allontanamento detto, deciso nelle alte sfere, ricorda qualcosa?
    E’ un romanzo di una ricchezza tale di temi e di una complessità tale, che diverse riletture non ne esauriscono il significato, come accade alle opere più grandi.
    Piuttosto, il capolavoro manzoniano è troppo complesso per potere adeguatamente essere proposto a lettori di sedici anni: questo il limite maggiore, oggi, di fronte ad alunni che hanno sempre più spesso difficoltà di lettura e di comprensione corretta di un testo, per i quali è sempre più difficile l’intelligente operazione preliminare della parafrasi.

  23. E la beffarda cronistoria delle gride contro i bravi non contiene già la critica a tutte le emergenze-sicurezza, gli allarmi-sicurezza che portano all’approvazione di pacchetti-sicurezza etc. etc.?
    Il tuo commento mi intriga molto, perché descrivi due tendenze, una delle quali sembra inseguire disperatamente l’altra:
    da un lato il “sempre meno è così”, cioè c’è sempre più consapevolezza di dover insegnare la complessità del romanzo, far amare questa complessità;
    dall’altra c’è quel “hanno sempre più spesso difficoltà di lettura”, cioè per gli studenti è sempre più arduo muoversi verso quella complessità, e addirittura trovano difficoltà a fare la parafrasi.
    Però molti di questi studenti – come abbiamo provato a far notare in passato tanto noi quanto Loredana e altri – fuori dalla scuola e dalle ore di studio si calano in universi pop la cui complessità mozza il fiato. Per cui il problema non è di limiti cognitivi. Il problema, forse, è di codici. Bisogna trovare i codici giusti, gettare ponti tra la complessità dei loro passatempi e la complessità delle opere letterarie, e poi riuscire a farglieli passare, quei ponti.
    Ci sono molti ragazzi che scrivono fan fiction coi personaggi dei manga e delle serie televisive. Perché – la butto lì – non chiedere loro di ibridare il mondo dei Promessi sposi coi mondi che loro frequentano e modificano? Un personaggio di “Heroes” che aiuta Renzo Tramaglino. Nel mezzo dell’isola di “Lost” qualcuno trova… il convento della Monaca di Monza, o il lazzaretto. Chiaramente dovrebbe esserci “continuity”, coerenza narrativa e psicologica, quindi i ragazzi il romanzo dovrebbe leggerselo per forza.
    Oppure, perché non aprire un blog o un profilo di MySpace per ogni personaggio dei “Promessi sposi”, assegnare ciascuno di questi profili a uno studente e, giocando un role play fatto di amicizie, link, chat ma non per questo “filologicamente scorretto” (perché le reti di rapporti tra i personaggi verrebbero presi dal romanzo), tentare di ricostruire la complessità – anche filosofica – dell’opera manzoniana?
    Prendile come vengono, le sto buttando lì, so che qualche purista inorridirà, ma alle elementari e alle medie, a volte, non ci facevano vedere i film storici? Non c’era il dibattito sull’insegnare con l’ausilio degli “audiovisivi”? Ogni epoca usa i mezzi che ha a disposizione e, come cavalli di troia pedagogici, i linguaggi che i ragazzi conoscono meglio e sanno usare.

  24. Roberto, continua così e Cristiano Malavasi si costituisce per tornare a leggere solo Manzoni 🙂
    Una leggera correzione: Manzoni non si limitava a scrivere in una lingua minore: la traghettava verso la lingua maggiore, metamorfosandola. Un po’ come se Kafka avesse scritto nella lingua in cui Lutero, dopo di lui, avrebbe tradotto la Vulgata. Poi siamo, credo, tutti per Leopardi sull’idea di lingua che avrebbe dovuto prevalere: ma il lavoro fatto dal don Lisander stesura dopo stesura (ad esempio sulle preposizioni, o l’uso degli articoli), che io ho la fortuna di leggere in un’edizione d’epoca con le varianti interlineari (non sperare che la metta in vendita su eBay), è semplicemente commovente

  25. D’accord. Eppure secondo me anche la lingua di approdo di Manzoni è una lingua minore, non soltanto quella di partenza. E’ una sintesi precaria, e il fatto che sia la lingua nazionale di uno stato-nazione che ancora non esiste la rende ancora libera. Diciamo che è in attesa di diventare maggiore.
    Ma attenzione: l’italiano è a sua volta una lingua minore, proprio perché la sintesi è recente, conserva più substrati, eccezioni, sinonimi, sfumature, irregolarità, varianti locali, sporcature e “balbettii” di qualunque altra lingua nazionale europea, romanza e non. E’ una lingua che si contesta da sola, vibra e cambia di continuo, si deteriora e rigenera, le parole cambiano significato in tempi rapidi (es. il verbo “crollare” entra nel ventesimo secolo con un senso e ne esce con un altro, radicalmente diverso), e questa lingua perennemente bastarda “corrompe” l’inglese inventando nuovi usi per le sue parole etc.

