PARLARE DI EDUCAZIONE DI GENERE CON LA VELA SULLO SFONDO

Mi capita spesso di viaggiare nei luoghi di confine: fisicamente, oltre che metaforicamente. Le mie Marche lo sono, per esempio. Lo è anche  la Borgata Finocchio, o Finocchio e basta, come si chiama a Roma, perché pare che nei tempi antichi, quelli dove i confini venivano tracciati,  quando i romani attraversavano le campagne per portare guerra o le campagne venivano attraversate da chi portava guerra ai romani, fossero stati eretti edifici di culto nel luogo dove il finocchio cresceva rigoglioso.
Qui fino a qualche tempo fa c’era il palazzone fatto costruire da Enrico Nicoletti della banda della Magliana, poi confiscato, poi demolito su iniziativa di associazioni per la legalità.  Qui, o per meglio dire un po’ prima di qui, a Tor Vergata, svetta lo scheletro della Vela di Calatrava, uno dei mostri della capitale corrotta-nazione infetta.
Qui sono stata ieri, nel primo degli incontri con insegnanti e genitori ideati da Zeroviolenzadonne e resi possibili dall’8xmille della Tavola Valdese (e mai come ieri sono stata orgogliosa di aver da sempre devoluto a loro il mio 8xmille, e il mio 5xmille ad Amnesty International, ogni anno da decenni). Perché sono incontri indispensabili, per chi li tiene e, mi auguro, utili per chi partecipa.
Si è parlato di media, di pubblicità, di regenderizzazione (messa in pratica per vendere, non per filosofia o per ideologia: i target diversificati creano consumatori fedeli, punto), di Internet. Ma non di cyberbullismo oddio che paura, bensì di bambine piccole che postano su YouTube tutorial su come truccarsi per il primo giorno di scuola alle medie, ed è certamente un gioco innocente, ma intanto ecco il copriocchiaie (a dieci anni) mostrato in favore di camera, la marca bene in vista, e quanto tempo passerà prima che YouTube inserisca qualche pubblicità o che l’ufficio marketing del copriocchiaie arrivi a quel video?
Si è parlato di libri di scuola, giocattoli, di adulti che usano i social senza rendersi conto che la parola scritta è parola pubblica. Si è parlato di associazioni che organizzano corsi di uso consapevole della rete e poi mollano insegnanti e alunni dopo la prima apparizione. Si è parlato di cosa avviene negli altri paesi: giusto in questi giorni, per inciso, The Independent ha deciso di non dare spazio a libri per ragazzi gender-specific, mirati solo a maschi o femmine (e che gli dei rendano loro merito: immaginate se lo facesse una testata italiana).
Si è parlato infine, del fatto che una legge sull’educazione sessuale e affettiva non c’è, e che finché non c’è non è possibile organizzare nulla che non sia “sperimentale”, e anche in questo caso lo si fa con grande diffidenza da parte dei genitori (spesso), e con gli anatemi dell’Avvenire e dei Costanza Miriano-fan nei confronti degli sciupafamiglie.
Non fosse chiaro, senza questa legge non si fa un solo passo per superare discriminazioni, disuguaglianze, frustrazioni da abbandono, violenza. Perché si parte da qui. Si deve partire da qui. Dalla scuola e nella scuola: e ogni volta mi chiedo come sia possibile non capirlo, o non volerlo capire.

11 pensieri su “PARLARE DI EDUCAZIONE DI GENERE CON LA VELA SULLO SFONDO

  1. Dalla scuola e da altri luoghi para-educativi dove la presenza dei cittadini è composita, varia e attraversa vari stadi generazionali. Partire dalla scuola, laddove ci sia ancora un rapporto ed un riconoscimento delle sue funzioni pedagogiche ed educative, è fondamentale. Ma è anche fondamentale che gli adulti, nella profondità e complessità del termine, abbiano il coraggio e la forza di rappresentarsi.

