NOVE GIORNI FRA AGOSTO E SETTEMBRE

E’ uscito, in sordina, Omicidio di Stato di Nicola De Palo. Racconta la storia di Graziella De Palo e Italo Toni. Nicola aveva anticipato proprio su questo blog l’idea del libro. Leggetelo. Qui sotto, una parte della prefazione di Gian Paolo Pellizzaro.
“Così come documenta il diario tenuto da Giancarlo De Palo, il 22 agosto 1980 Graziella e Italo partono da Roma alla volta di Damasco con volo della Syrian Arab Airlines. L’OLP, tramite della delegazione palestinese di Roma (all’epoca con sede in via Nomentana), aveva fornito ai due giornalisti il biglietto aereo a costo ridotto e una prenotazione in un albergo di Beirut Ovest. Il 23 agosto, dopo aver pernottato a Damasco, proseguono per Beirut con un salvacondotto dell’OLP, necessario per entrare nella zona ovest della capitale libanese, sotto il controllo delle forze palestinesi. A Beirut Graziella e Italo vengono accompagnati all’ufficio stampa dell’OLP, dove si registrano in qualità di giornalisti ospiti della resistenza palestinese. Il capo ufficio stampa dell’OLP, Mahmud Labadi, e un sacerdote palestinese col quale si erano già incontrati a Roma, padre Ibrahim Ayad, provvedono a farli alloggiare, gratuitamente, in un albergo dell’organizzazione situato nella zona ovest della capitale libanese: l’hotel Triumph, di proprietà dell’OLP e sotto il controllo del servizio di sicurezza dell’organizzazione. Poco si sa sulla loro attività, i loro spostamenti e i contatti di Graziella e Italo nei nove giorni che vanno dal 24 agosto al 1° settembre, quando – per la prima volta – si recano presso l’ambasciata d’Italia a Beirut per segnalare la loro presenza in Libano. Quasi una richiesta d’aiuto, un segnale d’allarme per qualcosa che sembrava essere andato storto. Al primo consigliere Guido Tonini, che in quei giorni sostituisce l’ambasciatore Stefano D’Andrea in ferie, Italo Toni, nell’informarlo dell’intenzione di visitare le postazioni militari palestinesi nel Sud del Libano, avrebbe detto: «Se tra tre giorni non siamo rientrati in albergo date l’allarme, venite a cercarci». La mattina di martedì 2 settembre, vengono sequestrati appena usciti dall’albergo.
Rileva il giudice Squillante: «Sul mattino del 2 settembre 1980 i due giornalisti si sarebbero dovuti incontrare con appartenenti al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina»42. Questo l’epilogo, sul quale si infrange tutto il complesso meccanismo dei depistaggi volti a tutelare il «lodo»: «È decisiva al riguardo la dichiarazione – dettagliata epperò attendibile – resa da Rosa Lya. Questa deposizione, per essere la Lya una militante dell’OLP, costituisce un notevole contributo alla ricostruzione dei fatti. Essa, da tempo in Libano, spinta a parlare da un sentimento di pietà verso la disperata madre della De Palo, afferma che i due giornalisti, presi dai palestinesi, erano stati “processati” e “giustiziati”, e che Toni, interrogato dal servizio segreto dell’OLP, aveva ammesso di essere una spia. In particolare, la Lya precisa di aver appreso dai suoi compagni che i giornalisti erano stati prelevati all’albergo Triumph, per essere trasferiti a Sidone, dove erano stati uccisi e seppelliti». Ironia della sorte, Sidone era la città che dava il nome alla motonave che aveva trasportato in Italia i lanciamissili Sam-7 Strela, sequestrati a Ortona il 7 novembre ’79 e a causa dei quali era stato arrestato e condannato a sette anni di reclusione Abu Anzeh Saleh, l’uomo di Carlos a Bologna e capo del Fronte Popolare di Habbash in Italia.
La dignità, la responsabilità e la forza dimostrata dai familiari di queste due vittime della ragion di Stato costituiscono la prova più nobile del fatto che nel nostro Paese esistono e vivono dei cittadini che fanno della serietà e dell’onestà un principio di vita.
I fatti hanno la testa dura. L’Italia ha un debito nei confronti di Renata Capotorti, Giancarlo e Fabio De Palo, Aldo Toni e Alvaro Rossi che prima o poi dovrà essere onorato, in termini di verità e giustizia. A loro lo Stato dovrà dare, un giorno, una risposta e una tomba dove piangere i loro cari”.

8 pensieri su “NOVE GIORNI FRA AGOSTO E SETTEMBRE

  1. Scusa, Lippa, questo paese ha molteplici debiti verso i suoi concittadini. Cosa avrebbe dovuto fare per questi due in particolare? Erano sotto la protezione dell’Olp, l’Olp li ha “processati” e assassinati. Non mi risulta che alcun palestinese – appartenente a qualsivoglia organizzazione – abbia subito un processo per atti perpetrati in Italia contro cittadini italiani e stranieri. In questo caso cosa avrebbe dovuto fare l’ambasciatore?
    Buona l’idea del film, lo andrò sicuramente a vedere.

