PERCHE' IL RAPPORTO NIELSEN SULLA LETTURA DEVE FARCI PAURA

Il rapporto Nielsen sulla lettura diffuso ieri mattina è uno dei più drammatici degli ultimi anni, che lo si voglia o no. Non è sorprendente, come vedremo, e magari il grido d’allarme doveva venire prima e venir accompagnato da contromisure sensate sulla promozione della lettura, su una progettazione editoriale non esclusivamente legata al fiuto dei direttori commerciali e marketing, su una politica inclusiva di costo del libro, valorizzazione delle librerie, lotta al monopolio, opposizione ai vincoli europei sull’IVA sugli ebook, e molto altro.
In breve, per chi avesse perso i dati. Nel triennio 2011-2013 calano sia i lettori (dal 49% al 43% della popolazione) che acquirenti (dal 44% al 37%). Quel 37% ha acquistato almeno UN libro. I lettori forti fanno la parte del leone: il 4% della popolazione ha acquistato il 36% delle copie vendute nel 2013. La maggior parte di quel 37% è diplomato o laureato, vive al Nord o al Centro, è donna (il 41% contro il 33%).
Inoltre. La pesca con le bombe inaugurata tre anni da Newton Compton ha portato a un risultato prevedibile, anche qui, e che non necessariamente ha a che vedere con la crisi economica, ma con l’idea che un libro è qualcosa che si deve e si può pagare poco. Dunque, più della metà dei libri acquistati è compresa nella fascia di prezzo medio-bassa: il 28% riguarda i titoli sotto i 5€, il 31% quelli tra i 6€ e i 10€.
E’ vero, aumentano i volumi in prestito: il 43% della popolazione ha letto almeno un libro (22,4 milioni di lettori, per un totale di 153 milioni di copie lette). Ma si cala, a precipizio. E si sapeva. Qui i dati
ANNO LETTORI ACQUIRENTI
2011 49% 44%
2012 46% 41%
2013 43% 37%
Calano drammaticamente i lettori giovani: dal 70% al 60% nella fascia 14-19 anni, dal 52% al 40% in quella 20-24. A crescere sono i lettori ultrasessantenni: dal 33% nel 2011 al 38% nel 2012 al 39% nel 2013.
Calano i laureati
ANNO LIC. ELEMENTARE LIC. MEDIA DIPLOMA LAUREA
2011 30% 47% 59% 75%
2012 32% 45% 54% 69%
2013 29% 42% 49% 60%
Infine, gli ebook crescono, ma non abbastanza da compensare i dati precedenti: crescono acquirenti (+14% rispetto al 2012) e lettori (+17%).
Davanti a cifre di questo tipo, c’è una prima considerazione da fare che sembra circoscritta a un settore: ma dal momento che quel settore ha fin qui, con tutti gli errori che si vuole, tenuto in piedi un sistema, la considerazione va fatta lo stesso. Il mondo dell’editoria rischia l’osso del collo: avviene da anni, ora non è smentibile. E non rischiano solo i manager (che forse non rischiano affatto, a ben vedere): rischiano editor, traduttori, librai, uffici stampa, tutta la cosiddetta filiera. Probabilmente per chi non vede l’ora di ballare sui cadaveri della “vecchia casta” del libro in favore delle magnifiche, progressive sorti del self publishing, questa è una buona notizia. Ma sugli esigui guadagni derivanti dal self publishing (per chi scrive, non certo per Jeff Bezos) si è scritto talmente tante volte che mi annoio da sola a ripetermi.
Ma poniamo che quel mondo debba comunque finire, e che gli scrittori dovranno fare a mano di anticipi e royalties. Molti se ne infischiano, diciamo la verità. Anzi: molti pensano che sia il momento di spazzare via quello che ieri, su Twitter, è stato definito “gotha intellettuale”, che ciarla col mignolo alzato mentre  ” io me spacco er culo 12 ore al giorno” (cit.)  e in spregio a chi  “per aver caricato sulle spalle 400 Kg di calcestruzzo o calcinacci, crepa per sonno” (cit. pure questo).
E qui siamo a un discorso già fatto, di nuovo: c’è stato un momento in cui, in questo paese, chiunque si occupi di pensiero e, sì, anche di libri, è stato identificato (da destra e da sinistra, da sopra e da sotto) come un parassita della società, come  qualcuno che non si occupa dei problemi VERI, e che ovviamente passa il tempo sui soliti divani di vimini delle solite terrazze romane.
Ammettiamo che sia vero (e non lo è se non in una parte così risibile e ininfluente che viene buona sono per le parodie e i pettegolezzi su twitter). Non è il presunto potere di quel presunto gotha che dovrebbe riguardarci. E’ il potere della lettura.
Se diminuisce la capacità di lettura, siamo spacciati. “Esagerata”, brontolava uno scrittore nella serata social di ieri.  E allora ritiriamo fuori Tullio De Mauro, certamente esageratissimo, che da anni ripete quanto segue:
“Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”.
Sono le stesse cose che ci ha rimproverato l’Unione Europea, come detto in un post di pochi giorni fa. Perdere la capacità di lettura significa perdere la capacità di essere cittadini.
Ieri, su twitter, ho discusso con Luca Sofri su questo punto. La posizione di Luca Sofri è nota da diverso tempo: su Wittgenstein ha già parlato della marginalità crescente del libro in questo post. Non sono d’accordo (pazienza): su qualsiasi supporto, cartaceo o digitale, il libro permette una complessità linguistica e soprattutto la possibilità di far propria quella complessità che siti, blog, filmati su web non consentono ancora. Mani avanti: non sto dicendo che il web sia superficiale e che il libro “in generale” non lo sia: ci sono libri (tanti) che non competono, quanto a intelligenza e profondità, con molti post. Ma il web non è sostitutivo del libro, così come il libro non lo è del web (ancora con gli apocalittici e gli integrati, cinquant’anni dopo? No, dai). E se non ci sono le competenze di lettura (dai libri, dalla scuola, negli anni della scuola e dopo), quale web si frequenta?
Sto dicendo, insomma, che se la competenza degli italiani in fatto di lettura è minima (vedi Tullio de Mauro) e che quegli italiani comprano e leggono libri in misura sempre minore (vedi Nielsen), non credo affatto che si riversino in massa in rete a leggere dotte dissertazioni, o anche dissertazioni non dotte, o anche luminose spiritosaggini. Leggono (probabilmente, perchè qui non ci sono, che io sappia, dati) status, tweet, guardano filmati, ascoltano musica, scaricano serie televisive. Tutte cose belle, buone e giuste. Ma, ancora una volta, non sostitutive di un libro.
Che poi dentro la parola “libro” ci siano anche e spesso solenni porcherie, siamo tutti d’accordo.  Ma servono anche quelle: purché, certo, non si finisca a pubblicare solo quelle sperando che seducano un non lettore che è altrove. E non sono convinta che quell’altrove serva a diventare un paese migliore.

