Per esempio, nel piccolo bar sotto casa, quello gestito dalla signora francese che non mi vede troppo di buon occhio da quando ha capito che non ho nessuna voglia di di ascoltare le sue tirate quotidiane contro gli-zingari-che-bisogna-ammazzarli-tutti. Proprio quello, dove ieri sera era fermo a fumare e chiacchierare un gruppo di ragazzi. Che commentavano il proprio primo voto: alla Lega, già, perché-finalmente-sti-marocchini-se-ne-vanno-a-casa-a-calci-in-culo e noi si lavora, cazzo, le persone perbene a quello pensano. A lavorare.
Scegliete la vita.
Scegliete un lavoro.
Scegliete una carriera.
Scegliete una famiglia.
Scegliete un cazzo di televisore gigante.
Scegliete lavatrici, automobili, lettori cd e apriscatole elettrici.
Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita.
Irvine Welsh, che associazione banale, scontata, pop, profondamente inutile in questo momento. Me lo dico da sola, a scanso di equivoci.
Ci sarebbe semmai di ripensare a quel lento lavorio che si compie nelle nostre scuole, fin dalle elementari (la-scuola-migliore-del-mondo), dove così spesso insegnanti e genitori sono concordi nell’allontanare anziché nell’unire. Non necessariamente chi parla un’altra lingua: basta essere diversi da quel che si ritiene occorra essere. Anche a sei anni.
Ci sarebbe da ripensare a quel famoso frame abbracciato non solo in campagna elettorale (a casa, sicuri, tranquilli, protetti: questo è il sogno dei cittadini, che altro?).
Ci sarebbe da rileggere un bel po’ di libri: Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti, per esempio. O anche, indietro, quel celebre testo che si studia anche a scuola e che contiene la folgorante frase: “Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba”.
Ah, e poi c’era questo appello, specie nel passo:
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà’; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti..
Era novembre, già.
Loredana, anche se presumibilmente ho votato come te; anche se condivido il desiderio di integrazione, ma soprattutto – anzi, primaditutto – l’empatia nei confronti della fatica, nel migliore dei casi, che un immigrato è costretto ad affrontare (fatica, dolore, umiliazione, sradicamento; a volte abusi; sempre indifferenza/diffidenza), non penso che i primi a dover essere additati siano i diciottenni che hanno votato lega.
Perché nelle periferie violente ci vivono loro, non tu, credo, né io, di certo; perché questo stato li lascia indifesi e, cosa ancora più grave, permette al delinquente di confondersi con quello che delinquente non è, perché lascia libero l’uno di vessare l’altro, perché quello che fa per l’integrazione è servire il cous cous nelle mense scolastiche (ma che grande sforzo, ma che bravi…), non proteggere, sopra ogni religione, i valori della tolleranza e della ragione.
(Scusa per la noiosa retorica di questo mio; tieni la sincerità.)
Ma certo che tengo la sincerità, Modì.
Errata corrige, però: io vivo in una periferia, da quando sono nata…:)
C’é stato un bisogno di protezione, un sogno irrealizzato che non sente ragioni.
Un populismo sincero nella sua ignoranza, purtroppo deluso. L’ignoranza non ha freni, divarica le gambe se la si corteggia, é pronta ad uccidere se la si tradisce.
Discutere é inutile, tanto meno pretendere di farla ragionare. O la si comprende e la si assecondo…oppure.
Oppure prepariamoci all’intolleranza.
Nota di demerito a chi ci ha governato. Preoccupazione per chi ci governerà.
Grazie.
stereotipando stereotipando ecco i giovani cazzeggatori che prendono-a-calcinculo-gli-immigrati, le tirate del fornaio ignorante contro i-zingari, la santa pazienza della persona colta e progressista costretta ad ascoltare, tutte cose verissime, accadono realmente: è per questo che non si vede quello che c’è dietro il clichè, cioè l’eterna risibilità dei ruoli assegnati dalla storia e dalle provenienza sociali. Quelli che arrivano perchè da qualche parte devono andare, quelli che menano perchè si vedono minacciati nel loro mondo precario-periferico, quelli che lasciano dire ma scuotono la testa, quelli che “ci vorrebbe una politica dell’accoglienza”, quelli che “a me piace il cous-cous”, quelli che scrivono dei mali del mondo per spaventare-i-borghesi ma comodi-comodi nell’appartamento dei parioli, quelli che… vogliono sentirsi migliori e affidandosi alla propria idea di uguaglianza che per fortuna (loro) non dovranno mai davvero praticare. Sepolcri imbiancati.
Leggetevi Houellebecq, piuttosto.
