MEDITAZIONI DELLA SCORPIONA

E’ uno strano autunno che sembra estate. Ci pensavo ieri notte, al termine di tre giorni che definire convulsi è poco, e dove ho saltellato da InQuiete a Lucca e ritorno alla Libreria Marini con quella meraviglia di Elisa Seitzinger e le mie amate Silvia Sorana e Francesca Chiappa di Hacca, e tanti altri, per presentare “Nome non ha”, stupendomi dell’amore e dell’accoglienza generali. E’ uno strano autunno, ma ho cominciato a percepire il cambiamento da settembre, al ritorno da un’agosto quieto e ancora titubante, e prima di finire in un turbine di Festival, Saloni, incontri, treni, alberghi come se tutto fosse tornato indietro al 2019, ma con maggior frenesia.
Fame di vita, sì. Ma non riguarda solo me, ovviamente. La vedo ogni volta, l’ho vista nelle strade di Pordenone e nei corridoi del Lingotto, l’ho vista venerdì sera nella gioia rinnovata del più bel festival che conosca, InQuiete, l’ho vista nelle strade di Lucca, nei gruppi allegri di cosplayers, negli stand, l’ho vista ieri sera al Pigneto, nei sorrisi e nel calore degli amici, ma anche nelle vie dove adulti e bambini festeggiavano Halloween.
Non mi chiedo nulla, non cerco motivazioni, ci penso su da antica solitaria che ogni volta che varca la porta di casa (dalla giovinezza e forse anche da prima) sogna il momento in cui tornerà fra i suoi libri e le sue storie, e che quando è uscita non tornerebbe più, perché, specie come è avvenuto ieri sera (ma anche venerdì sera a InQuiete) percepisce attorno a sé la tessitura di una trama invisibile, che è data dall’amicizia e dagli intenti comuni e dai comuni desideri.
Forse, mi sono detta, è questo il motivo per cui le pandemie (peste a parte) sono state infine poco raccontate: perché quel che vogliamo è raccontare semmai quel momento, effettivo o illusorio, in cui torniamo a camminare per le strade, ancora storditi e fragili, ma ricominciamo ad abbracciarci. Forse.

Un pensiero su “MEDITAZIONI DELLA SCORPIONA

  1. Io la vedo in modo leggermente diverso. Quella trama invisibile e meravigliosa di cui parli (peraltro bellissima immagine) è il confine sottile che ci separa da una parte e dall’altra ci vela – come una nebbia – la waste land.
    Una sorta di anestetico, privi del quale, questa esistenza ci apparrebbe insopportabile.
    E pensare che dopo quasi due anni di uno dei periodi più sconvolgenti che la storia recente ricordi, non si sia riusciti – come specie – a trovare l’opportunità o l’occasione di ripensare, anche solo di una virgola, le nostre esistenze; ecco questo pensiero a me devasta, e sempre meno quell’ordito di storie d’amicizia e di bellezza riesce a difendermi dalla riflessione che per questa Terra, the Pale Blue Dot, siamo poco più che una metastasi.

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