45 pensieri su “PERCHE' IL RAPPORTO NIELSEN SULLA LETTURA DEVE FARCI PAURA

  1. Solo ieri mattina in metropolitana, prima di arrivare in ufficio, leggevo un articolo di un vecchio numero de “L’indice”, in cui Vincenzo Viola recensisce Roberto Ippolito e il suo “Ignoranti”. Parliamo di un saggio in cui partendo dai dati offertici nel 2011 da Tullio de Mauro arriviamo ad oggi e io, 35 anni, amante fedele della letteratura e della lettura ho avuto i brividi. Non mi pareva possibile credere che circa il 5% della popolazione non sia in grado di leggere, scrivere o riconoscere cifre, non potevo accettare che in Italia, il mio paese, circa 800.000 ragazzini non preseguano oltre le scuole medie… e invece pare che debba ricredermi, il che non significa non restarne scioccata. Ricordo ancora il primo libro che ho letto, la magia, l’esaltazione, la voglia di arrivare alla fine per capire come sarebbe andata. Ammetto però che per me non si trattatava solo di quello, in effeti c’era di più e c’è ancora di più… Nella lettura c’è sempre stata per me l’evasione, la possibilità di essere in posti diversi, di essere persone diverse: a volte ero Jo, altre ero Mary nel giardino segreto… e così via. Non pretendo che tutti abbiano lo stesso amore per la lettura che ho io o che altri hanno, non pretendo nemmeno che tutti preferiscano stare raggomitolati sul proprio divano a capire se Gordie, Chris e gli altri troveranno il cadavere o meno, però pretendo di vivere in un paese civile, in un paese in cui ogni cittadino abbia almeno gli strumenti base per sopravvivere. Quando vengo a scoprire che nelle biblioteche tengono corsi per imparare a scrivere a curricula o lettere di presentazione, quando amiche insegnanti mi raccontano che i ragazzi scrivono ormai tutto come fosse un sms o una chat, o quando leggo questi articoli mi viene sempre in mente la scena di quel film di Totò in cui un poveretto va a farsi scrivere una lettera… e ora mi chiedo che differenza c’è? Anni fa essere istruito, parlare bene, possedere un vocabolario di più di 300 parole sarebbe stato motivo di vanto, oggi quasi quasi ti vergogni a usare certi termini e quando lo fai c’è sempre qualcuno che ti dice “Oh ma ce la fai? ti sei mangiato un vocabolario? “.
    Mi pare che si viva in una sorta di irrealtà a metà strada tra 1984 di Orwell e Fareneheit 451, il peggio è che mi sento impotente, che non so come rendermi utile per difendere un valore e un diritto che dovrebbero essere intoccabili.

