NUOVI (VECCHI) DETTAGLI

Dettagli, sempre dettagli. Quelli che fanno spesso gridare all’ossessione, alla paranoia, al veterofemminismo d’accatto. Eppure i dettagli contano. Contano per tante donne, per fortuna. Come la lettrice che mi ha scritto ieri questa mail:
“Volevo raccontarti (segnalarti) quello che è mi successo ieri sera, 22 dicembre, alla stazione Ferrovie Nord di Bovisa (Milano). È una piccola cosa, ma mi ha rattristato e confermato ancora una volta dello scarso rispetto che l’Italia ha, nei fatti e anche a parole, per noi donne.
Erano circa le sei di sera. Mi sono seduta ad attendere il treno su una panchina davanti al tabellone delle partenze. A fianco, immancabili, gli schermi televisivi che ormai invadono tutte le stazioni delle Ferrovie Nord. Trasmettono pubblicità più qualche informazione di servizio e qualche ridicolo contenuto autoprodotto dalle Ferrovie Nord, come l’immancabile “Frase del giorno”. Ieri sera era il bel faccione di Albert Einstein a campeggiare sullo schermo, l’autore della “Frase del giorno”, che diceva più o meno: “Il centro di produzione delle donne non è il cervello”. È un’approssimazione perché la frase non me la ricordo a memoria, ma il senso sì, ed era quello. Io l’ho trovata fortemente offensiva, una frase dal contenuto sessista e misogino che non fa altro che confermare uno stereotipo purtroppo ancora vivo nella società italiana che vorrebbe la donna a casa a sfornare bambini e basta.  Era una frase che non andava trasmessa a mio parere su un circuito pubblico, anche se misero come quello delle Ferrovie Nord e anche se a dirla è stato Albert Einstein. Ho mandato una mail di protesta firmata a Ferrovie Nord (http://www.lenord.it/assistenza_clienti/reclami.php), alla quale naturalmente non ho avuto né avrò, risposta. Credo però che in casi come questo, grandi o piccoli che siano, protestare sia non solo utile ma doveroso. Grazie di tutto”
I dettagli fanno un insieme. Che ci crediate o no, o comunque la pensiate, Buon Natale.

109 pensieri su “NUOVI (VECCHI) DETTAGLI

  1. Così, come un pensiero di fine d’anno. La strada è ancora lunga e il rischio del ritorno indietro è sotto gli occhi, ogni giorno. Però ogni tanto è salutare pensare a chi ha combattuto e vinto. Se non altro per sostenere con forza altre battaglie, vecchie e nuove.

  2. @zauberei: ti chiedo scusa per non aver specificato. La discussione è stata poco brillante perchè c’è stato chi – francamente non ricordo chi e non ho voglia di rileggere – impugnava il dato della scienza naturale in modo provocatorio, metodologicamente fuori d’ogni grazia divina, e giusto per tirare acqua al suo mulino di polemica professionale. E’ stato questo atteggiamento alla Sgarbi (gl’internauti dicono: trolling) a farmi perdere interesse, e non il tuo.
    Ancora sul voto: la condizione sociale è invece il nucleo del discorso “perchè no voto alle donne”. Gli argomenti che venivano portati contro l’estensione erano sostanzialmente omologhi a quelli che avevano fondato la riforma per censo (ricordiamolo: fino al 1912 votava circa il 7% della popolazione italiana [quindi ad essere esclusi non erano “alcuni” uomini, ma in pratica tutti), e che erano tipici della mentalità borghese della classe dirigente.
    Quando nel ’12 Turati propose l’emendamento alla legge elettorale per estendere il voto alle donne, Giolitti rispose un secco no perchè sarebbe stato “un salto nel vuoto”. Conoscendo già l’opinione dello statista di Dronero in merito alla legge elettorale che era stato costretto ad approvare non ho difficoltà a pensare che fosse un “no” dettato più dal background suo e della maggioranza che lo sosteneva, piuttosto che dalla misoginia. Ed infatti nella relazione della commissione parlamentare che Giolitti istituì per studiare la possibilità di allargare il voto alle donne, l’argomento portante era sostanzialmente la condizione sociale della donna che la rendeva inadatta ad assumersi la responsabilità del voto. In più, fuori dei corridoi istituzionali, ci fu il calcolo politico che spingeva Giolitti ad arginare il crescente movimento cattolico, che sarebbe stato ulteriormente rafforzato dall’estensione anche solo numerica dei voti.
    Le perplessità vennero superate soltanto dopo la WW I, quando moltissime donne erano state chiamate a sostituire gli uomini nel lavoro.
    Infatti un altro dato forse poco noto, ma essenziale ai fini del discorso, è che nel 1919 – l’anno del suffragio universale maschile – la riforma per estendere il voto alle donne era stata già approvata. Dalla Camera. Ma prima dell’approvazione al Senato, come ricordavo, ci furono la questione di Fiume e la caduta del Governo ed il conseguente scioglimento delle camere che le impedirono di diventare legge. Il disegno fu ripresentato nella legislatura successiva, incassò ancora il sì della Camera, ma di nuovo al momento di passare al Senato la Storia si mise di traverso: stavolta con la faccia di Mussolini.
    La misoginia giocò probabilmente un ruolo, non si può escludere; però farne la ragione principale e nascosta vuol dire – senza fare troppi giri di parole – presupporre ciò che si vuol dimostrare. Altri più ferrati di me in logica sapranno sicuramente dare il nome latino a questo tipo di errore.
    Sull’argomento posso indicare soltanto un paio di testi che ho letto qualche anno fa, piuttosto conosciuti:
    – A. Galoppini, Il lungo viaggio verso la parità. I diritti civili e politici delle donne dall’Unità a oggi
    – J.S. Mill, The Subjcetion of Women (non so se esiste una versione italiana; io ho solo quella della Penguin con “On Liberty”).
    Ciao a tutti(e)