E dopo che abbiamo letto Houellebecq, devo supporre, ci sentiremo molto intellettuali-atipici, molto antagonisti ad un supposto sistema culturale e politica, molto bastanti a se stessi, molto legittimati a sparare sentenze stereotipate fingendo di voler demolire degli stereotipi.
(e pure con qualche problema di vista: ai parioli, caro Rattazzi, ci abiterai tu. Io abito al tiburtino, grazie)
E prima ancora di leggere i commenti, sono quasi svenuto: quando ho realizzato che il tuo bar sotto casa e i ragazzi leghisti, Loredana, non sono a Bergamo, ma a Roma “ladrona”.
Mala tempora currunt.
dopo aver letto Houellebecq probabilmente ci accorgeremmo – semplicemente – di essere più consapevoli della finzione del mondo, del nostro modo “falso” di rapportarci alla realtà. L’amarezza che ne deriva non dà indicazioni ideologizzabili ma una messa-a-fuoco utile a capire qualche dinamica. E qualche possibile risposta.
Bastasse così poco, Rattazzi, nonostante la franca antipatia umana che nutro nei confronti del signore suddetto, lo farei imparare a memoria a tutte le persone che conosco (oltre tutto mi sembra che sulla finzione del mondo esistano altri personaggi nient’affatto disprezzabili che possano dire la loro: chissà perchè, al momento la cosa non risulta consolante).
Paolo: già.
A Paolo S: non mi meraviglerei che il fatidico bar si trovi a Roma. L’illiberismo é una modalità di percepire l’altro orientata alla protezione attraverso la reazione. Lo spazio personale é avvertito come costantemente in assedio. Nelle personalità non propriamente acculturate opera in maniera latente. Ma é potenzialmente attivo. Se le circostanze lo richiedono é pronto a sacrificare dignità e rispetto personale (ecco i nuovi leghisti romani e meridionali) in nome di una forza in grado di salvaguardarne l’incolumità. O almeno che abbia la pretesa di farlo.
Dato che siamo in vena di consigli librari vi suggerirei Benjamin Constant che di questi tempi sarebbe ancora, e purtroppo, necessario.
Oh Lipperina quanto ci combatto ogni giorno co sto fatto.
Che se una ci ha parla degli extracomunitari, pensando alla vita disgraziata che ni ci tocca fare, eh beh “intellettuale puzzona”.
Te armeno sei nata e vivi nelle periferie!
Io invece sapete che c’è? non ci sono nata, manco ci vivo, e sorpresa sono convintamente di sinistra lo stesso. E trovo la xenofobia una grandissima presa per il culo.
E quando a mia madre colla pelliccia, un signore ha messo il coltello alla gola e a seguire il socio ha minacciato di stupro mia sorella – dicesi “rapina a mano armata”, mica erano der burundi. Mica erano zingari. Nando e Paolo se chiamavano ed erano nativi der centro di Roma.
Le provenienze sociali servono per contestualizzare una linea di pensiero, ma le riflessioni politiche devono approdare a una zona neutra, disincarnata. Le idee politiche non devono svilupparsi sulle matrici rionali.
governi di destra e di centrosinistra non hanno mai investito per una politica di accoglienza.
ho visto, a Novara, dei ragazzi albanesi allontanati da un locale, perché erano albanesi; il buttafuori disse: questi vengono qui a prendere le nostre donne. se ne andarono a testa bassa, con dignità.
ho visto in un bar di un paese di 9mila abitanti (Gattinara) una cameriera chiedere il pagamento di due birre anticipate, solo a due ragazzi albanesi; gli altri potevano pagare dopo.
ho visto che in un bar di periferia della mia città (Vercelli), frequentato da povera gente, la sera tardi c’è paura quando arrivano bande di zingari ubriachi. recentemente se la sono presa con un cane e, poi, hanno spaccato il naso con una testata al padrone.
c’è, insomma, un quadro complessivo poco rassicurante.
mancano risposte.
e mi è piaciuto il primo commento, di Modì.
un conto è fare gli intellettuali a distanza, un conto è viver(ci) tra i problemi.
poi è chiaro: certi slogan della lega son fatti per alimentare la paura.
buona giornata
“trainspottiamoci” altrove con questa:
http://www2.kwcinema.kataweb.it/ritornoalfuturo/images/homepage3.png
Luca, io mi agghiaccio – non mi meraviglio. Non è un dettaglio linguistico, è una sensazione fisica.
Remo, io a sto punto rilancerei oltre la questione della paura: secondo me c’è in giro troppa gente che cerca solo giustificazioni per essere ATTIVAMENTE stronza.
