Sul quotidiano di oggi, la mia recensione del nuovo romanzo di Flavio Soriga. Eccola.
L’isola di Hermosa sembra immune dal mutamento. E’ il 1794 e “dappertutto infiammano i popoli e chiedono libertà, uguaglianza e felicità, pretendono ascolto e diritti anche gli ultimi tra i cristiani, il mondo ribolle di passioni e lotte, di battaglie e rivolte”. Hermosa, invece, si mantiene lontana dalle fiamme rivoluzionarie e si china a combattere con i suoi antichi mali: povertà e febbri nere, etrambe ignorate da Signori e Baroni che camminano tronfi e impuniti.
E’ un uomo a combattere i soprusi. Un uomo con una maschera bianca come il V (per vendetta) di Alan Moore. Un uomo che si fa chiamare Spartaco, come lo schiavo trace immortalato da Stanley Kubrick. L’uomo è nobile, come il Don Diego Vega che Johnston McCulley immaginò in The Curse of Capistrano, creando il mito di Zorro. L’uomo è il secondogenito del Marchese di Rosacroce. Si chiama Aurelio Cabrè, ed è un fuorilegge.
Cabrè è la grande sfida di Flavio Soriga, assai celebrato autore di Sardinia Blues, L’amore a Londra e in altri luoghi, Neropioggia. Perché nell’ultimo romanzo, Il cuore dei briganti, che esce per Bompiani (pagg. 294, euro 18,00) assembla gli ingredienti classici del romanzo storico e di avventura in una struttura narrativa non canonica, dove le voci narranti si moltiplicano e si intrecciano in un incastro di punti di vista che accompagnano le avventure di Cabrè sottraendolo al pericoloso status di primadonna.
Perché Aurelio Maria Cabrè di Rosacroce potrebbe ben esserlo: ardente e inafferrabile come Robin Hood, è divenuto brigante per amore di giustizia. Con i suoi compari, fa irruzione nella case di nobili indifferenti e religiosi corrotti. Non colpisce alle spalle, uccide raramente, ma umilia con parole e scudisciate, rubando cibo e denaro a solo beneficio dei poveri. Cabrè segue, insomma, il vento della rivolta ma non è l’eroe di un feuilleton: gli eroi sono invece tanti, nel romanzo come nella Storia. “la Storia sono le servitrici pettegole dei sovrani altezzosi, le parole delle spie che io sogno certe notti che non trovo riposo, la Storia è nei forconi del popolo affamato e nella fame che li solleva a minacciare l’infame strozzino, la Storia si può sognare e vedere, la Storia è questo piatto di grano”. Il tormento di Aurelio Cabrè nasce dalla sua consapevolezza di giovane colto e dalla difficoltà di comunicarla ai conterranei, ignari che la Storia “non sono soltanto i Baroni e la loro presunzione e i vescovi e le loro tresche e i Re inetti e stolti”.
E’ un romanzo di giovinezza e di desiderio, quello di Soriga: desiderio che le cose cambino e che cambino subito, finchè il ribelle conserva forza e cuore: “la gioventù è l’unica cosa che non si può comprare o ottenere più di una volta, e tutti sognano di poterla riavere non appena l’hanno persa”. Ed è un romanzo dove le donne sono vittime sacrificali, come la giovanissima figlia del capraio violentata da un signorotto, o fantasmi possenti. Tale è la madre di Aurelio, Inés dagli occhi di ragazza, sposa a tredici anni, morta per un salasso disperatamente rifiutato, ascoltatrice avida delle storie che il figlio ragazzo le legge ad alta voce: prima fra tutte, quella di Don Chisciotte della Mancha (“Ma come avrà fatto, questo scrittore, a conoscere tante cose interessanti e a trovare parole per dirlo?”). Tale è, soprattutto, Ana Sofia la Sivigliana, la cortigiana che Aurelio ha portato a Hermosa da Venezia e che si rivela intrepida al punto di depredare di un Canaletto il nobile che l’ha stuprata e traditrice secondo le aspettative. Tale è, a sorpresa, Giovanna Enrica Maldonado Portogués, che desidera un figlio per non morire sola e che, per ottenerlo, arriverà al crimine e al ricatto.