  26. Buongiorno! Ma si è creato un dibattito ficherrimo!
    Beh, quando capitano questi episodi tipo questo qui del povero figlio battagliero di Loredana di solito penso a scuola magistra vitae e mi consolo col ruolo pedagogico della sòla. Figliuolo così va il mondo. Eh beh.
    Sono contenta di leggere di un maestro colto e motivato – risolleva il cuore, però non credo di essere d’accordo completamente con lui(specie parlando di scuole elementari). Sono assolutamente d’accordo sul fatto che occorre fornire agli insegnanti tutti – altra retribuzione e altro riconoscimento sociale, ma che queste cose garantiscano un modo di lavorare appassionato e utile non ci giurerei – come dimostra lo sguardo e la malagrazia di molti primari e medici rinomati che qualcuno potrebbe aver incontrato.
    Nè sono d’accordo sulla priorità di un raffinato studio intellettuale per i maestri e gli educatori, e un eccessivo sbilanciamento in tal senso. Con tutto il mio viscerale affetto per le questioni citate dal maestro – Popper e l’umorismo ebraico – so bene che altri da me non solo campano allegramente senza, ma anche eticamente senza. Ci sono altre cose che forse è ben più importante saper gestire, e saper far funzionare nel rapporto con degli allievi più piccoli, e (so che qui sparo a casaccio, e veramente mi prendo il diritto della congettura, per cui se il maestro volesse controargomentare mi taccio) – io ci ho visto un filo di sessismo coniugato a snobbismo intellettuale, in questo parlar male delle maestrine che magari non sanno niente di Popper, ma sanno di qualcos’altro che nel mestiere potrebbe essere ben più utile.
    Forse sulle scuole medie e medie superiori le cose dette da Livio Romano sono – almeno per me – più condivisibili.

  27. Vi propongo un “suggerimento ministeriale” contenuto nell’ultima circolare – perfettamente in linea con le precedenti- che mi pervenne alcuni anni fa, nel mio ultimo anno d’insegnamento a Milano.
    Le valutazioni dovrebbero essere “programmate e realizzate in modo efficace ed efficiente, ma nel contempo esaustivo, alternando prove strutturate a prove semi-strutturate. Per le prime, nelle quali sono previste anche le risposte, e allo studente viene richiesto di individuare quella corretta, si consiglia, al momento della valutazione, per ridurre la casualità delle risposte, di rettificare il punteggio conseguito a seguito delle risposte esatte, togliendo per ogni risposta errata la frazione di punto 1/n dove n è il numero delle alternative tra le quali lo studente deve scegliere (2 nel quesito vero/falso;4 nei quesiti a risposta multipla
    se le risposta tra cui sceglie sono 4; 5 nelle correlazioni dove si chiede d correlare le risposta a 5 premesse…)
    Era il periodo in cui furoreggiavano i test ( metodo valido di valutazione, ma certamente non esaustivo) e a noi insegnanti venivano imposte interminabili riunioni e assurdi corsi tenuti da “esperti”, spesso totalmente impreparati ma lautamente pagati. Altro che andare a teatro o a vedere una mostra o sentire una conferenza…
    Il tutto in barba all’esiguità dell’orario di lavoro che, a parità di stipendio,
    raddoppiava, costingendomi, ricordo ancora, a levatacce alle cinque del mattino per correggere i compiti o preparare le lezioni. Falilulela

  28. Caro/a Zeuberei, certo che c’era un filo di snobismo misto a sessismo, ma era all’interno di un discorso paradossale. Quello che volevo rimarcare è che occorr che gli insegnati non si RIMBAMBINISCANO (rischio che chiunque faccia questa professione corre e conosce), che crescano come persone per aspettarsi che, di conseguenza, lascino un segno negli scolari. Lo ribadisco. Mio padre era un maestro e sindacalista. Da casa mia son passate centinaia di maestre. Conosco bene la materia umna di cui parlo. Tranne qualche mosca bianca, gente che non compra mai un quotidiano, che non entra mai in libreria, che viceversa segue con passione Amici e il resto del trash. Questa è la fauna che dovrebbe INSIGNIRE. Lo so che non è semplicemente aumentando loro lo stipendio che le cose cambino. Però ecco, io quando sento ogni tanto dire che un esercito di docenti di quasi un milione di persone è troppo: ebben do loro ragione. Li si sposti in altri rami della P.A. ne sarebbero felicissimi, sentite me. Gli altri li si mandi, dicevo, per concerti e mostre e conferenze. Continuo a ribadire: i corsi sulla didattica spicciola e sulla psicologia davvero servono poco, ché uno un suo metodo lo apprende sulla sua pelle, lo adotta, prima o poi sbagliando tante volte -se non è proprio negato per i rapporti umani- impara a gestire le dinamiche del gruppo classe. Ma è la passione che non si impara. Insomma, tanto per fare un esempio piccolo piccolo. Mia figlia in terza elementare ha un’insegnante laureata in lettere con una vera venerazione per Leopardi. Voi pensate che Leopardi non possa esser offerto anche a degli 8enni? No no no. Si può offrire tutto a tutti se scegli il modo giusto. Questo “modo” te lo possono insegnare, ma la voglia di proporre Leopardi, o chiunque altro, quella no, quella si apprende solo se si capisce una volta per tutte che l’insegnante fa cultura. Se si smette con la mistificazione della maestra-educatrice. Si educa mostrandosi, offrendo la propria personalità ad esempio. E, insomma, osservare personalità di donne vestite da leopardo che inorridiscono alle parole “rom” o “Bob Dylan” o “cinema d’animazione russo” (cito tre esempi che ho vissuto io stesso nell’ultimo mese): be’, non è esattamente incoraggiante.
    Ah senti, dicevo Hopper, il pittore, non Popper -il qual pure ha scritto cose condivisibili 😉
    Buona giornata.