  2. “se la competenza degli italiani in fatto di lettura è minima” e in più ci mettiamo scarse abilità matematiche e una ignoranza scientifica imbarazzante… “non credo affatto che si riversino in massa in rete a leggere dotte dissertazioni” no infatti, leggono il blog di Beppe Grillo, e tanti altri siti/blog/quotidiani che spacciano le peggiori bufale complottiste, pseudoscientifiche, superstiziose ed ecco che ce li ritroviamo in piazza a protestare perchè il metodo Stamina è stato bloccato, o a chiedere di abolire le vaccinazioni obbligatorie, ce li ritroviamo in parlamento ad approvare leggi irrazionali e oscurantiste con il plauso “dellaggente”. la cosa è ben più grave di quello che sembra e non riguarda solo la “lettura” in senso stretto. si chiama arretratezza culturale e il nostro paese purtroppo ne è vittima da molti anni ormai.

  3. “in Tv c’è uno scandalo perchè hanno mostrato la testa tagliata del poliziotto. Ma non è per la pettinatura.”
    “alcune persone dicono che sono avanti. Lo dicono soprattutto perchè pensano che io sia piccolo per sapere parole difficili. Alcune della parole difficili che so sono: sordido,nefasto,lindo, patetico e fulminante:”
    Juan Pablo Villalobos – il bambino che collezionava parole

  4. Un paio di domande, da forte lettore e acquirente di libri, che non vogliono in alcun modo sminuire le tesi di fondo del post, ma si interrogano, forse troppo ingenuamente e senza le competenze adeguate, sulla fase di pianificazione dello studio e “pre-processing” dei dati ottenuti:
    a)nello stilare il rapporto, cui ho avuto accesso solo indirettamente e in maniera mediata, oltre alle vendite e ai prestiti bibliotecari si è tenuto conto del “sommerso”, tra gli stimatori o tra i “correttori” dei dati ottenuti valutando le sole vendite? Mi riferisco soprattutto alle pratiche più o meno legali di accesso gratuito ai libri digitali/zzati, allo scambio/vendita di usati su circuiti quali eBay o Anobii etc, al Book-crossing e similia, che in tempi di magra come quelli che si stanno attraversando avranno pure avuto un incremento (oppure no? Non conosco studi/indagini tesi a valutare le reali dimensioni di questo “mondo parallelo”)
    b) si è considerato che l’acquisto di un libro può non coincidere con la sua immediata fruizione? Un esempio pratico: in periodi dove il lavoro da liquido sta diventando gassoso (e mi evoca inquietanti analogie con il “vapore” di King, e con i suoi “vampiri” itineranti), uno spende quando ne ha: personalmente, per esempio, accumulo letture potenziali in periodi di maggiore disponibilità economica, accatastando provviste per i periodi di magra, per cui un libro acquistato nel 2010 posso eventualmente arrivare a leggerlo anni dopo (per i motivi più disparati).
    Un saluto!

  5. poimandres: purtroppo quelle pratiche non sono quantificabili, dunque non possono rientrare in una ricerca di questo tipo. Personalmente, però, temo non incidano più di tanto, visto l’esiguo numero dei dichiarati lettori forti.

  6. Purtroppo non ci rendiamo conto che il “sapere” in senso lato, che parte dalla lettura di un testo per capirlo e assimilarlo, farlo “nostro”, farlo “entrare” nella nostra mente, rimuginarlo, rivoltarlo, interpretarlo, “sfruttarlo” nelle situazioni della nostra vita: QUESTO E’ UN TESORO IMMENSO che dobbiamo inculcare con amore ma anche con ostinazione nelle menti di ogni essere umano, per tutto il percorso della sua vita, e quindi fin da piccolissimi. Leggere=Sapere=Li-
    bertà mi sembra che sia l’undicesimo Comandamento, senza nulla togliere agli altri 10. Purtroppo da questa descrizione, piano piano la famiglia, la scuola e lo
    Stato si stanno ritirando in bell’ordine, salvo eroici esempi con scarso seguito.
    Spero di non avere offeso nessuno e auguro buona giornata a chi avrà avuto la pazienza di leggermi. gallo Paolo Maria-Torino

  7. Da tempo si preparava,con la crisi economica,quella ‘omologazione’ che avrebbe ridotto i “sensi” a NON essere che comparse spesso anche svogliate. Che tristezya sentirsi così ai margini della conoscenza eprovare indifferenza per le grandi fatiche della mdnte che riempiono il sentimento di gioia che dà vigore al viaggio! Mirka