Gente che preferisce investire il proprio tempo CONTRO il prossimo (PRIMA certi tipi di prossimo, ma è solo questione di priorità) anziché diventare più libera, rilassata, intelligente, saggia, felice o qualsiasi combo delle precedenti.
Beh, continuerò a salutarli e sorridere, e a non temerli.
sono d’accordo paolo s.
certo.
certo è che lo slogan riproposto ieri da maroni con orgoglio, PADRONI A CASA NOSTRA, a me è sembrato così anacronistico, lontano dalla realtà che mi sembra di vivere: frontiere aperte, globalizzazione, stage all’estero, scambi culturali… io casa mia non lo so qual è. sono sempre stata fuori posto. così non capisco perché anche più a sud della padania si possa votare una roba così. che dice cose così piccole, così mediocri, così illogiche di fronte ai tempi. o forse è la riproposta del locale contro il globale che aggredisce e sembra lasciare senza scampo. bertinotti con lo sguardo triste ieri – mi era doloroso vederlo – che ammette che forse, dove l’identità di classe non c’è più, è l’identità delle tradizioni ad aver preso il sopravvento. perché? ho vissuto un mondo diverso, io. che a 15 anni avevo in comitiva ragazzi albanesi, che in erasmus mangiavo la roba di tutti – giapponesi, bosniaci, ungheresi, iraniani, coreani, greci – nonostante i problemi di digestione, solo per “condividere”.
sì, ho vissuto un mondo diverso perché sono stata fortunata. ma quello non è il mondo vero. quei ragazzi stranieri giravano il mondo per studiare e per conoscere, non erano clandestini.
io abito in una periferia molto brutta, ma non ci sono accampamenti rom nelle vicinanze. se ci fossero, chissà se avrei paura a camminare da sola. è a questo che penso. alla paura della gente: paura che ha una dignità, che non si può sottovalutare. poche cose, chiare, ha detto la lega. la gente si è sentita rappresentata. è l’IO MINIMO di cui parlava cristopher lash, la microidentità che la gente costruisce contro la sensazione di uno stato di assedio. i risultati politici sono i risultati di un processo di questo tipo, mi viene da pensare.
d’altra parte, la risposta della sinistra a questo problema, nella sua manifestazione più violenta e strumentalizzata: tor di quinto, non è stata equilibrata e coerente. come si fa a negarlo?
siamo tristi, oggi, e confusi. la lega è il terzo partito d’italia. la sinistra radicale è fuori. penso a tutta quella gente che l’ha votata, la lega. ha la mia stessa dignità. anche se io mi sento migliore di loro, l’errore è mio. sono io che forse abito un mondo diverso. ma nella mia testa.
mi scuso per il disordine mentale di questo post, ma sono davvero ancora un po’ stordita.
Ma alla fine, che cosa è un’intellettuale a distanza?
Per quel che mi riguarda, non m’è chiaro se sono intellettuale, per certo non sono a distanza, per una serie di questioni che trovo impolitico spiegare – ma non è questione di distanza o vicinanza, e anche questione di etica, e mancanza di etica. Di lungimiranza e mancanza di lungimiranza. C’è un problema di sicurezza e questo è drammatico e fuori discussione – ma questa incapacità di reagire all’illegalità è la stessa che fa crescere rigogliosa la mafia nel nostro paese. Lo sfruttamento della prostituzione, e via grandi quantità di barbarie che qui sono solo formalmente illegittime. Concordo molto quando Paolo S. (ciao PaoloS:)))) allude al fatto che molta gente usa la paura per sollecitare ad essere attivamente stronzi – si tratta fondamentalmente della salsa della campagna elettorale di Alemanno, sperando che Dio ce ne scampi. Che per altro, non risolve niente: quand’anche decidessimo che il razzismo è legittimo, pensare di arginare l’immigrazione in un mondo globalizzato, è sperare di fermare una tempesta di mare, con degli argini di vetro. L’acqua li travolgerà.
Anche a me non è molto chiaro il concetto di intellettuale a distanza a cui fa riferimento Remo Bassini, onestamente.