  29. Sono molto contento del filone manzoniano dei comment; non mi contate fra i detrattori del romanzo, ma neppure tra i suoi fan. La posizione con cui mi trovo più d’accordo è quella di Anita: a 16 anni non è il romanzo che ti chiama. E imporlo equivale a ucciderlo.
    Tuttavia, voi sottolineate giustamente la grandezza dei meriti linguistici e socio/psicologici; ma la grandezza di questi lo trasformano più in una mirabile tassonomia che in un percorso romanzesco. La cosa che più mi manda in bestia nei PS è la sfiducia costante costante costante nell’azione. E il paternalismo, che non saprei se definire rassegnato o militante. E Lucia Mondella, la personaggia più noiosa mai creata.
    Immaginiamo una parodia di SW in stile manzoniano: Darth Vader cattura Leila, che anziché resistere eroicamente alla tortura, frigna. Vader grida “figghia mia!”, si ricorda che lui è/era Anakin, piglia un caccia TIE, se ne va in eremitaggio su Dagobah a finire i suoi giorni a discutere con Yoda, mentre un virus (emergente dall’intelligenza artificiale del centro di calcolo) distrugge di sua volontà la Morte Nera e l’imperatore cade prosciugato dai suoi stessi “force lightning” mentre in preda all’ira stermina il suo stato maggiore. Obi Wan si dispera fermo a Mos Eisly perché non può accettare di ricorrere ai favori di un immorale mercenario per lasciare Tatooine, e scuote la testa mormorando “Verrà un giorno”. Potete fare di meglio, ne sono sicuro. Potete raccontarmi di come Luke accantona le sue aspirazioni e diventa un coltivatore che seppellisce amorevolmente zia Beru e zio Owen uccisi dai Sabbipodi, o dai Tusken, mentre D3BO ripetendo detti imperiali incoraggia tutti a sopportare il leggero giogo dell’imperatore…

  30. In un articolo di una ventina d’anni fa almeno, ma temo sempre attuale, Fruttero & Lucentini lamentavano il fatto che la scuola italiana non prendesse minimamente in considerazione l’idea della parodia come strumento per lo studio della letteratura, nel senso che, se devi scrivere, che so, la descrizione del tuo compagno di banco “alla maniera del Manzoni” devi comunque fare uno sforzo per capire gli elementi di uno stile abbastanza bene da sapere come cercare di riprodurli. Un modo attivo di apprendere, che si avvicini al testo e all’autore non come Monumenti da ammirare ma come elementi vivi con cui dialogare.
    (anche perché poi, spesso, la parodia sui classici che si studiano già si fa, sottobanco. Nella mia classe, al secondo anno di superiori, a un certo punto ci rendemmo conto che la trama dei Promessi Sposi era più o meno la stessa della prima serie di Kenshiro: Renzo/Ken vuole sposare Lucia/Julia ma si mette in mezzo Don Rodrigo/Shin. Seguono lunghe peripezie in una terra impoverita e dominata da buzzurri violenti e dai loro sgherri ^___^)

  31. Vado un po’ di fretta.
    Qualche anno fa, se non ricordo male, un’indagine statistica credo attendibile rivelò che “I promessi sposi” erano il libro più odiato in assoluto, considerato palloso etc. Questo conferma alcune riflessioni fatte sulla scuola, sulla lettura etc.
    Ancora efficace appare quindi una notissima riflessione di Pennac: “Il verbo leggere non ammette l’imperativo”, una cosa del genere.
    Per quanto mi riguarda, relativamente al piacere della lettura ho ottenuto buoni risultati con un’attività molto semplice: faccio leggere un libro (“agile” e/o legato ad interessi dei ragazzi) con tempistiche “non prescrittive”, senza esercizi, analisi dei personaggi, divisione in sequenze e cose del genere; poi faccio incontrare i ragazzi con l’autore (al massimo un paio di classi, per evitare l'”effetto-evento”, tipo classi portate con la forza a teatro, per capirci…).
    Non va dimenticato però che, come si sa, ci sono tantissimi altri fattori che incidono: famiglia, amicizie, disponibilità di libri in casa, predisposizioni, interessi, tempeste ormonali, spettri di scamarci e di pornostar che aleggiano nelle aule… 🙂
    Infatti, conosco ragazzi che sono lettori forti nonostante abbiano insegnanti con un approccio più “tradizionale”, “normativo”.