  8. Dove trovo questo rapporto Nielsen? Non è linkato nel post e non riesco a trovarlo in giro. Aggiungo i miei ai dubbi di poimandres1525, vorrei capire come è stato condotto lo studio, e in particolare:
    * se si ha una stima di quante persone leggono lo stesso libro acquistato;
    * se per gli ebook sono state contate solo le vendite o se è stato in qualche modo conteggiato il download gratuito, e in quest’ultimo caso se è stata usata la cura necessaria a non scoraggiare l’autodenuncia di chi i libri li scarica in modo non necessariamente legale.
    * se si parla solo di libri o se si discrimina in qualche modo, fra fiction e non fiction, narrativa e saggistica, etc.
    Infine: su marginalità del libro, sua maggiore profondità rispetto ad altri media eccetera, oltre a questa o quell’opinione, cosa dice la letteratura? Quali studi sono stati fatti sulle fruizioni possibili e su quelle effettive?

  9. Pietro, è un interrogatorio? 🙂 Mi metto sull’attenti e rispondo.
    Qui trovi indicatori e slides fornite da Nielsen
    http://www.cepell.it/articolo.xhtm
    Come vedrai, ci sono tutte le risposte per quanto riguarda narrativa e saggistica: nessuna discriminazione ( perchè poi?).
    Le stime sui download gratuiti, come detto, non ci sono. Non essendo io la Nielsen, nè un ricercatore, posso solo auspicare che vengano fatte. Non posso che ripetere che, a naso, essendo le persone che dichiarano di aver letto (non acquistato) un libro comunque poche e in diminuzione nel triennio, la cosa non cambia.
    Quanto alla “letteratura” su complessità e profondità di lettura sul web, ho scritto nel post che a mia conoscenza non ci sono studi italiani, ma sono pronta a smentirmi. Restano i dati forniti da De Mauro, che non fanno differenza fra libri, rete, altro, ma parlano di competenze.
    Cordiali saluti, posso smettere di stare sull’attenti? 🙂

  10. Quello che dice De Mauro è desolante, ma non sorprendente. Sono inoltre d’accordo con la signora Lipperini quando dice che chi non legge i libri probabilmente non si mette sul web a leggere blog letterari o poesie su FB e così via. Infine, mi chiedo, oltre alla quantità minima, quali libri vengono letti di più? Le barzellette di un noto calciatore? O di qualcun altro, attore o dee-jay famoso, cantante… insomma, salviamo i libri… Ma tutti?
    G. Barreca

  11. Grazie per il link; purtroppo sembra che al momento il sito abbia dei problemi, spero li risolvano presto.
    Non ho capito la tua reazione: ho posto domande, ossia ho chiesto, e dunque ho interrogato; si potrebbe quindi dire che la mia era un’interrogazione, ma da lì a interrogatorio ce ne passa!
    Ho usato “discriminare” nel senso di distinguere, senza una connotazione negativa, volevo solo sapere se lo studio considerava semplicemente il libro in quanto tale o se faceva distinzioni, perché credo che certe *ristrette* categorie di saggistica, a differenza di altre, possano essere sostituite più che adeguatamente da materiali audiovisivi.
    Ho riletto il mio interrogatorio, senz’altro inquisitivo, e continua a non sembrarmi inquisitorio; non ci vedo accuse né insinuazioni di sorta.
    Adotta pure la postura che prediligi, non vedo perché dovrebbe riguardarmi il tuo stare in piedi, seduta o che altro.

  12. Grazie per la risposta e per la cortesia; il problema centrale sollevato dal post non va certo ignorato solo perchè gli strumenti impiegati per valutarlo possono offrire per loro natura delle immagini solo parziali del quadro reale della situazione, ci mancherebbe… la leggera provocazione insita nella mia era voluta, ed aveva intenti spero costruttivi: disquisire sul non misurabile (date le premesse e gli obiettivi) in un’indagine statistica è come voler asserire che la mente umana è totalmente comprensibile facendo ricorso unicamente a categorie analitiche e al solo setting sperimentale… Quel che mi interessava, soprattutto, era sottolineare come sia sempre necessario chiedersi, nel condurre uno studio (e nell’affrontarlo da lettori), se la rosa di alternative nella quale viene necessariamente incasellata una realtà per produrre conoscenza sia sufficiente a descriverla nella sua varietà (non tanto di “intensità di una caratteristica oggetto di misura”, quanto proprio di “numero di dimensioni del problema chiamate a rappresentare la totalità”).. certo, il dato di fatto del “numero di libri letti/anno” evita la questione garantendo la solidità della statistica, ma nel contempo evidenzia la perfettibilità di un’indagine e la necessità di perfezionare/aggiungere strumenti alla cassetta degli attrezzi per meglio ricalare il numero nel mondo reale… Chiudo lo sproloquio segnalando che il link al rapporto non è funzionante (parla di “No such file or directory”). Un saluto!