Quello di distanza della politica, sì. Specie nell’ottica che Giovanna Cosenza ha ben esaminato qui
http://giovannacosenza.wordpress.com/2008/04/15/lakoff-applicato-a-veltroni/
Anche io sono stordita. Il paragone, forse, è troppo forte, ma mi sento come quelle persone che subiscono un lutto e sulle prime non accusano il colpo, vanno avanti per inerzia per rimuovere la consapevolezza del dolore. Sono d’accordo con quanto dice Rosella, anche io da trentenne vivo in un mondo aperto, inclusivo, dalle radici forti ma dalle frontiere aperte. E mi sento, ogni giorno di più, almeno da quando ho iniziato a votare e la triste cosa ha coinciso con l’ascesa di Berlusconi I, sempre più distante dalla realtà che mi circonda. Ho provato nausea ieri, nausea per tutti coloro, italiani come me, che hanno permesso che l’Italia tornasse così tanto indietro. Ma come dice Rosella, il torto è mio, non faccio altro che pensare: “E se fossero loro ad aver ragione?” Scegli la vita, coltiva il tuo orticello e preoccupati SOLO della tua serenità… non so, io non ce la faccio a vivere così…
perché il problema della gestione degli extracominitari, loredana, un conto è leggerlo in rete o sui giornali, un conto è viverlo.
ti faccio un esempio concreto concreto (ma posso farne tanti; sono stato in un campo nomadi, diverse volte, ho frequentato per due anni un locale frequentato per lo più da zingari).
torno all’esempio.
un assessore, ora ex, della mia città (quando la mia città era amministrata dal centrosinistra).
ha promosso tentativi di integrazione, per esempio promuovendo corsi di alfabetizzazione al campo nomadi, incontri con i sinti, feste.
mi raccontò, stupita, che i bambini zingari hanno una sorta di “comunismo nel dna”: tu davi una cioccolata a uno di loro e lui pensava subito a dividerla con gli altri.
veniamo all’esempio.
il campo nomadi è in un quartiere diciamo difficile.
succede questo.
a un artigiano i sinti chiedono di costruire una cancellata; lui non solo dice sì, la la regala. Passa un mese e l cancellata viene distrutta. I sinti riformulano la richiesta, e l’artigiano costruisce una nuova cancellata senza chiedere una lira.
Succede che la cancellata, per la terza volta, venga travolta da un’auto. Terza richiesta. Stavolta l’artigiano presenta il conto. La notte successiva “qualcuno” è entrato nel suo laboratorio, rubando e distruggendo.
Non essendo un caso isolato, l’assessore fece fare un’ordinanza di sgombero, Ripeto: c’erano altre lamentazioni, giustificate (credo), e per di più in un quartiere tradizionalmente rosso.
Intellettuali e no global truonarono contro quell’assessore.
Io però, insieme a lei, era stato diverse volte al campo nomadi. Una volta, ricordo, era una viglia di Natale. Di intellettuali di sinistra (eppure lo stesso Marx aveva da ridire sulla “teppaglia sotoproletaria”) o di no global, però, non mi capitò mai di vederne. E poi: mica abita(va)no lì, loro.
Anche in rete: io vedo, a volte, una tendenza ad idealizzare.
Le canzoni di De André piacciono anche a me e gli zingari mi stanno simpatici, a prescindere dalle esperienze personali.
Ma occorre superare certe semplificazioni.
C’è chi fa leva sulla paura (e sull’ignoranza), esasperando.
C’è chi invece dice che la paura non è motivata, e qui io non sono d’accordo.
Ho un amico che un mese fa è stato picchiato da un gruppo di zingari ubriachi; gli hanno spaccato il naso con una testata perché ha avuto da ridire sul fatto che gli stavano prendendo a calci il cane. Un pastore tedesco femmina dolcissiomo e inoffensivo.
Certo, sono vittime della società, discorso vecchio. Condivisibile.
Anche chi fa discorsi beceri, però, in un certo senso è vittima, mi pare.
Remo, brevemente, credo che la paura esista, ma che venga – ad arte – indirizzata unicamente verso un solo bersaglio. Più volte, qui, abbiamo fornito numeri sulla criminalità, e in base a queste cifre- ufficiali- emergeva che si doveva parlare di criminalità italiana soprattutto.
Ora, ognuno di noi puoi raccontare, ed è corretto, della propria personale esperienza in un senso o nell’altro. Ma i numeri dovrebbero fornirci il quadro di un’esperienza meno parziale.
Poi: stare in rete, per come lo interpreto io, non è esattamente la stessa cosa dello stare appollaiati alla propria scrivania e fornire ispirati commenti su una società con cui non si viene a contatto se non idealmente. A ben usarla, permette di conoscere molta più realtà di quanto si pensi.
Quello che a mio modestissimo modo di vedere ha contribuito alla disfatta, è stata esattamente la poca chiarezza su questo punto: a novembre Veltroni fa la voce grossa pro-espulsioni e accetta di giocare una partita che non dovrebbe essere quella della sinistra. Ecco.
Tutti abbiamo paura? Forse. Ma la paura, sempre secondo me, è fenomeno più complesso del campo rom sotto casa. E’, appunto, un frame che ci viene imposto almeno da sette anni a questa parte, e non solo in Italia.