Come sempre avviene nei romanzi neo-epici, è molto facile vedere in controluce la storia di oggi negli schieramenti, nei poteri e nei discorsi di chi li combatte. In più, Soriga gioca la carta di una lingua al tempo stesso rigogliosa e concitata, fitta di dialoghi senza virgolettati, dove i personaggi passano dal pensiero alla parola senza soluzione di continuità, e dove si procede per squarci, sbuffi tempestosi, odore di polvere da sparo e di aguardiente, perché per le pause, come avviene a Cabrè, non c’ tempo.
Chissà perché, ma il mito del brigante fa sempre fatica a prendere quota.
Voglio dire, non sarà mai per noi italiani ciò che è il cowboy per gli americani, tantomeno il cowboy americano per il resto del mondo.
Ciò detto, buona fortuna a Soriga e al suo romanzo!
OK, mi hai convinto. Non lo compro.
Mi era piaciuto molto Sardinia Blues; e i romanzi di avventura li leggo volentieri: dunque io vorrei tanto accattarmelo, quest’ultimo di Soriga. Però la recensione non mi invoglia molto…il libro sembra pieno di cliché, anche a giudicare dalle citazioni riportate. Lady Lipperins, è bello nonostante questo? Qualcuno oltre la padrona di casa l’ha letto?
Be’, mi sembrava si capisse dalla recensione che mi è piaciuto…
Certo che ci hai dei gusti, Lippa… che manco mi nonna.
Sì, sì, certo che si capisce che ti è piaciuto; diciamo che nel mio personale bilancino le argomentazioni “pro” (scrittura rigogliosa e concitata, molteplicità di punti di vista) non arrivano a compensare gli elementi che mi sono apparsi come negativi… Magari sono io che ho ricavato dalla descrizione dei personaggi e dalle citazioni un’impressione sbagliata.
SORIGA è UN RAGAZZO MOLTO SOPRAVVALUTATO, COME SCRITTORE INTENDO – DICIAMO PURE CHE E’ UNA TOTALE INVENZIONE
Soriga non è sopravvalutato, né come persona , né come scrittore. In un mondo di mediocri é davvero un’eccezione. Conosco bene tutti suoi libri, leggo spesso gli articoli, l’ho visto spesso in situazioni diverse, è sempre “all’altezza”. Leggerò anche questo. Buona fortuna Flavio
Sono curioso di leggerlo: i diversi punti di vista, i dialoghi non virgolettati, il protagonista (nobile, Rosacroce, ribelle), tutte cose che mi fanno ben sperare.
Certo, più ardua è la sfida maggiore è il rischio di cadere nel già visto, nell’artefatto ecc.
Speriamo che Soriga abbia il talento per raccontare questa storia.
Qualcuno sa se è possibile leggerne un estratto da qualche parte sul web?
Dire che Soriga è molto sopravvalutato è un’affermazione assolutamente superficiale e priva di fondamento, e rivela che chi scrive non conosce affatto l’autore. Direi che nella generazione di scrittori trentenni pochi possono vantare la sua originalità: brillante, acuto, rapidissimo nel pensiero e nell’azione, versatile, polemico ed educato a un tempo. E anche un po’ brigante. Bravo!
d’accordo che Soriga sia “brillante, acuto, rapidissimo nel pensiero e nell’azione, versatile, …” ma sardinian blues sinceramente non l’ho trovato del tutto riuscito (specie nel finale “tarantiniano”… pessimo…). E pure lo spunto di raccontare un altra sardegna, partendo dalle geniali intuizioni de l’ultimo Sergio Atzeni (quello di bellas mariposas), contaminandole col primo Tondelli e spuzzandoci su un pò di rock e di cinema anni 90 non mi aveva del tutto convinto. Invece ho visto in lui tracce da scrittore vero nelle parti in cui affrontava la sua malattia.
Per quanto riguarda poi il tam tam mediatico che lo ha riguardato a partire da quel romanzo penso sia in buona parte dovuto all’abilità del suo agente, il leggendario Santachiara nonche alla sua militanza nel PD (e non venitemi a raccontare che queste cose non contano… soprattutto in Italia…)
Non conosco il libro ne l’autore…ma mi sa che il titolo un po lascia pensare a quello che fu definito brigantaggio meridionale…cosa che dalla recensione non emerge.
Al primo post mi viene da rispondere che cowboy e briganti non c’entrano nulla come non c’entra nulla il nome infame di brigante dato all’epoca proprio per infamare. Giustamente i veri briganti hanno avuto fama di eroi…proprio come l’esercito americano contro gli indiani x restare in tema di cowboy…
Arturo, curiosità e non polemica: perché i dialoghi non virgolettati ti fanno ben sperare?