Meno due. Il libro strano, Questo trenino a molla che si chiama il cuore, esce giovedì e vi propongo una pagina che nel libro non c’è: o meglio, c’era nella prima stesura, poi ho pensato che era di troppo. Siamo nella terza parte, quando si parla (anche) della Sibilla appenninica. Dunque, ci si imbatte in chi l’ha raccontata: per esempio, Joyce Lussu.
Joyce Lussu la racconta nel Libro perogno, che significa perogno seculu secloru, ovvero per omnia saecula saeculorum, nella traduzione della sibilla di Orgosolo che Lussu ha intervistato, furiosa per il silenzio in cui vennero costrette le donne, e la Sibilla, dalla protervia dei monaci inquisitori che le rendono creature del diavolo: “Madre mediterranea, vergine profetessa, corrotta maliarda. Attraverso queste manipolazioni, la cultura maschile fa rientrare le sibille nei suoi schemi che dividono le donne in tre sole categorie: madri, vergini e puttane”. E dunque, secondo Lussu, il Guerrino e i cavalieri e Tannhäuser e tutti coloro che si impegnano nella quest identificando la Sibilla con una maga, auspicano il momento in cui la grotta d’ingresso crollerà, seppellendo per sempre il regno della Signora, che per Lussu era bella e ridente come le dodici Sibille del municipio di Visso, e come tutte le donne come lei, quelle che conoscevano l’artigianato e l’agricoltura, che distinguevano le erbe benefiche e tramandavano le parole giuste per curare la malattia e l’infelicità. A Orgosolo, Lussu cerca dunque la sibilla barbaricina di cui le parla Raffaello Marchi: Elisabetta Lovico, la curandera, la tiina, la divinatrice, che sa guarire le ferite e vedere chi sta architettando una mala azione. Quando Lussu la incontra, ridente anche lei, e anche lei vestita di panni colorati come le sibille di Visso, ha un pensiero bellissimo: “E’ tutta, lei. E’ una donna intera.” Una donna a cui nulla è stato tolto, che ha “autonomia, autorità e identità; e le usava bene, non per sopraffare, ma per aiutare la sua comunità, in maniera interamente femminile, diversa e opposta al potere patriarcale e guerriero; come le sibille delle antiche società comunitarie”. La tiina sana i contrasti fra vita e morte, fra male e bene. Per questo, dice Lussu, il Guerrino e i cavalieri descritti da La Salle si ritraggono all’offerta di rimanere nel regno della Sibilla. Perché quel regno è pacifico e non sanguinario come quello da cui provengono e di cui portano le armi, e perché, proprio in virtù delle armi, hanno perso la capacità di vedere, di ascoltare le persone e di studiarne i gesti, e dunque di indovinare i cambiamenti in atto. Elisabetta muore e muore anche Marchi che aveva raccolto materiale su di lei, e viene sepolto in una bara economica, pagata a rate, chissà se in stile italiano come quella voluta da Arturo Benedetti Michelangeli. La Sibilla barbaricina svanisce dalla memoria, tranne che per i lettori del Libro perogno, mentre la Sibilla Appenninica resiste ancora, anche se nell’ombra.
La Sibilla Appenninica resiste in alcune celebrazioni che si svolgono all’ombra del Vettore, ma ormai è una creatura demoniaca che vuole traviare il povero Guerrino, e le fate sue ancelle hanno piedi di capra.
Oddio, cos’altro hai tolto?? 😉
E’ una bella pagina, piena di rispetto e calore.
grazie loredana per questo ricordo di joyce lussu. lei, insieme a ida magli, proprio la cara ida, nonostante il seguito, sono quelle che mi hanno spalancato alla visione di un mondo altro, svelando le contraddizioni di una sinistra spesso incapace di guardare dentro di sè