Il problema, secondo me, è che quando si parla di politiche dell’accoglienza non si tocca la questione fondamentale: cosa vuol dire accoglienza? E’ una parola, insieme ad integrazione, che è usata spesso, ma sempre in maniera molto generica, e solo perché oggi non vanno molto di moda non si sono ancora svuotate di contenuto come è successo ad altri termini quali riformismo e affini.
I leghisti e le destre in genere non vanno in giro a proclamare “Intolleranza, xenofobia!”, ma dicono frasi che da questi principi partono, e però esprimono proposte all’apparenza concrete: “Via gli immigrati”. Se ad un obiettivo così preciso si risponde con qualcosa di vago come integrazione o accoglienza si fa poco, e certo non serve a convincere chi è impaurito dai nuovi problemi sociali a diffidare delle rozze idee leghiste
credo che questo sia un buon contributo
http://www.repubblica.it/2007/04/sezioni/cronaca/rom-sinti-chi-sono/rom-sinti-chi-sono/rom-sinti-chi-sono.html
forse su Carmilla (non ricordo, ma mi pare su Carmilla) lessi invece un dato (oggettivo), interessante: siamo il paese europeo che spende di più in repressione e meno in tentativi di integrazione, accoglienza.
il problema vero è che si sta acuendo una guerra tra poveri. e i governi di centrosinistra non hanno dato un valido contributo.
dico una banalità, forse
(l’ho detta a Gherardo Colmbo che ho conosciuto pochi giorni fa). in certi quartieri aumenta la ghettizzazione, e non mi riferisco solo ai sinti o ai rom, perché tangentopoli ha spazzato via quel po’ di buono che c’era nei partiti tradizionali. mi riferisco soprattutto alle vecchie senzioni del pci, che nelle periferie urbane svolgevano un ruolo anche educativo.
adesso è rimasto qualche prete di buona volontà e qualche volontario.
remo,
condivido.
io a prendere il 69 a roma per es. ho sempre avuto paura. ad aspettare il bus da sola di sera alla fermata di ponte milvio avevo paura già sei anni fa.
il punto è che se la sinistra non dà nessun tipo di risposta o dà risposte contraddittorie, è meglio chi le risposte le dà e le dà coerenti, becere per quanto vuoi. così ragiona la gente. il problema mica è la lega. il problema, da sempre, e stiamo a ripetere luoghi comuni, è la sinistra.
w le case del jazz della letteratura del cinema e così via, ma della speculazione edilizia di roma chi si preoccupa? dei 64 sfratti al giorno (dati sole 24 ore) a roma chi si preoccupa? del gravissimo problema degli alloggi, evidente a chiunque, che fa agonizzare una città come roma, chi si preoccupa? di dove va la gente sfollata a tor di quinto chi si preoccupa? e del resto che ometto per non essere noiosa?
si può credere alla sinistra?
d’altronde, però, mi chiedo come si faccia a credere agli altri.
Tristezza e pessimismo…a brevissimo ci ritroveremo nel Medioevo: la censura, la messa in latino di spalle ai fedeli, l’odio verso il diverso, la povertà, la superstizione, l’ignoranza.
Ogni tanto, da brava atea, penso: “Ma cosa aspettano lassù? Non è forse ora di un nuovo Diluvio Universale?”
Diana, stai cadendo nel loro frame…
remo e rosella,
io trovo che il punto sia proprio questo,
io a padova in stazione dopo le undici di sera non sto volentieri e vorrei essere libera di tornare a casa a piedi, sola…
ma la realtà è più complessa di quello che vorremmo e bisogna farci i conti. La differenza sta, a mio parere, sulle basi su cui muoversi per trovare le risposte.
E diffido, nella vita quotidiana come nella politica, delle soluzioni facili ed immediate. Mi si continua a dare dell’idealista vecchiamente (!) ancorata a posizioni ingenue, ma io dai miei coetanei trentenni questo cinismo non lo voglio più accettare
trovare il modo di mettere la ragione davanti ai biechi istinti, è questo lo sforzo…ma chi ne ha l’interesse oramai?
spero che ce la faremo, davvero
Anche io mi trovo d’accordo con Remo Bassini, magari lui (che però non mi fila de striscio) se ne stupirà.
Solo che io mi sento sotto scacco, ecco:
– perchè da una parte capisco la motivazione di chi teme di essere aggredito
– dall’altra riconosco la storia di chi finisce coll’aggredire
– da una parte riconosco che una certa esperienza porta a un certo giudizio
– dall’altra so che quel giudizio diventa pregiudizio molto rapidamente.