  32. Una classe docente sottopagata, demotivata, non rispettata dalla pubblica opinione, femminilizzata ( e non solo perchè formata da insegnanti donne, ma perchè spesso gestita con criteri materni e non professionali).
    Una scuola alienata da una società con la quale ha poco o nulla in comune, fatiscente ( e non solo nelle stutture ), oggetto di riforme velleitarie se non demenziali, dispensatrice di titoli di studio che non garantiscono più nulla, noiosa, incapace di trasmettere cultura, di sviluppare il senso critico, deficitaria sotto il profilo educativo e…..
    Accanto a questa scuola, come luogo di formazione privilegiata dei giovani, la famiglia, monca di padri divorziati o impegnati nella carriera, madri sopraffatte dal lavoro o depresse dalla casalinghitudine se non dalla disoccupazione…
    Ma un progetto globale sui giovani chi lo ha proposto?
    Quale partito?
    Non interventi a spizzico, qua e là …
    O, forse, ben vengano anche questi per arginare il disastro?
    Falilulela

  33. Rispondo all’intervento di Wu Ming 1:
    “E la beffarda cronistoria delle gride contro i bravi non contiene già la critica a tutte le emergenze-sicurezza, gli allarmi-sicurezza che portano all’approvazione di pacchetti-sicurezza etc. etc.?
    Il tuo commento mi intriga molto, perché descrivi due tendenze, una delle quali sembra inseguire disperatamente l’altra:
    da un lato il “sempre meno è così”, cioè c’è sempre più consapevolezza di dover insegnare la complessità del romanzo, far amare questa complessità;
    dall’altra c’è quel “hanno sempre più spesso difficoltà di lettura”, cioè per gli studenti è sempre più arduo muoversi verso quella complessità, e addirittura trovano difficoltà a fare la parafrasi.
    Però molti di questi studenti – come abbiamo provato a far notare in passato tanto noi quanto Loredana e altri – fuori dalla scuola e dalle ore di studio si calano in universi pop la cui complessità mozza il fiato. Per cui il problema non è di limiti cognitivi. Il problema, forse, è di codici. Bisogna trovare i codici giusti, gettare ponti tra la complessità dei loro passatempi e la complessità delle opere letterarie, e poi riuscire a farglieli passare, quei ponti.
    Ci sono molti ragazzi che scrivono fan fiction coi personaggi dei manga e delle serie televisive. Perché – la butto lì – non chiedere loro di ibridare il mondo dei Promessi sposi coi mondi che loro frequentano e modificano? Un personaggio di “Heroes” che aiuta Renzo Tramaglino. Nel mezzo dell’isola di “Lost” qualcuno trova… il convento della Monaca di Monza, o il lazzaretto. Chiaramente dovrebbe esserci “continuity”, coerenza narrativa e psicologica, quindi i ragazzi il romanzo dovrebbe leggerselo per forza.
    Oppure, perché non aprire un blog o un profilo di MySpace per ogni personaggio dei “Promessi sposi”, assegnare ciascuno di questi profili a uno studente e, giocando un role play fatto di amicizie, link, chat ma non per questo “filologicamente scorretto” (perché le reti di rapporti tra i personaggi verrebbero presi dal romanzo), tentare di ricostruire la complessità – anche filosofica – dell’opera manzoniana?
    Prendile come vengono, le sto buttando lì, so che qualche purista inorridirà, ma alle elementari e alle medie, a volte, non ci facevano vedere i film storici? Non c’era il dibattito sull’insegnare con l’ausilio degli “audiovisivi”? Ogni epoca usa i mezzi che ha a disposizione e, come cavalli di troia pedagogici, i linguaggi che i ragazzi conoscono meglio e sanno usare”.
    Sì, addirittura trovano difficoltà nel parafrasare un testo, nell’operazione preliminare e necessaria di comprensione del solo significato denotativo del testo. E’ un problema di codici, certo, che diventa però anche cognitivo nel momento in cui si deve operare con la scrittura alfabetica. La questione è di una complessità tale da richiedere un trattato – mentre necessariamente ora semplifico – però l’insieme di cause che portano alle difficoltà di lettura e comprensione dello scritto sono piuttosto chiare: questi sono ragazzi che hanno cominciato ad assorbire come spugne immagini e suoni ben prima di imparare a leggere e scrivere. Abituati alla simultaneità e alla velocità, alla visione d’insieme, ma sempre meno educati poi alla strutturazione logico-lineare di questo insieme. Alle elementari (insegno alle superiori e riferisco quanto mi dicono colleghi, dei cui resoconti comunque trovo poi conferma nella preparazione con cui arrivano i ragazzi alla scuola superiore) impazza una didattica che inneggia alla libera creatività e sacrifica, in nome di ciò, ogni “barboso” insegnamento di analisi grammaticale e logica della frase; alle