  3. Favoliere, la tua esposizione dei fatti è inappuntabile.
    Stiamo parlando di esclusioni. La realtà è che pochi votavano, e che moltissimo venivano esclusi dal voto.
    Il punto è che delle donne ‘tutte’ venivano escluse, degli uomino solo una parta, una parte molto sostanziosa, ma solo una parte.
    In questo piccolo ‘dettaglio’ io ci vedo una questione di genere, che magari non è palese nelle discussioni parlamentari, ma che c’è.
    Perché la discriminazione sociale che sembra accomunare la gran parte degli uomini esclusi dal voto e tutte le donne ha ragioni e motivazioni diverse per gli uni e per le altre. Quelle ragioni non nascono al momento di quella discussione, ma sono a monte, questo non vuol dire però che non abbiano alimentate quelle discussioni.
    Tutto sta in quale punto si vanno a situare le ragioni delle discriminazioni. Se vuoi situarle nel periodo in cui furono discusse quelle leggi, puoi pure dire che molta parte degli uomini e tutte le donne erano discriminate per le ‘stesse’ ragioni.
    Io però non la metterei così.

  4. Mi sono resa conto di essere stata un po’ involuta.
    Il nocciolo è mio discorso è questo: “la condizione sociale della donna che la rendeva inadatta ad assumersi la responsabilità del voto” (condizione sociale assimilabile a quella degli uomini perché i criteri espliciti di esclusione erano più o meno gli stessi) era stata determinata dal fatto di essere donna, ‘femmina’. E infatti TUTTE le donne erano escluse.
    Quella ‘stessa’ condizione sociale era stata determinata per gli uomini che la subivano per molte ragioni ma certamente non per il fatto di essere uomini, ‘maschi’. E infatti solo una parte, notevolissima, degli uomini erano esclusi, ma NON-TUTTI.
    E nelle discussioni politiche e parlamentari sul voto alle donne riaffioravano, in modo più o meno sotterraneo, le motivazioni di stampo misogino per cui la donna da secoli pativa quelle condizioni sociali.

  5. Scrive Valeria:
    “E questo mi capita da sempre, per cui i miei libri sono martoriati da segnacci di pennarello rosso e da punti esclamativi ogni volta che mi imbatto in una frase o in una argomentazione misogina. Cosa che, mi pare, a voi uomini non capiti.”
    Valeria, non sono “voi”. Io sono io. Sono un individuo, nessuno è uguale a me. Il “voi” lo usavano i fascisti. Lasciami fuori dal tuo “voi” per favore. Non ho bisogno di appartenere a una categoria per essere qualcuno.