E rimango dell’idea che non è l’esperienza che fa cambiare la percezione delle cose, ma il modo di ragionarci. Perchè per esempio ho amici che lavorano fissi nei campi nomadi e difendono i nomadi comunque. Così come Remo parla di uno sgombero a parer suo giustificato, essendo stato egli stesso in un campo nomadi.
E così come ci sono persone profondamente xenofobe che sono state esposte a delle aggressioni e altrettante che lo sono anche di più, ma non ne hanno la più vaga idea. E se la sinistra non ha saputo dare risposte soddisfacenti, non ci illudiamo che dipenda da una mancata conoscenza delle problematiche territoriali. Dietro c’è invece un’approccio a questi temi che è viziato dalla necessità di strumentalizzarlo a fini elettorali, cercando di accontentare simultaneamente elettori fin troppo diversi tra loro, senza trovare risposte serie, concentrandosi su quello che è giusto, che è poi quello che dice G.Cosenza
mi sento sotto scacco anche io, zauberei.
e ti confesso: ho scritto, ma quando scrivo di questi argomenti sento tutta la mia inadeguatezza a dire.
più che da ssunti sociologi o altro, io, magari sbagliando, prediligo l’aspetto psicologico dell’immedesimazione.
ti spiego, o almeno ci provo.
ho passato due anni della mia vita con ragazzi privi di istruzione, figli della disperazione. erano ragazzi segnati e io mi sono affezionato, e tanto, a loro (tanto che ne ho scritto, anche…). più sfortunati dei sinti.
sono e resto dalla loro parte.
ma quando penso che la sera vanno in giro in branco e fanno danni, e a volte qualcosa di più, m’interrogo e, sinceramente, non so raccapezzarmi.
freud diceva che ognuno di noi porta sulla spelle il bambino che era.
ma allora vale per tutti, questo.
sull’intellettuale a distanza.
sarà stato l’85. convegno di psicologi. uno di loro (Franco Borgogno), raccontò che gli inglesi dissero che solo noi italiani facciamo tanti convegni senza avere avuto prima un indispensabile approccio empirico.
avevano notato che alcuni psicologi italiani parlavano di tossicodipenze senza essersene mai occupati.
sugli zingari, non so se ci avete fatto caso. ma tutti sanno tutti. istruiti oppure no.
chi conosce la loro storia e, al tempo stesso, conosce quanto sia complessa una compenetrazione culturale, sa. e merita attenzione.
chi sa per sentito dire o per aver letto o perché ha subito un furto deve avere l’onestà di ammettere che la sua è una conoscenza parziale, almeno.
la mia è parziale.
Remo, però sento l’esigenza di precisare. Personalmente ho parlato di cifre: e dal momento che mi occupo di informazione, l’ho fatto per sottolineare quanto la cattiva informazione, proveniente dall’una e l’altra parte, abbia contribuito nei mesi e negli anni all’ondata xenofoba che ha caratterizzato, anche, questo risultato elettorale.
Con il massimo rispetto per gli psicologi che citi, io vedo nell’Italia di oggi il problema anche inverso. Quello di basarsi soltanto sulla propria esperienza personale: che conta, certamente, ma non può pretendere di sostituirsi al reale. E guarda che la Lega ha giocato esattamente su questo.
Loredana, non ho trovato nessun intervento, qui, supponente in materia. Anzi. E’ giusto dire di cifre, statistiche, attacchi beceri.
Mi occupo anche io di informazione, di cronaca.
Sarà spicciola, ma si basa sulla pelle della gente. Ho parlato genericamente di rete, perchè quando si parla di zingari, di giornalismo (o di mondiali) nei blog trionfa tanta tuttologia.
in queste domande e risposte di Stalker ci sono parecchie risposte a domande sui rom (ma sono tutti rom?) e su come vengano spesi i milioni destinati a ‘migliorare i campi’. Quelli di Roma, in questo caso. Ci sarebbe da arrossire di vergogna. Almeno.
besos
l’articolo è lungo, questa è una piccola parte. Invito alla lettura, ma anche a fare esperienza di persona accompagnati da persone che già lavorano con loro. O questa sinistra di commentatori accaniti di qualsiasi cosa vuole continuare a lasciare libero il campo alla lega? in troppi viviamo una sinistra mentale, ma guai a doverci confrontare con gente che non ci ha mai sentito nominare (così come non ha sentito nominare di parecchie altre cose a parte gli slogan pubblicitari o le semplificazioni dei leghisti), allora scattano meccanismi di ‘distanza’. Ricordo liti accesissime tra comunisti e democristi o anche anche pacati confronti davanti a una briscola. Ricordo volantinaggi e discussioni davanti ai cancelli delle fabbriche all’alba che impiegavano parte della vita di cari amici. Adesso al nostro posto ci sono i leghisti.