medie la sintassi del periodo si insegna sempre meno. E molti ragazzi leggono poco. Non dico tutti, ma molti (e il mio è comunque un osservatorio privilegiato: insegno in una scuola in cui ancora c’è voglia di imparare e fare, nel complesso, ma la realtà complessiva è peggiore). Risultato: scarso lessico, scarsa capacità di strutturare un pensiero elementare e quindi di formulare pensieri semplici. Sintassi, quando corretta, pressoché solo paratattica. Mancano le parole, mancano le strutture linguistiche per cominciare a differenziare in modo semplice un prima da un poi, una causa da un suo effetto, un “quindi” da un “infatti”. E non è semplice andare alla rincorsa e cercare di fornire tutto quel che dovrebbe essere già nel corredo linguistico di un ragazzo di 16 anni e che invece ancora manca, anche perché più che mai la capacità di scrittura e di lettura crescono e maturano insieme agli anni. Insomma il codice alfabetico è sempre più spesso poco frequentato, di conseguenza sempre più spesso ostico.
    Nel mio caso comunque mi considero privilegiata: non mi posso lamentare delle mie classi, nel complesso (anche se rispetto a soli pochi anni fa le difficoltà di cui si sta parlando sono cresciute con evidenza). Il problema, fino ad ora, per me, non è stato quello di riuscire ad appassionare i ragazzi al romanzo: il romanzo piace, anche “solo” leggendolo! Se poi legge l’insegnante, nell’aula si crea un silenzio totale: e li vedi, lì, affascinati dal contenuto e dall’oralità, e magari mica seguono con gli occhi e la mente le parole sulla carta, mica vanno dietro a quei segni tutti in fila, che ti costringono a seguire un ordine e a mettere in sequenza ordinata e logica gli avvenimenti, che non ti lasciano vedere tutto, subito, simultaneamente, e che costano tanta, troppa fatica. Il problema è invece proprio quello di fare affrontare loro una lettura tanto impegnativa e tanto complessa, quando arrivano sguarniti dell’occorrente per decodificare pienamente un testo alfabetico più semplice.
    Perché il punto è quello, e tu stesso lo dici, quando scrivi “quindi i ragazzi il romanzo dovrebbero leggerlo per forza”. La lettura: ci risiamo, si ricasca inevitabilmente lì.
    Quanto agli audiovisivi e ad altri sussidi didattici, oh, mai come nei nostri tempi mi sembra se ne pratichi l’apoteosi. Film su film. Immagini su immagini, anche a scuola, come fuori. Ma il problema della scrittura e della lettura resta.
    Perché, vedi, poi io non posso fare a meno di pensare che, fuori dalla scuola, ad esempio, i testi di legge ancora si scrivono e si devono leggere, se li vogliamo conoscere e capire. Se vogliamo capire le strategie degli scritti altrui o dei loro discorsi, anche pronunciati, è ancora il vecchio codice alfabetico che dobbiamo utilizzare, quello che ci costringe a seguire i prima e i poi, a mettere insieme e strutturare i significati, a capirne le relazioni e le implicazioni, che ti costringe alla logica, insomma. Ma è una forma di sapere che stiamo perdendo, per citare Simone. Siamo indubbiamente in una fase di mutazione antropologica, e non è facile capire cosa stia davvero succedendo, perché ci siamo dentro. Ora come ora, non si vede quale altro codice possa sostituirsi a pieno titolo a quello alfabetico e logico-sequenziale, che certo oggi deve essere accompagnato dagli altri visivi e sonori, ma la cui messa a rischio non riesco a non vedere come drammatica, in una società in cui ancora chi detiene il potere cerca di tenere sotto stretto controllo la scrittura alfabetica. Non posso fare a meno di pensare che, fuori dalle aule, un giorno, questi ragazzi, o troppi di essi, forse non avranno strumenti linguistici sufficienti per dare forma e struttura a un pensiero complesso, per affrontare il pensiero complesso altrui. Linguaggio e pensiero, si sa… E allora, si cerca di fornire loro, comunque, ancora, insistendo, quegli strumenti che possano diventare per loro strumenti “di difesa” e anche di legittimo attacco, perché no?. E si parte dal linguaggio, dal lessico, dalla capacità di ordine logico, di interpretare i testi, dunque. Che non saranno poi solo quelli scritti, ma la cui padronanza significherà possesso di una serie di capacità che l’esercizio di lettura e scrittura alfabetiche formeranno in loro.
    Quindi, conoscere sì i linguaggi che per i ragazzi sono i più familiari, ma “resistere resistere resistere” nel pretendere che imparino a leggere, scrivere, che amplino il vocabolario personale: più parole conosceranno, meglio penseranno e meglio capiranno e “smaschereranno” il pensiero altrui.
    Il discorso, come si sa, è enorme, ed è finito lontano dal post d’apertura della Lipperini…

