NESSUN LUOGO, DA NESSUNA PARTE: MULTARE IL SINDACO CHE FERMA LA DISTRUZIONE DI UNA CHIESA

Ogni tanto qualcuno va a Camerino, vede la città morta, si chiede perché. Ogni tanto qualcuno ricorda il Deltaplano di Castelluccio, un altro dei modelli di, uhm, turismo diffuso rivendicato dagli amministratori regionali convinti che solo i turisti possano far rivivere le regioni terremotate, e pazienza se gli abitanti non ci saranno più. Ogni tanto qualcuno racconta. Lo ha fatto Tomaso Montanari sul Fatto quotidiano e Emergenzacultura. Riprendo qui l’articolo, con una storia indicativa: la multa affibbiata a un sindaco, Alessandro Delpriori, per aver visitato il cantiere della messa in sicurezza della chiesa di Santa Maria in Castellare, e aver scoperto questo: “La ditta incaricata dall’Arcidiocesi di Camerino aveva lasciato il cantiere aperto con tanto di self service di pezzi di altari per ogni avventore e con il bobcat stavano portando via macerie, affreschi e tutto quello che c’era distruggendo deliberatamente un patrimonio che per secoli era stato custodito è conservato dai francescani prima e dagli abitanti poi. Tutti affreschi scoperti dopo il terremoto del 1997 e in gran parte ancora da studiare bene”. Salute.
Se c’è una storia capace di raccontare l’Italia di oggi, ebbene è questa. Il 25 aprile dell’anno scorso il sindaco di Matelica, munito di fascia tricolore e orgoglio istituzionale, va a Visso, perla dei Monti Sibillini e paese martire del terremoto del 2016, per celebrare la Liberazione. Arrivato su, si accorge che le celebrazioni sono due: quella dell’Anpi, e la contromanifestazione revisionista organizzata dal sindaco leghista.
Preso dallo sconforto, il sindaco si ricorda di essere uno storico dell’arte, specialista proprio della pittura rinascimentale di quella sua terra, e cerca di ‘distrarsi’ andando a vedere a che punto fosse la messa in sicurezza (a un anno e mezzo dal sisma!) della devastata chiesa di Santa Maria in Castellare, nella frazione Nocelleto di Castelsantangelo.
Qua Alessandro Delpriori si mette le mani nei capelli, e rimpiange il sindaco leghista. Le macerie – cioè i frammenti di affreschi rinascimentali – vengono rimosse con la ruspa, nella volontaria distruzione di una storia e di una memoria senza eguali. Delpriori scatta le fotografie (che vedete), condivide con i colleghi l’amarezza per l’eclissi totale del ministero per i Beni Culturali allora guidato da un esponente del suo stesso Pd, Dario Franceschini (un’eclissi per nulla interrotta dall’avvento del pentastellato Alberto Bonisoli).
Ovviamente, Delpriori scrive una lettera alle istituzioni, segnalando lo sfascio. Mentre la Regione tiene conto della denuncia, e appalta il restauro a un’altra ditta, la reazione di chi avrebbe la responsabilità della tutela è singolare: al Segretariato regionale delle Marche del Mibac non importa che questo cantiere fosse aperto a chiunque, e che fosse già in corso una tranquilla sottrazione di rovine pregiate della chiesa. Il punto è punire l’intrusione non autorizzata: e sporge denuncia alla procura della Repubblica. L’epilogo è di questi giorni: il sindaco storico dell’arte si vede condannato penalmente a pagare una multa di 40 euro per aver salvato un pezzo di patrimonio culturale che, senza quella sua visita criminosa, sarebbe oggi distrutto. In una terribile caricatura, sembra che dello Stato sia rimasto in piedi solo il riflesso condizionato della repressione più stoltamente burocratica: rivolta contro i pochi che ancora nello Stato ci credono, spes contra spem.
Il terremoto, questo terribile acceleratore di processi, sembra aver condannato a morte quel territorio meravigliosamente fuori dal mondo. Nessun progetto, nessuna visione, nessun piano per fermare l’esodo, progettare un ritorno, ricostruire un tessuto culturale. Sembra che l’unica iniziativa che desti l’interesse del potere locale sia la realizzazione di un lago artificiale sul Monte Prata, nel versante marchigiano del Parco Nazionale dei Monti Sibillini nel territorio dello stesso comune di Castelsantangelo sul Nera, a 1.700 metri di altitudine. Uno sbancamento di oltre un ettaro di superfice per circa 12 mila metri cubi di acqua, con una spesa stimata di oltre un milione di euro. Un progetto moralmente gemello del cosiddetto Deltaplano di Colfiorito (sic: qui Montanari fa confusione. Com’è noto, il Deltaplano è a Castelluccio di Norcia)  , il centro commerciale nato sul versante marchigiano: come se il terremoto si portasse dietro, in una scia di lutti, non le resurrezioni ma le speculazioni.
Il patrimonio culturale, che qua legava in un contesto davvero unico, paesaggio, chiese, decorazione monumentale e opere mobili, giace invece nel più completo abbandono. Come se non esistesse più un ministero: Camerino stessa è ancora ferma in un silenzio di morte, io stesso l’ho documentato ad un anno dal terremoto, e Salvatore Settis l’ha ritrovata esattamente immobile dopo un altro anno, descrivendola su queste pagine.
Dagli edifici lesionati e crollanti in tutto il cratere sono stati rimossi 12.908 beni (report Mibac 2018) e solo nelle Marche (sulla base di un accordo a cui il Ministero si è piegato) questo inestimabile ben di Dio è stato affidato in larghissima parte alla custodia degli enti proprietari, che per la massima parte sono diocesi.
Dopo alcune sacrosante polemiche sulle condizioni di questi depositi, rilanciate nello scorso autunno dalla presidente di Legambiente Marche, Francesca Pulcini, queste sistemazioni sono stati “certificate” dall’Istituto Centrale del Restauro, ma rimangono inaccessibili a visitatori esterni e terzi.
Comunque stiano le cose, è evidente che bisognerebbe accelerare al massimo il recupero dei vari monumenti, per riportarci dentro prima possibile questo patrimonio mobile, cui è legata indissolubilmente la speranza di rinascita di comunità che vanno invece estinguendosi in uno spopolamento senza fine.
Invece, la potentissima Curia di Camerino (potere forte di un territorio che, nell’eclissi dello Stato, sembra tornato ai tempi dello Stato pontificio) lancia ora l’idea di un museo delle opere salvate dal terremoto: di fatto una mostra permanente, possibilmente itinerante per l’Italia e fuori. Un’operazione commerciale, senza memoria e senza futuro: un modo di staccare la spina a monumenti come la chiesa di Nocelleto.
L’alternativa è chiara: da una parte una comunità e il suo patrimonio, dall’altra una mostra con i suoi clienti. Nel cratere marchigiano del terremoto anche solo immaginare un futuro giusto e sostenibile è peccato mortale. E pure reato.

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