Ogni cosa si tiene, per quanto riguarda i libri che sto scrivendo, e questo l’ho già detto: da Magia nera a La notte si avvicina, da Danza macabra a Le scrittrici della notte, dalla lettura di Hill House di Shirley Jackson fino a Nome non ha, che esce per Hacca il 28 ottobre con le illustrazioni, che di fatto “sono” il libro, di Elisa Seitzinger.
Ogni cosa si tiene perché ogni tassello rimanda a quello successivo e si collega con quello precedente, indietro fino a L’arrivo di Saturno e prima ancora a quanto scrisse Lara Manni. Ogni cosa si tiene, ma Nome non ha si tiene anche con Questo trenino a molla che si chiama il cuore, perché affonda le radici nelle Marche, nelle sue storie e nei sui miti, che non sono però solo miti del territorio. Riguardano anzi l’immaginario di tutti, si catapultano indietro fino al tempo delle dee, quando ancora nessun dio geloso era venuto a sostituirle. Riguardano quell’atto di fede che compiamo da bambini, quando crediamo al topino dei denti, alle fate, alla magia, e che spesso perdiamo da adulti. Tranne alcuni.
Come raccontò una volta Giorgio Fontana, c’è un aneddoto bellissimo che riguarda Yeats. Questo:
“Un giorno, durante il periodo delle sue approfondite ricerche sul folklore irlandese nel Connemara rurale, William Butler Yeats scoprì un tesoro. Il tesoro era una certa Mrs. Connolly, che possedeva il più magnifico repertorio di favole sulle fate in cui W. B. si fosse mai imbattuto. Sedette con lei nel suo piccolo cottage dal mattino al tramonto, ascoltando e registrando le sue storie, i proverbi e le tradizioni. Con l’avvicinarsi del crepuscolo, Yeats dovette accomiatarsi e si alzò, ancora emozionato per quanto aveva sentito. Mentre se ne andava Mrs. Connolly si mise sulla porta; arrivato al cancello, Yeats si voltò e le chiese tranquillamente: “Un’ultima domanda, Mrs. Connolly, se posso. Lei crede nelle fate?” Mrs. Connolly piegò la testa all’indietro e rise: “Oh, no, no davvero, Mr. Yeats, no davvero.” W. B. si fermò un attimo, si voltò e si avviò per il sentiero. Sentì allora la voce di Mrs. Connolly dietro di sé: “Ma ci sono, Mr. Yeats, ci sono.””
Ecco, la Sibilla c’è, che ci si creda o meno. E nella genesi di questo libro è intervenuta.
All’inizio del 2021, ma forse anche prima, Francesca Chiappa e Silvia Sorana, le mie meravigliose amiche libraie (Kindustria, a Matelica) ed editrici (Hacca) mi dicono che, insomma, non esistono molti libri sulla Sibilla Appenninica o Picena che dir si voglia: eppure la Signora del Monte Sibilla è al centro di infinite leggende, ha affascinato cavalieri e dame e librettisti e compositori e scrittori e poeti contadini. Esistono, certo, studi antropologici molto interessanti, come L’ultima Sibilla di Maria Luciana Buseghin o quelli di Giuliana Poli. Ma una storia?
Dunque, Francesca mi ha chiesto una storia. E io ci ho pensato e ripensato, perché non sapevo da che parte afferrarla, la Sibilla, e come far convergere in quella storia i miti e i luoghi, in modo che potesse essere anche un itinerario possibile. E alla fine mi sono detta che tutto doveva partire da Vallescura, o da Serravalle che dir si voglia, dove, nella chiesa di Santa Lucia, si nascondono le Sibille.
“Il potere, in questo momento, fa sì che il mondo degli incanti sospenda per un giorno e una notte le sue attività. Durante questo tempo i serpenti e i cavalli non avranno ali, le fenici riposeranno nei nidi di legno e resina, i cervi non porteranno messaggi celesti, le fate non danzeranno. Tutto si ferma nei luoghi della Sibilla, immobili fra i segni delle macerie sono Visso e Arquata e Montemonaco e Fiastra e Macereto e Montefortino e Pretare, attendendo questo momento, quando una vecchia automobile sobbalza e tossisce e infine si ferma e una ragazza di nome Camilla, con le sue due compagne, trova riparo nella piccola chiesa di un paese che si allunga fra le montagne”.
Tre ragazze arrivano, si fermano per un guasto alla macchina, incontrano Viola, una donna che vive in paese e che molto conosce. Viola imbandisce una cena a cui partecipano sette fra amici e amiche.
“Sette sono gli amici che servono le storie, perché sanno che consegnare ad altri una storia non significa solo mantenerla viva. Le storie vivono comunque: non ci sono abbastanza rovine e pietre e frane e ruderi e inghiottitoi per seppellirle, e sempre si apriranno fessure che ne condurranno la voce per il mondo”.
Cosa diranno i sette, più Viola, alle tre ragazze, e come quel che dicono verrà accolto, è cosa che chi legge scoprirà. Posso solo svelare, qui, che i sette sono veri, o per meglio dire si ispirano alle mie compagne e compagni di strada dai tempi del terremoto (e prima), con cui mi stringo anche a distanza quando parlo di Marche. Silvia Ballestra, Mario Di Vito, Alessandra Angela (che però qui ha un altro nome), Phil Connors (che qui ha un altro nome, ma tanto neanche Phil è quello vero), Valentina Marchionni, Maurizio e Michele Serafini.
Ma tutto quello che nel libro racconto, il mito, le dee, le streghe e le fate, i cavalieri che cercano la grotta, le sette chiese e le sette stelle, tutto questo non sarebbe che poca cosa senza le illustrazioni di Elisa Seitzinger, che ha dato forma e bellezza a quanto avevo pensato. Per questo dico che la Sibilla era all’opera: perché di rado mi è capitato di scrivere qualcosa che nasce da un intento comune, da un Ka-tet, direbbe King, che cammina insieme, mani nelle mani, verso un obiettivo comune.
E’ una piccola cosa, forse, ma ho amato scriverla, e mi auguro che amiate leggerla, ecco.
“Sono le 4 e 18 del mattino.
In questo preciso momento, in questa stessa strada,
sette persone diverse in sette appartamenti diversi
sono sveglie.”
Kae Tempest, Let them eat chaos