  34. Io invece, a commento di quanto scritto da Anita, ecco: non posso scordarmi di quel corso di aggiornamento in cui si sarebbero dovute apprendere le strategie per avviare i ragazzini a leggere e la quasi totalità delle maestre non aveva mai letto Il piccolo principe, ignorava chi fosse Rohal Dall, di Rodari aveva leggiucchiato qualche brano sui libri di lettura ma mai veri libri per intero. Alla fine la docente chiese: ma VOI, cosa leggete? Imbarazzo. Venne fuori che NON leggono. Le insignitrici.

  35. Anita, aggiungo un breve lato B: non si tratta solo di sviluppare capacità cognitive! Leggendo (e scrivendo, e discutendo, e domandando…), ragazze e ragazzi sviluppano e consolidano anche la sfera emotiva e relazionale. L’apporto dei libri e dei romanzi nella formazione dell’interiorità è molto importante. Ma proprio perché ciascuna persona è unica, anziché partire dal Capolavoro Universale, bisogna partire dal libro giusto per “prendere” il lettore.
    Parentesi lunga sui PS. I romanzi sono prodotti di culture particolari, e in essi solo “nuclei” di verità possono essere davvero universali. Per ‘entrare’ davvero nei Promessi Sposi devo passare per tante camere di un museo che può anche non interessarmi. Manzoni, il Romanticismo Italiano, la storia d’Italia del Seicento, la prosa fortemente strutturata, la lingua ricerca di una lingua “attuale” quasi due secoli fa… tutto questo (mio parere personale) per leggere un libro in cui sotto sotto l’idea che passa è: essere giovani è una disgrazia, non ci puoi fare niente, statti quieto e spera che ti passi senza danneggiarti troppo.
    Ferocemente vero, e soprattutto in Italia, ma non è un messaggio su cui investirei un anno scolastico per far amare la lettura ai sedicenni. Non sono i giovani a non amare Manzoni, è Manzoni che non ama la gioventù. Fine della mia polemica e della parentesi.
    In Italia manca la cultura del libro come oggetto da cui può partire il mio personale riscatto, la mia rivolta, o semplicemente la mia ricerca di me. E nessuna figura (penso al bibliotecario nel mondo anglosassone) racconta di questo potere dei libri: o lo intuisci da solo, o te lo dice una persona che ti piace e incontri per caso (maestro/a prof., amica/o, parente) nel momento giusto, oppure continuerò a pensare come Renzo T. del latinorum: i libri mi danneggiano, meglio starne alla larga. Walter Siti ci dice che ora siamo addirittura in una fase ancora più avanzata/degradata. Siamo in una fase dove chi ha imparato ad amare la cultura guarda con ammirazione a chi riesce a farne a meno — ma non mi fermo su questo.
    Manca fiducia nel libro, manca la cultura del libro ‘giusto’, mentre crediamo nei capolavori eterni. peccato. Tante belle scene di Stella del Mattino sul vincolo segreto tra libri ed “eroi” con tutte le virgolette del caso, in Italia appaiono semplicemente fuori luogo. Avete presente gli adolescenti che leggono Moccia e si giustificano davanti agli altri dicendo “Sì, a questo non è mica un libro!”? Per quanto paradossalmente trovo che abbiano ragione, so che lo dicono per i motivi sbagliati. Se non riusciamo a intervenire su questo atteggiamento, le finezze di Manzoni ce le dovremo tenere in casa, nei nostri piccoli circoli di lettori, nei rapporti intimi tra pochi ‘eletti’. Che sconfitta!