Vabbuò, sarà semplice nostalgia o vecchiaia.
passo la palla a loro, và
http://ejour-fup.unifi.it/index.php/mac/article/view/2290/2210
D: mentre stavate conducendo l’inchiesta sul Tevere sono stati firmati i Patti della Sicurezza, proposti dal Ministro degli Interni Amato e poi sottoscritti dai prefetti, dai sindaci e dai presidenti di regioni e province.
So che a Roma per risolvere il problema della sicurezza è stato deciso di allontanare tutti “ i nomadi” dalla città e di costruire per loro quattro grandi campi da mille persone, fuori dal Grande Raccordo Anulare. Li
chiamano Villaggi della Solidarietà. Mi sembra orribile, voi che ne pensate?
R: è una cosa gravissima, che non è mai successa nella nostra storia democratica, una vera svolta autoritaria, pericolosa perché demagogica e razzista. Hanno trovato il capro espiatorio nel “nomade” e adesso lo mettono alla gogna come dice Padre Sardelli nella sua lettera al Sindaco, “si vuole colpire i poveri invece di colpire la povertà”. Ci sono migliaia di persone, uomini, donne e bambini, che dovranno pagare per le malefatte di alcuni. Si colpisce l’etnia e non il singolo. I primi a contestare i patti sono stati gli “ebrei per la pace”, loro la conoscono molto bene questa storia, hanno detto che si tratta senza mezzi termini di deportazione etnica e di campi di concentramento. In questi quattro campi andrebbero a vivere l’uno accanto all’altro popoli che scappano dalle stesse guerre, i bosniaci insieme con serbi e con i kosovari… sarebbe una vera miscela esplosiva. E li vogliono mettere lontano dalle aree abitate e dai collegamenti per non farli più ritornare in città, per renderli invisibili in favelas di container, recintate, con guardiania all’ingresso. Dentro ci sarà una ambigua sospensione della legalità, come nei CPT, e nessuno potrà sapere cosa vi accade, col tempo ce li dimenticheremo.
D: effettivamente è agghiacciante. Ma voi a che alternative avete pensato? Cosa proponete?
R: intanto diciamo al Sindaco e al Prefetto che il problema è complesso e che deve essere affrontato in modo complesso, non si può semplificare il tutto con quattro campi. Si vogliono eliminare i 23 campi legali riducendoli a 4, e allontanare con la forza gli abitanti dei 30 campi illegali della città (numero molto sottostimato visto che solo sul Tevere noi di illegali ne abbiamo trovati 54…) noi crediamo invece che con i 15 milioni di euro stanziati per i nuovi campi, si dovrebbero riproggettare da capo i 23 campi legali, con tipologie diversificate, in alcuni casi anche a più piani, e che si potrebbe fare il tutto in autocostruzione con evidenti risparmi e maggiori garanzie sulla manutenzione. Vedi qui l’amministrazione e tutti quelli che si occupano dell’abitare sono rimasti veramente molto indietro. Qui a Roma autocostruzione è sinonimo di
abusivismo. E come soluzione alla baracca si ipotizzano solo case popolari, il ché fa diventare la soluzione quasi impossibile, dato che non se ne fanno più da anni. Noi crediamo invece che vada superata la logica
del campo, estranea alle culture rom, e che tra la baracca e la casa popolare ci sia un ventaglio enorme di possibilità abitative che sono inesplorate e che potrebbero essere buone soluzioni anche per chi non è rom. Che insomma tutto ciò potrebbe positivamente influenzare anche la nostra maniera di vivere.
D: ma queste 23 aree esistenti in che senso sono legali? Da quanto esistono? Dove sono?
R: sulla legalità dei campi si apre un enorme buco legislativo. Sono li a volte per una semplice ordinanza del sindaco, magari si chiamano ancora “campi provvisori” dopo venti anni. Sono stati creati con l’arrivo dei profughi dei Balcani, prima non esistevano, e comunque oggi nessun rom li vuole. La domanda che viene da queste comunità è di piccoli insediamenti di poche famiglie, sparse in tutta la città. Ma il problema è anche di tipo speculativo, perché queste 23 aree sono sotto una forte pressione della speculazione edilizia. È chiaro che una volta che i nomadi se ne saranno andati i prezzi saliranno immediatamente. Come è chiaro anche che si utilizzeranno i quattro campi, di cui ancora non si sa la localizzazione, posizionandoli qui e là fuori dal GRA per rendere edificabili porzioni di campagna romana e far abbassare i prezzi delle aree. In questo modo i costruttori potranno comprare e quando poi si deciderà che l’area non è idonea per il megacampo, i costruttori potranno cominciare a costruire su quei suoli comprati a prezzi stracciati, costruendo quartieri abominevoli, sfruttando i rumeni in nero, senza sicurezza nei cantieri… i problemi in realtà sono tutti collegati
e come al solito fanno capo alla rendita fondiaria e alla speculazione edilizia. Quei 23 campi devono rimanere dei “nomadi”, se li sono guadagnati abitandoci per venti anni, con enormi sacrifici. Non devono diventare né nuove palazzine né parchi pubblici. Devono rimanere destinati ai rom.