  13. Le domande di Giuseppe Barreca sono giuste. Mi piacerebbe credere che la crisi colpisca gli instant book più che i capolavori, ma temo d’illudermi; d’altronde anche il settore alimentare ne è colpito, e tristemente l’acquisto di verdure cala più in fretta che quello di schifezze più o meno tossiche…
    Se ne sa qualcosa? La diminuzione (di lettura e di acquisto) è uniforme, o tocca alcune categorie di libri più di altre?

  14. A parte concause pesanti, prima tra tutte la diffusione dei social network, sarebbe interessante una riflessione anche sulle politiche editoriali che, evidentemente, non hanno funzionato. Ovvero riproporre il già letto assecondando solo i gusti consolidati, rincorrere la cultura televisiva, concentrare il mercato in pochi colossi, cannibalizzare le librerie indipendenti a vantaggio dei megastore, impilare i libri nei supermercati tra le lamette da barba e i detersivi, fissare un tetto massimo agli sconti, ritardare la digitalizzazione aspettando che fosse Amazon a dirigere l’orchestra, aumentare i titoli da pubblicare riducendo il rapporto tra editore e autore alla firma di un contratto, commercializzare il prodotto libro trattandolo come un prodotto qualsiasi. A guardare i risultati, non è del tutto sbagliato affermare che tutto ciò che ha funzionato per gli hamburger non ha funzionato per i libri.

  15. Dunque, rispondo a Pietro intanto: se andate a consultare le slide all’indirizzo che vi ho fornito, vedrete che c’è la classifica dei libri più acquistati e letti. Poniamo che la crisi riguardi tutte le categorie. E’ interessante notare che narrativa e letteratura sono comunque la prima voce di lettura e acquisto. Mentre c’è una differenza fra libri acquistati (manuali e testi divulgativi) e letti (biografie) nei due secondi posti. Si compra di più quel che si ritiene “utile”. Purtroppo non c’è una scomposizione sotto la voce narrativa. Posso però dare io qualche dato.
    Oggi per mandare un libro al primo posto in classifica è sufficiente vendere sei-settemila copie. La stessa cifra, DUE anni fa, era considerata”buonina, appena decente”. Inoltre, il primo in classifica vende mediamente QUANTO gli altri nove che seguono.
    Cosa ci sia nelle classifiche è facile da vedere ogni domenica. Per un ottimo Doctor Sleep di King abbiamo i diari di Violetta e simili. Quindi: mediamente, i libri più venduti, con eccezioni, sono libri non di alta qualità letteraria. E questo è indubbiamente uno dei grandi problemi. Ma non è, sempre a mio parere, la causa prima della disaffezione.
    Infine, sui settori colpiti: molto colpita è la saggistica, che vende sempre meno.
    Ps. come il link non funziona? Prova dalla home di cepell, la notizia sui dati è in evidenza. Io l’ho provato da poco e funzionava.
    Pps. Capisco il discorso di poimandres:posso solo dire che così come non si può ridurre il mondo dei libri al diario di VIoletta non si può neanche ridurre il mondo del web alla semplificazione di un social. E però che le competenze di lettura in assoluto calino (De Mauro, UE) è incontestabile. Purtroppo.

  16. Ok, svelato l’arcano, svista mia: il link funzionante è “rilevazioni statistiche” , non “Scarica l’allegato”.
    @lalipperini: piccolo inciso.. grazie per aver consigliato in più occasioni Doctor Sleep: la “spintarella” è servita a vincere le iniziali titubanze legate al preconcetto duro a morire sul “seguito di”, garantendomi l’accesso ad una storia davvero magica!

  17. Ah, il link: va cliccato quello in basso, con la dicitura “rilevazioni statistiche”; io (ed evidentemente anche poimandres1525) avevo provato quello a destra, “Scarica l’allegato”, che invece è sbagliato.

  18. Un’amica m’ha rimbalzato l’interessante link. Molto significativo, perchè aggiornato, ma la tendenza era nota da tempo. Alla mia età (76 anni) non leggo più 80-100 libri all’anno, solo una decina…secondo l’attesa di vita me ne restano da leggere/rileggere circa 140. In casa ne ho circa 6000! Affronto con fiducia il “mio” futuro.