  36. anch’io sono un umile servitore dello stato come tanti insegnanti e a fine mese prendo uno stipendio appena sopra la soglia di povertà, ma le mie motivazioni nel fare bene il mio lavoro non stanno nel conteggio degli euro. stanno nei miei valori, nel mio senso del bene e del male, nel fare una mia scelta, forse sbagliata, tra ciò che penso sia giusto o sbagliato. i maestri sono in crisi perche lo siamo tutti in crisi, perchè la società è in crisi. sappiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato ma facciamo indifferentemente l’una o l’altra cosa perchè ci uniformiamo. siamo belle persone che poi fanno un lavoro di merda perchè non hanno scelta,o perchè non possono farlo bene, o perchè non hanno l’energia per farlo bene. poi ci sono quelli che sono teste di cazzo e dunque il loro lavoro è un lavoro del cazzo. manzoni va da sè , è troppo trasversale nel tempo nello spazio e nei valori che non ha troppo bisogno di essere spiegato, va fondamentalmente letto. non ho mai sopportato la descrizione di lucia come una casta verginella casa e chiesa ed è vero che spesso passava per tale ai tempi della (mia) scuola, ma non sempre. la prof delle superiori fu la prima a illuminarmi:lucia l’ho amata molto quando ho visto tra le righe una donna intelligente e fortissima che si muoveva in un mondo pericolosissimo per le donne con una perfetta strategia riuscendo ad andare esattamente dove voleva andare. i prof i promessi sposi te li spiegano come li sanno, ma se tu la sera sul comodino non ci appoggi un libro e non te lo leggi un po’ alla volta poi è chiaro che ti devi far bastare il sunto dell’antologia.

  37. Lo so, ormai è tardi e di questo post non s’accorge più nessuno, ma voglio incollare lo stesso il pezzo di Lodoli che è uscito ieri su Repubblica:
    Ma evitiamo l’effetto tartaruga
    Ma gli insegnanti italiani guadaganano poco, decisamente meno dei loro colleghie europei, come ha scoperto anche la nuova ministra Gelmini, o invece per quello che fanno incassano pure troppo denaro? Se si passano dieci minuti nell’aula insegnanti di qualsiasi scuola del paese, si sentirà alzarsi al cielo del soffitto spesso umido e screpolato un coro di geremiadi: «Educhiamo i giovani italiani, abbiamo responsabilità enormi e paghe miserabili, lo stress ci divora e i ragazzi ci disprezzano perché intuiscono al volo che la cultura non rende niente, quattro soldi da poveracci». Fuori dalla scuola, invece, i professori vengono spesso considerati quasi dei privilegiati, persone addirittura invidiabili per il tanto tempo libero a disposizione, le lunghe vacanze, la paga sicura.
    Lo stipendio si aggira tra i mille e quattrocento e i mille e ottocento euro, forse in provincia ci si può campare decentemente ma a Roma o Milano siamo sulla soglia della povertà. Il problema di fondo è il rimbalzo psicologico che lo stipendiuccio produce sugli insegnanti: si crea un effetto tartaruga, il prof avanza piano piano, circospetto, spaventato, pronto a ritirare il guscio le zampe e la testa, a proteggersi nell’immobilità.
    Un insegnante dovrebbe sentirsi partecipe della vita culturale della nazione, dovrebbe poter comprare libri e riviste letterarie e scientifiche, vedere al cinema i film di cui si discute, andare a teatro, alle mostre, ai convegni, riflettere su tutto quanto per trasmettere ai suoi allievi il senso e l’energia del tempo presente. Tutto questo – proprio per una certa indigenza di fondo – non avviene. Preoccupato di raggiungere la fine del mese, assillato dalle dalle richieste dei figli, dalle mille spese da affrontare, dalla tramontana che spira dal gramo conto in banca, a poco a poco l’insegnante rinuncia ad aggiornarsi, la sua curiosità si spegne malinconicamente, i contatti con la cultura viva si perdono.
    Pochi soldi si traducono in poco interesse per quanto di buono accade intorno a lui. La tartaruga si barrica nella pura sopravvivenza, non rischia più nulla. Così la scuola intera si impoverisce. Tanti miei colleghi si accontentano di andare avanti e indietro sui libri di testo, sulla stessa tranquilla mattonella, e il loro sapere diventa fermo e triste come una sconfitta. Quasi mai vedo tra le loro mani i romanzi o i saggi del momento, quasi mai li sento parlare delle pellicole che creano confronti e polemiche, mai di musica o delle nuove scoperte scientifiche.
    Insomma, non di solo pane vive l’uomo e il prof: se i soldi forse bastano alla pagnotta, certo non sono sufficienti a nutrire lo spirito, che quasi senza rendersene conto sfiorisce mestamente, e presto non profuma più. E così la scuola italiana sa di naftalina e di rassegnazione.