  2. Non credo che una legge risolverebbe alcunché. Metterebbe solo a posto qualche coscienza con il ‘quarcosa avemo fatto, embè?’
    Bisognerebbe invece trovare un sistema per far depositare (o ridepositare), lentamente ma indelebilmente, nelle coscienze che questo è un paese anche per vecchie, per vecchi, per bambini, per rom, per musuilmani, per cristiani, per… per… per…
    Chi scrive si accontentere, al momento, almeno di un segnale di controtendenza della controtendenza.
    Con simpatia.

  3. Roberto, una legge permetterebbe di inserire educazione sessuale, al genere all’effettività nei piani di offerta formativa, e non lasciarla alla buona volontà dei singoli. 🙂

  4. ciao Loredana, grazie di questo ennesimo post sull’argomento. Purtroppo non solo non c’è una legge che faccia includere nei Piani di offerta Formativa delle scuole italiane di tutti i livelli l’educazione all’affettività e al genere, ma in Italia anche i tentativi di formare gli adulti di riferimento, genitori ed educatori, raccolgono critiche generalmente feroci accanto a pochi, sensati, entusiasmi. Vedasi come è andata per gli opuscoli di Educare alla diversità qui http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html
    Quindi, insistere nell’organizzare e diffondere momenti di discussione e formazione è una priorità assoluta.
    Domani c’è questa iniziativa, a Roma, siete tutte e tutti invitat*
    https://www.facebook.com/events/226606604200021/
    E’ il primo di una serie di incontri promossi dal comitato dei genitori in collaborazione con la coop BeFree e l’associazione Scosse

  5. Ho letto l’articolo che hai linkato dell’Independent, quasi piangevo per la contentezza. Spero che presto potrò leggere parole simili su un qutodiano italiano, però già oggi mi sembra una bellissima giornata. Grazie di avere condiviso questa notizia!

  6. L’educazione di genere, l’educazione sessuale, l’educazione ai sentimenti, sono fondamentali.
    I giovani e ancor di più i giovanissimi, si fanno domande e non trovano risposte. Non sanno a chi rivolgersi. Non riconoscono modelli a cui riferirsi. Hanno tanta confusione e il contesto familiare e scolastico, i media e la cultura in cui sono calati non aiutano.
    L’AIED – Associazione Italiana per l’Educazione Demografica ha quasi 60 anni e da sempre sostiene che queste attività nelle scuole siano necessarie per una società civile.
    E’ un diritto dei giovani avere risposte. E’ un dovere delle istituzioni dare informazioni corrette e complete.
    Oggi i corsi sono sempre meno frequenti a causa del taglio dei fondi all’istruzione, bisogna denunciarlo e obbligare “chi decide” a darci attenzione.
    L’obiettivo dell’AIED di Roma è spingere ad una lettura critica dei messaggi collettivi, smontare gli stereotipi, discutere insieme agli studenti dell’immagine proposta dell’uomo e della donna e della relazione uomo-donna.

  7. Credo che la scuola debba fare molto x far crescere la nostra gioventù. Viviamo in una società in cui troppa spazzatura diventa “essenziale”, dove alcuni genitori sono succubi dei falsi messaggi che vengono dai media. Attenzione è dovere dei nostri governanti far leggi che diano più formazione agli insegnanti affinchè acquisiscano conoscenze x far fronte alla complessità della società che cambia. Vivo in un quartiere popolare, da sempre cerco di non arrendermi ad una realtà dove violenza, bullismo, modelli stereotipati di maschi e femmine in cui una pseudo educazione patriarcale la fa da padrona, so x esperienza che i giovani hanno un enorme bisogno di essere accolti ed avere dei modelli sani come esempio. Spero che Loredana ed altre persone di buona volontà siano dei buoni tam tam. Dobbiamo cambiare le cose, ed ognuno di noi e invitato a fare la sua parte

  8. “Qui sono stata ieri, nel primo degli incontri con insegnanti e genitori ideati da Zeroviolenzadonne e resi possibili dall’8xmille della Tavola Valdese (e mai come ieri sono stata orgogliosa di aver da sempre devoluto a loro il mio 8xmille, e il mio 5xmille ad Amnesty International, ogni anno da decenni)”.
    .
    Hai ragione in fatto di 8X1000.
    http://temi.repubblica.it/micromega-online/8-per-mille-la-chiesa-cattolica-miracolata-dalla-stato/

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