  19. Qualche pensierino.
    0) Perchè si legga di più, bisogna dare alle persone un motivo per leggere. Se si crede alle recenti statistiche, la nostra società/scuola non riesce neppure a motivare i ragazzi a sapere ‘far di conto’. Deprimente.
    a) Non deve stupire – e bisognerebbe anche accettare – che la media delle letture – sia di bassa qualità anche in una società che legge più della nostra. Senza contare che le lettura di bassa qualità spesso ne trainano e supplementano altre. ( .”Nessuno è mai andato fallito sottostimando i gusti medi del pubblico”, H.L.Mencken.)
    b) Se si vuole che si vendano più libri, bisogna anche accettare che il libri siano venduti e comprati come le altre merci (rumore di occhi che vengono rivolti al cielo) , cercando di massimizzare i volumi di vendita, l’esposizione, e via di marketing. (@Riccardo : ma se i libri, che già non vengono comperati nei supermercati e nei megastore, li nascondiamo a Bomarzo tra le grottesche, o nelle piccole librerie indipendenti, tu dici che vendono di più?)
    c) 30 euro per un hardback e 16 per un paperback sono un sacco di soldi. Soprattutto per libri di solo testo. Arcisoprattutto per riedizioni. Anche se la traduzione è di Pavese e l’apparato critico del Bembo.
    d) Chi ha a cuore la diffusione del libro dovrebbe abbracciare e supportare gli e-book e i moloch (tipo amazon e i megastore ) che li stanno diffondendo.
    e) Se si posizionano i libri come oggetti per elite intellettuali, solo le elite li vorranno leggere.
    f) Sarei tanto contento se questo blog rispettasse la formattazione dei commenti 🙂

  20. Qualche pregiudizio in meno, Forghieri.
    a) mai negato. Tutt’altro. Il problema è quando pubblichi libri cercando di catturare solo il non lettore.
    b) gli occhi rivolti al cielo non fanno rumore e comunque non ho motivo di alzarli. Nulla contro il marketing: purchè non sia marketing di serie zeta come quello che vedo applicare in editoria.
    c) trenta euro sono comunque rari. La media è 16-20. Più bassa che negli altri paesi.
    d) perfettamente d’accordo sugli ebook, non con un monopolista come Amazon, che stronca tutti gli altri concorrenti, on e off line.
    e) molto vero. Ma meno vero nell’ultimo periodo, visto che la mole di pubblicazioni non riguarda le elite.
    f) hai ragione, ma non è colpa mia. Dillo a Kataweb 😀

  21. Il problema non è la crisi, ma un disamore totale per tutto ciò che è scritto. Si è perso poi il gusto del leggere come forma attiva, si legge per distrarsi, non per vera curiosità. Nonostante questo tutti vogliono paradossalmente scrivere e il programma Masterpiece è stato un flop totale.

  22. @forghieri
    Non è la presenza del libro nel supermercato in sé, ma l’idea di libro che le sta dietro. L’idea che il libro sia un prodotto di mercato come gli altri, da pensare e assemblare sulla base dei gusti del consumatore, peraltro non per soddisfarli in pieno quanto piuttosto per intercettare un livello di gradimento medio ma diffuso. Un hamburger di McDonald è pensato in questo modo e grazie a questa formula è un prodotto di largo consumo. Ma se questa idea la applichi a un libro, il prodotto che ne risulta non è più interessante di Facebook. E Facebook è gratis.

  23. @Riccardo
    Capisco l’argomentazione, ed è vero che il libro ha certe caratteristiche particolari (volevo regalarti un libro, ma mi hanno detto che ne hai già uno…)
    D’altra parte, visto proporre il libro per il suo valore sacrale e la soggezione che incute al volgo non funziona più (ammesso che lo abbia mai fatto), bisogna trovare il modo di sintonizzarsi ai gusti del consumatore, se possibile elevandosi al di sopra delle porcate.
    Penso a un’ipotetica “La storia di nonna Pina e delle sue tagliatelle” di Montanari (che ha scritto bellissime storie dell’alimentazione) o a “69 sfumature di Justine” (antologia di de Sade). Quasi certamente deliro, ma in fondo non sono neanche un markettaro.
    Non sarà questo il modo in cui si eleva il sentire degli italiani – ma per quello ci vuole più che la semplie diffusione della lettura.