  38. Livio Romano, mi hai richiamato alla mente un altro articolo di Lodoli, pubblicato su “la Repubblica” del 4 ottobre 2002:
    ——————————————————————————————–
    “L’ottimismo, anche se temperato dal dubbio e dal buon senso, è un dovere di ogni insegnante, che deve comunicare ai suoi alunni sempre e comunque un po’ di fiducia nella vita. Dunque anche io cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, di incoraggiare ogni volontà di miglioramento e di rimarcare gli aspetti più belli dell’esistenza.
    Eppure da un po’ di tempo un pensiero atroce si è installato nella mia mente, mi tormenta, mi preseguita, e ormai sono arrivato al punto di doverlo assolutamente comunicare a chi per età, lavoro, interessi, è lontano dal mondo dei ragazzi. La cosa è questa: a me sembra che sia in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il futuro.
    Non dovete prendere questa mia affermazione in modo metaforico, e non dovete neanche pensare a una delle solite tirate contro i giovani che non hanno voglia di fare niente, che disprezzano i valori alti e la cultura. Non si tratta di denunciare un certo naturale menefreghismo e nemmeno l’inclinazione ossessiva al consumo che dimostrnao i gruppi giovanili. La mia non è la sparata moralistica di chi rimpiange i bei tempi in cui i ragazzi leggevano tanti libri e facevano tanta politica. Io sto notando qualcosa di molto più grave, e cioè che gli adolescenti non capiscono più niente.
    I processi intellettivi più semplici, un’elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il semplice resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio. Le qualità sentimentali sono rimaste intatte, i miei alunni amano, odiano, fanno amicizia, si emozionano, si indignano, arossiscono, ridono, piangono, tutto come sempre – ma le capacità logiche, mentali, paiono irreparabilmente compromesse.
    In ogni classe ormai ci sono almeno due o tre studenti che hanno bisogno dell’insegnante di sostegno: voi penserete che si tratti di ragazzi affetti da qualche handicap fisico o da qualche grave disturbo mentale, ma spesso non è così. All’inizio è persino difficile distinguerli dagli altri, perché nella classe paiono tutti ugualmente storditi, come si i cervelli avessero subito qualche lieve ammaccatura. Questi quindicenni sono sani e pressoché normali, e a me sembrano solamente l’avanguardia di un mondo diretto verso le tenebre. Semplicemente non capiscono niente, non riescono a connettere i dati più elementari, a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi. Ripeto: sono appena più inebetiti degli altri, come se li precedessero di qualche metro appena nel cammino verso il nulla.
    Loro vengono considerati ragazzi in difficoltà, ma i compagni di banco, quelli della fila davanti o dietro, stanno quasi nelle stesse condizioni. Gli insegnanti si fanno in quattro, cercano di rendere le lezioni più chiare, più dirette, si disperano e si avviliscono, ma non c’è niente da fare, le parole si perdono nel vento, sono semi che rimbalzano su una terra asciuttissima che non fiorisce mai.
    La cosa più triste è che questo deficit progressivo dell’intelligenza si nota soprattutto nei ragazzi delle classi sociali più povere. I giovani borghesi hanno in casa libri, dischi e computer, hanno genitori ambiziosi e fratelli in carriera, hanno cento stimoli in più per andare avanti decifrando in qualche modo la realtà. I giovani delle borgate sono avvolti da un’ottusità che fa male. Veramente non capiscono nemmeno chi sono e cosa stanno facendo, spesso non sanno più incollare una parola all’altra, un pensierino a un altro pensierino. Sono perduti a una demenza progressiva e spaventosa. Crescono rintronati dalla televisione, dalla pubblicità e da miti bugiardi, da una promessa di felicità a buon mercato, da mille sirene che cantano a squarciagola, e accanto a loro non c’è altro che riesca a farsi spazio. E così, poco alla volta, perdono ogni facoltà intellettiva, fino a diventare totalmente ottusi.
    Sia chiaro: il problema non è che non sappiano nulla di una guerra imminente o dell’Europa unita o di chi ha vinto l’ultimo festival del cinema a Venezia; il problema è che non riescono a ragionare su nessun argomento, perché qualcosa nella testa si è sfasciato. Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, non grido al lupo al lupo solo per creare apprensione. Sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa. Il nostro mondo è in pericolo non solo per l’inquinamento, la violenza, l’ingiustizia, il prosciugamento delle risorse prime. La nostra civiltà rischia grosso soprattutto perché la confusione sta producendo esseri disadattati, creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni di giovani infelici che strada facendo – la strada che noi adulti abbiamo disegnato – hanno perduto il pensiero. Dopo essersi spente nelle campagne, le lucciole ora si stanno spegnendo anche nelle teste”.

  39. No, ma ho letto Lodoli e inoltre non considero molto etico per un insegnante sputtanare i suoi studenti su una paginata di giornale.

  40. Per chi non insegna è difficile immaginare che stia accadendo ciò.
    A te sembra uno sputtanare gli alunni; a me un grido di dolore per quel che sta accadendo agli alunni (le parole usate da Lodoli sono drammatiche, non sarcastiche o beffarde). Tanto più che si chiama in causa, come responsabile del “genocidio”, un’intera società.
    Si potrà magari dire che i toni sono tipici dell’atteggiamento apocalittico, ma non certo di chi sputtana. Chi sputtana non si preoccupa, in modo così acceso, dei propri alunni.

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