  2. Barbara, la storia di Graziella e Italo è molto più complessa di quanto traspaia dalle poche righe di questa introduzione. E’ connessa con molti altri irrisolti del nostro paese, dai servizi deviati al traffico d’armi. Leggi il libro, e ne riparliamo.

  3. L’ho appena ordinato e lo leggerò volentieri. Pero Lippa, ammetterai con me che il patto stipulato da Moro con le organizzazioni palestinesi non era proprio un segreto di stato -))) E mi pare di ricordare che è stato difeso in più di un’occasione come strumento di pacificazione nel vicino oriente! Detto questo mi taccio, fino alla lettura del testo. E, come ovvio anche se forse non si capiva bene, agli amici e ai familiari dei due giornalisti va tutta la mia solidarietà. E anche allo storico – non importa se imparentato con uno dei due – che ha avuto la pazienza, il coraggio di scrivere tesi e libro, procurandosi non poco mal di fegato temo.

  4. Mi pare di ricordare che per la storia dei missili di Ortona fu arrestato e processato Pifano oltre ad alcuni compagni dell’Autonomia romana.

  5. Sono Giancarlo De Palo, il fratello di Graziella. Intervengo appena dopo aver scovato l’uscita di questa nota sul tuo blog, cara Loredana. Hai subito mantenuto la parola che mi hai dato ieri su Facebook dopo il tuo post che annuncia l’uscita di OMICIDIO DI STATO e questo, va da sé, ti fa onore.
    Vorrei cominciare rispondendo alle osservazioni e alle domande di Barbara, ringraziando subito anche lei per aver ordinato il libro [da cui si potrebbe trarre un vero e proprio thriller, ma questo è un altro discorso…] non appena tu le hai chiesto di leggerlo per capire come stanno veramente le cose.
    Quanto al patto che il Presidente del Consiglio Aldo Moro incaricò il SISMI, all’epoca il nostro servizio segreto militare, di stipulare con l’ OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat, è vero, come sostiene Barbara, che esso fosse un segreto di Pulcinella per i meno sprovveduti: io stesso mi accorsi fin dall’inizio delle mie ricerche di Graziella e Italo di essermici trovato invischiato. Per questo cominciai a registrare di nascosto tutti i miei incontri con coloro ai quali ero costretto a rivolgermi per ottenere la liberazione almeno di Graziella. Infatti la notizia della fine di Italo era stata data, proprio da un palestinese, ad un sindacalista amico di Alvaro Rossi, il cugino di Italo Toni che si era fatto carico della vicenda per conto del padre e del fratello del giornalista, e che, a differenza di questi due, risiedeva a Roma, che era la base dove venivano convogliate le informazioni provenienti da due indagini parallele, giunte nell’arco di poche settimane a due conclusioni che divergevano in modo radicalmente opposto nelle loro conclusioni.
    Infatti l’ambasciatore italiano, Stefano D’Andrea, aveva comunicato da Beirut di essere a conoscenza perfino dei nomi degli agenti palestinesi che avevano sequestrato Graziella e Italo in un telegramma che sarebbe stato occultato per sempre, se la manzoniana Provvidenza non l’ avesse fatto consegnare a mia madre e a me dall’ignaro ambasciatore Francesco Lucioli Ottieri, durante il nostro primo viaggio a Beirut, che risale solo al marzo 1981, quando ci decidemmo finalmente a rompere gli indugi e a sfidare gli “ordini superiori” del nostro Ministero degli Affari Esteri che volevano a tutti i costi impedirci di partire. Infatti nel frattempo le autorità italiane investite del caso avevano costruito sulle loro scrivanie romane una versione dei fatti specularmente opposta alla verità. Solo tutto questo ha reso possibile la surreale frase pronunciata dal Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani all’esordio dell’udienza concessa a mia madre Renata, mio padre Vincenzo ed a me: “Signora, sua figlia è viva, prigioniera dei Falangisti!”. Aggiungendo subito dopo, quasi si sentisse, lui democristiano, quasi chiamato in causa per via della fede comune: “Sa, quelli si dicono cristiani, ma non lo sono mica…”. Infine, forse per risolvere la contraddizione, si inventò la promessa che avrebbe almeno pur dovuto sapere di non poter più mantenere: “Comunque, blandendo e minacciando, riusciremo a farcela ridare.”
    E a questo punto mi taccio io, anche per non diventare ancor più invadente di quanto sono stato fin qui.

  6. Vorrei ringraziare Giancarlo De Paolo per la pazienza nella risposta. Non deve essere facile quando si è coinvolti personalmente. A mia personalissima memoria – che vale come il due di coppe in casi come questo – ricordo il tentativo di screditare sia Graziella sia Italo come giornalisti nel brevissimo periodo in cui si parlò pubblicamente della faccenda. Non vorrei sbagliare ma anche Biagi non fece una gran figura indicando i due, soprattutto Graziella come una sorta di “ragazza alla sbando” invece che come una professionista a cui era capitata una brutta storia. Anch’io mi taccio per non invadere ulteriormente questo spazio. Grazie ad entrambi.

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