  24. Riporto il dibattito a un livello “terra-terra”: che ci piaccia o no, viviamo in una civiltà in cui spadroneggia sfacciatamente la cultura dell’immagine e del tempo accelerato. Il combinato disposto di questi due fattori, unito al senso di inutilità di qualunque cosa rimandi al concetto di “cultura” (accresciuto dal senso di impotenza civica che fa sentire la consapevolezza delle cose come dannosa e non solo inutile), fanno il resto. Chi, nell’Italia del 2014, considererebbe il tempo impiegato a leggere come tempo investito e non perso? Investito in cosa, poi? Questo credo e temo sia il problema di fondo. Poi i vari aspetti ampiamente sviscerati da Loredana e da chi è intervenuto prima di me sono tutti interessanti, molti verissimi, ma devono necessariamente tener conto di queste considerazioni “primarie”. Purtroppo.

  25. A questo proposito, riporto il paradosso provocatorio che un vecchio amico amava citare, quando ancora svolgeva il tirocinio per l’insegnamento dell’italiano in un liceo: diceva che, vista e considerata la disposizione inculcata nei ragazzi nei confronti di una “cultura” vista spesso come “materia d’exploitation” dalla quale ricavare al più il necessario per raggiungere gli obiettivi imposti dalla verifica di turno e dal programma, sarebbe stato molto più utile alla causa, nonchè gesto rivoluzionario “in its uttermost purity”, insegnare l’italiano negli istituti professionali e tecnici, meno pressati dalla parossistica attenzione alla somministrazione di un sapere fatto di nozioni imposte – non di letture da amare (cornici e non quadri, insomma) – in nome del rispetto dei programmi e dell’efficienza “per se” – secondo lui ormai troppo radicata nell’inveterato “pregiudizio liceale” (ci hanno insegnato anche a desiderarlo, un certo tipo di formazione) -… Questi luoghi, ultima tappa nella formazione culturale di molti, costituivano dei finisterrae che era indispensabile presidiare per resistere alle tendenze di cui sopra De Mauro, non tanto con “verificoni sulla storia della letteratura”, quanto invece con costanti proposte personalizzate di lettura (qui, la bravura del docente/lettore/interprete-di-persone)… per imparare a nuotare, da bambini (come da adulti), più che qualcuno che ti spieghi la fisica dei corpi irregolari che si muovono in un fluido viscoso, c’è bisogno di immergersi nell’acqua, e a volte di un istruttore sapiente che sappia quando spingerti la testa sotto vincendo la naturale titubanza, senza fartela odiare per il resto dei tuoi giorni… Al netto della cultura dell’immagine e del tempo accelerato sopra citate, l’esperienza diretta di un buon libro rappresenta forse lo strumento migliore nelle mani dei pedagoghi per dimostrare che la lettura fornisce non solo sterili informazioni o facili quanto inutili emozioni, ma anche (attraverso queste) strumenti per affrontare la vita con consapevolezza delle proprie possibilità (en passant dei propri diritti) e per un miglior “coping” della psicopatologia della propria vita quotidiana. Uno dei libri che consigliava più di sovente, ricordo, era “Cuori in Atlantide”… buona giornata!

  26. Il rapporto Nielsen sulla lettura non ci dice alcune cose importanti.
    La prima cosa che non ci dice è quanti dei lettori del 2013 erano lettori anche negli anni precedenti. C’è una mobilità tra il gruppo dei lettori e quello dei non lettori di cui è importante capire l’entità.
    Il dato dei 2,9 lettori in meno dal 2011 al 2013 (pag. 21) non ci dice quanti dei 22,4 milioni di lettori del 2013 sono NUOVI lettori.
    Viceversa: quanti sono quelli che hanno smesso di leggere? (sappiamo che sono almeno 2,9 milioni, ma potrebbero essere molti di più, compensati da nuovi lettori…)
    Inoltre, se vogliamo leggere questo dato non solo nei termini economici di un forte indebolimento di un “mercato” e della sua filiera, ma anche nelle sue ricadute culturali (visto che i libri sono anche un veicolo di trasmissione e riproduzione della cultura e di promozione intellettuale e morale) dovremmo sapere, con un minimo di chiarezza, cosa leggevano, quando leggevano, questi che hanno smesso di leggere.
    E’ cambiata la ripartizione delle letture tra le diverse categorie nel triennio? Se i 2,9 lettori in meno fossero lettori di libri di cucina, di testi umoristici o di libri di giochi e quiz che ora preferiscono i video distribuiti da youtube o le app dal Google Play store? La ricerca non ce lo dice.
    Ma se fosse così, potremmo davvero dire che questi dati ci fanno paura?