Un ottimo campo di prova per saggiare la popolazione di Roma sul tema immigrazione è prendere il cotral dai Castelli all’Anagnina e viceversa. Non so se sia valido per tutti gli italiani, ma ci sono comportamenti sociali abbastanza significativi.
Anche un pullman di 10 metri di lunghezza è in grado di creare muri e cortine invisibili ma efficaci. C’è la zona zingari, la zona rumeni, la zona “colored”, la zona teen, la zona anziani che per buona parte del tempo si lamenta del fatto che tutte le altre zone emanano cattivi odori…
E vi assicuro che non regna neanche un minimo di “fratellanza”.
Aggiungo poi per quel minimo che può contare del mio stupore nei confronti dei romani. E’ una delle città più ciniche e disincantate (oltreché maleducate) che abbia avuto modo di frequentare. Sembra che il “nemico” sia presente ovunque e di fatto molti movimenti giovanili mi paiono geneticamente costituiti da proteine fasciste.
Qualche tempo fa si buttò una signora alla metro Manzoni, di fatto morendo sotto il treno. Avrò sentito almeno una ventina di persone commentare: “Ammazza, ma proprio qua se doveva suicida’, nun se poteva butta’ nel Teve’?”. Ecco quando una persona pensa questo e soprattutto lo esplicita, non credo sia solo questione di rapporto con l’immigrazione…
sorry per la scrittura nelle mie parti del post di sopra. fretta, sonno e stanchezza come scuse.
besos
A proposito di ragazzi e di primo voto. Domenica mattina, prima di andare a votare, mi sono fatta un giro su Answers. Sconcertante la quantità di variazioni sul tema: “Aiutoooo! Chi devo votare?”. Qualcuno chiedeva (sic) un riassunto. Come se si trattasse di un capitolo dei Promessi sposi. Qualcun altro domandava se è vero che, qualsiasi partito si voti, i voti vanno comunque o a Veltroni o a Berlusconi. Qualcun altro ancora chiedeva una dritta. Ma tanti, tanti.
Insomma: ho cominciato a essere triste domenica mattina. Credo che l’intolleranza di cui parla Loredana sia una parte rilevante del problema. E che un’altra parte sia un senso di estraneità e di incapacità/impossibilità di capire. Che, apparentemente, nessun appello e nessuna spiegazione riesce a scalfire.
Fantastico: e adesso?
«Olindo e Rosa hanno vinto le elezioni politiche. E allora? Si tratta di curare la malattia, se ne siamo capaci, non di restaurare vecchi apparati. Dobbiamo occuparci della malattia psichica che si manifesta in Italia con l’emergere di un esercito maggioritario di zombie assetati di sangue.»
Bifo, “l’orizzonte”; il resto è qui:
http://liste.rekombinant.org/wws/arc/rekombinant/2008-04/msg00047.html
Ciao, bel post.
Quello che mi par di sentire in giro è che si scontrano due discorsi nel campo mediatico: uno che semplifica il ragionamento (“marocchini a casa”, come dicevano quei ragazzi, ma non solo loro) e dall’altra un tentativo piuttosto stentato di spiegare che il mondo cambia e che rimandare a casa i “marocchini”, oltre a essere una operazione obiettivamente difficile, è dannosa.
Mi pare che non ci sia in giro la volontà di impegnarsi ad affrontare la questione con un ragionamento serio, mi pare che siamo in ritardo di 20 anni su questa discussione e mi pare che siamo in ritardo a tutti i livelli, dalla politica che dovrebbe tracciare la via (spero che Veltroni si occupi di questo, piuttosto che infamare Berlusconi, in generale) ai singoli cittadini, che hanno tanti problemi da affrontare e tutti insieme, non sono sicuro che ce la facciano.
Magari ho semplificato un po’ il ragionamento, ma dal basso dei miei 24 anni mi piacerebbe vedere una politica che indica la via, che offre delle proposte frutto di un ragionamento non semplificato.
Saluti
Mattia