  6. Valeria, immaginavo il sostrato del tuo ragionamento e avevo interesse a farlo emergere per distinguerlo dalle “ragioni di esclusione dal voto delle donne”: che la disuguaglianza sociale (condizione presupposta dell’esclusione dal voto) fosse l’isolamento della donna ad una condizione di inferiorità generica (condizione pre-presupposta) è argomento connesso ma diverso da quello delle “ragioni di esclusione dal voto delle donne”.
    La risposta a “ragioni di esclusione dal voto delle donne” è: in maggioranza le donne erano escluse dal voto perchè – in termini generali e generici – non partecipavano alla vita pubblica. Stop.
    Perchè non partecipassero alla vita pubblica, e quanto di questa non partecipazione derivasse dalla consuetudine sociale, e quanto di questa consuetudine sociale non derivasse dalle circostanze materiali di povertà in cui si versava nell’Italia – soprattutto meridionale – dell’epoca, ma piuttosto dalla minorità intrinseca erroneamente attribuita alla donna dall’universo maschile dominante, è un’altra questione. Interessante, basilare, quel-che-si-vuole, ma diversa.
    Inoltre non credo sia stato un caso che l’estensione del voto alle donne abbia rischiato di diventare legge nello stesso anno e con la stessa maggioranza parlamentare che aveva abolito le restrizioni di censo e/o scolarizzazione. L’estensione fu per metà approvata in un Italia diversa da quella definita comunemente “liberale”, dove anche i partiti di stampo cattolico-conservatore (PPI) portavano nei punti programmatici l’estensione del voto alle donne (siamo sempre nel 1919).
    E’ chiaro che questo è un discorso limitato e limitante, ma penso sia la risposta più corretta alla questione sul non voto della donna.
    Se quindi si vuole tracciare un profilo della donna sottomessa partendo dalla legislazione positiva, credo sia meglio prendere spunto e premessa altrove, nei punti dell’ordinamento in cui discrasia fra maschio e femmina è stata più evidente (uno per tutti: l’impossibilità della donna a ricoprire alcuni incarichi pubblici; art. 7, l. 17 luglio 1919, n. 1176).

  7. @Andrea Barbieri. Correggo ‘a voi uomini’ con “a moltissimi di voi uomini, a quanto mi è dato di constatare”. E mi pare di poter dire anche che senza lo sguardo e la voce delle donne una questione di genere non sarebbe mai stata posta, nonostante stesse nei fatti. Oppure no?
    .
    @Favoliere. La stessa cosa che ho detto ad Andrea posso ripetere a te. Quando si parla di eslcusioni si finisce sempre per imbattersi in scatole cinesi.
    Davanti alla grande scatola ‘Voto alle donne’ la questione storiografica può essere posta, in modo neutrale, come la poni tu. Ed è, come ho già riconosciuto, ineccepibile.
    Quando si va ad aprire la scatola e vedere le altre che ci stanno dentro, la questione si può pure porre, credo (e se non lo avessi creduto, non lo avrei fatto), come la pongo io. Anche perché da quelle scatole interne, come ho già detto, uscivano fuori molti degli argomenti di stampo, per me donna, francamente misogino, che si portavano a sostegno dell’esclusione dal voto delle donne.
    Non mi pare che questo vada a contraddire o negare quello che dici tu.
    Il tuo e il mio sono due sguardi diversi sulla questione.

  8. No, non è la stessa cosa. Non puoi metterla sullo stesso piano e farla finire con: so’ punti di vista.
    La domanda – retorica – era: “Qualcuno ha presente le motivazioni con cui si è impedito alle donne di votare?”.
    La risposta è: “Sì, e non c’entrano con la misoginia; fuori della porta del voto c’era il 93% della popolazione italiana, di cui solo poco più della metà – spannometricamente – era di genere femminile. Ergo molto probabilmente in quel caso hanno giocato ragioni più grandi e distinte dalla questione di genere; ragioni che hanno a che vedere più con l’idea di intendere la partecipazione alla res publica che con il fatto di essere donna”.
    Poi tu dici: “Okkei, d’accordo; però comunque la donna era tenuta fuori della partecipazione in quanto donna, quindi comunque la questione di voto è misogina. Alla fine è un po’ come una scatola cinese.”
    Risposta: “La scatola cinese la trovi se la vai a cercare; se ti limiti a rispondere alla domanda non trovi nessuna scatola.”
    Scusami valeria (sinceramente), non voglio sembrarti didascalico perchè non penso tu ne abbia bisogno e in più mi sembra di dir l’ovvio, ma tutti i fenomeni umani hanno ragioni composite, ciascuna delle quali ha altrettante ragioni composite. Se scegliamo a priori una di queste ragioni possiamo star sicuri che il fenomeno sarà spiegato alla luce di questa.
    Chi voglia inveire contro la religione può tranquillamente far risalire la questione del nonvoto alla religione: erano infatti le scritture sacre a stabilire l’inferiorità e la soggezione della donna all’uomo (oltre che un bel gruzzolo di encicliche papali a rifiutare seccamente i diritti fondamentali dell’essere umano, fra cui non ultimo quello di partecipazione politica democratica). Quindi la questione di genere diventa una questione di fede: se ci si fosse emancipati dalla fede, l’emancipazione della donna sarebbe seguita automaticamente, e così l’allargamento del diritto di voto.
    E via discorrendo.
    Da qualche parte un punto bisogna pur metterlo; ed è meglio metterlo subito dopo una risposta abbottonata. Altrimenti si può arrivare praticamente dove si vuole.
    Per cui, se sei d’accordo, la chiuderei qui.
    Ed in sintesi, a scanso d’equivoci: la donna *era* emarginata, ma l’esempio del nonvoto scelto non è idoneo a rappresentarlo.

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