MANHATTAN

Ma insomma: dov’è finita la discussione letteraria, qui? Mentre me lo chiedo, rimproverando me stessa di trascuratezza, sfoglio l’ultimo numero – dicembre – de L’immaginazione, rivista di letteratura che esce per Manni editori. Trovo il resoconto di un incontro tra Filippo La Porta e Liesl Schillinger, critica (militante, si precisa) della New York Times Book Review. Mentre mangiano insalata di manzo in un locale di Manhattan, parlano degli scrittori delle rispettive patrie. Secondo La Porta gli italiani sono “squisiti stilisti o furbi intrattenitori”, per cui “la moralità è un optional”. Per Schillinger gli americani “si mettono molto da parte e lasciano l’intera scena ai personaggi”. Ancora. SLP (Sostiene La Porta) che gli italiani “non intendono stringere alcun patto con il pubblico…che identificano con il mercato e le sue logiche perverse”. En passant, ricorda che alcuni “giovani scrittori” (Pincio, Evangelisti, Wu Ming) ambientano le loro storie in America. L’interlocutrice ammette di non conoscere scrittori italiani contemporanei: ha letto qualcosa di Primo Levi, Il Nome della Rosa e Il gattopardo (però le è piaciuto un racconto di Matteo Bianchi). Alla fine, Schillinger rivela che l’editoria americana non investe più sui romanzieri esordienti ma su reportage e saggi autobiografici. Tira la non-fiction, è il trionfo del personal essay. Pare.
Com’è che mi sento molto più coinvolta da questo tipo di problematiche, ultimamente? Colpa mia. Sicuro. Sicurissimo.

5 pensieri su “MANHATTAN

  1. Sempre La Porta ha esclamato, recensendo “La porta di Orione”: “Benedetti scrittori italiani, proprio non riuscite a evitare di parlare di mamme, nonne, nipoti, tinelli famigliari, o di figli unici con io dolorante e verboso? Va bene, questa è la prosaica realtà che vive ciascuno di noi. Ma non viene mai la voglia di evadere? Nel nostro paese letteratura fantastica e romanzo d’avventura hanno vita grama. Sarà per quella dispotica centralità della famiglia. Così quando capita di leggere un capitolo della saga di Valerio Evangelisti ci sembra di prendere una boccata d’aria. Evangelisti cattura il lettore – naturalmente anche con effettacci, trovate da fumetto, illusionismi, falsa e vera erudizione (1) – ma il lettore non si sente peggiore come gli accade invece con il 99 per cento della narrativa di genere. Perché qui troviamo sempre un filo di interrogazione morale che trascende la serialità del genere.1) Di norma tutti i riferimenti storici e
    letterari di Evangelisti sono autentici. (N.d.r.)”
    Visto che un filo d’interrogazione MORALE c’è? :- )

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