  27. @Franco: concordo in linea di massima con quanto scrivi, l’analisi è lontana dall’essere esaustiva e l’indagine non ha scavato nelle ragioni dei numeri che propone a illustrazione di una realtà molto più complessa.
    Dalle slides peraltro non riesco a capire se le 9000 famiglie valutate rimangano le stesse nei 3 anni (mi sembra di capir di sì…), nel qual caso l’effetto della mobilità da te chiamata in causa potrebbe risultarne tutto sommato contenuto, anche se non certo annullato.
    A me sembra più strano, metodologicamente, che abbiano iniziato a far compilare i questionari dall’età di 14 anni, scelta che genera non poche difficoltà nell’interpretazione e nell’interpolazione dei dati (una spesa per il libri-“fantasma”, lettori forti -per obbligo o per passione- esclusi dal novero, etc.)…
    E però, nonostante i limiti più o meno evidenti dello studio, legati anche al fatto che il report offerto alla valutazione sia di 33 slides e non una relazione estensiva (che magari avrebbe reso conto efficacemente delle scelte semplificative/esclusive operate da Nielsen) e che il destinatario dello studio sia altro rispetto al “lettore medio” (la catena di implicazioni che ne derivano forse è troppo OT), rimane la realtà dell’accostamento di un trend, reale/supposto/presunto tale, con la effettiva riduzione delle competenze e l’aumento dell’analfabetismo di ritorno portate alla pubblica attenzione dal pluricitato De Mauro… variabili anche queste complesse e ad eziologia multifattoriale -ma nella quale si può far rientrare, per buon senso se non già con il conforto della statistica, la qualità e secondariamente la quantità delle letture -, la cui valutazione continua a offrire prospettive preoccupanti oggi come due anni fa (soprattutto alla luce della riduzione sostanziale della “fruizione” di alcune particolari categorie di prodotto librario). E che dovrebbero indurre a ripensare molte politiche e pratiche “istituzionali”…

  28. Ogni critica è legittima e ogni rapporto è perfettibile. Mi spiegate, però, perché insinuare il dubbio che il web non sia il mondo meraviglioso dei nostri sogni porta tante reazioni di difesa? Per curiosità.

  29. Loredana, è senz’altro vero che “insinuare il dubbio che il web non sia il mondo meraviglioso dei nostri sogni porta tante reazioni di difesa”, e questo è un problema.
    Ricevere dei dati e prenderli così come sono senza rivoltarli come calzini per analizzarli e capire da dove vengono e come sono arrivati è anche questo un problema; chiamare reazione di difesa ogni tentativo di capire se lo studio in oggetto è accurato e che cosa dice esattamente, è un problema.
    Chiamare interrogatorio la richiesta di un link e di qualche precisazione metodologica, è definitivamente il chiaro indizio di un problema.
    Parlo per me: non ho mai pensato di mettere in dubbio le parole di De Mauro, né ho insinuato che i libri sono inutili o che se ne leggono troppi. Tu hai nominato questo rapporto Nielsen; alcuni lettori hanno cercato di capire il rapporto più a fondo, prima chiedendo una fonte e poi analizzandola e trovandovi lacune. Fra parentesi: è chiaro che quel documento è la presentazione di una ricerca, non la ricerca stessa, che sarà magari meno accattivante per gli occhi, ma più precisa ed esaustiva.
    Come direbbe Bill Nye, davanti a un dato negativo si può correre in cerchio urlando o si può studiare il dato per capire cosa ci dice e quali eventuali contromisure è possibile adottare.
    Nei commenti di Franco e poimandres1525 vedo il tentativo di capire quanto più possibile da questo studio, non il tentativo di affossarlo.
    Certamente le prime domande che ho fatto hanno trovato facile risposta appena ho potuto vedere il documento (per quanto purtroppo non riporti cosa viene letto negli anni precedenti), spegnendo così ogni speranza che la diminuzione potesse riguardare il consumo di libri tecnici (o “utili”, come li chiama il pdf), o che l’elettronico fosse troppo sottostimato.
    Fra le tantissime domande che quella presentazione suscita, le più importanti per me sono:
    * Il calo di lettura è lievemente inferiore al calo d’acquisto, e il prestito è un po’ aumentato; questo, unito al fatto che il 17% ha letto libri che aveva già da tempo, dà l’impressione che la crisi economica abbia effettivamente un’importanza notevole in questo calo: abbiamo smesso di comprare libri, leggiamo quelli che avevamo comprato in passato e non ancora letto, e un po’ andiamo in biblioteca o altrove, ma non basta. Sarebbe una chiave di lettura in fondo ottimista: significherebbe che le biblioteche devono fare di più (e, ovviamente, che ci vogliono più biblioteche), che bisogna trovare modi per far arrivare i libri ai lettori, ma che la lettura in qualche modo resiste. Non ho però abbastanza dati per sapere se quest’interpretazione è giusta oppure o no.
    * L’acquisto su internet rappresenta l’11% dei titoli (non dell’importo), e non essendoci disegnato accanto un delta, viene da pensare che sia un 11% stabile nel tempo (lo è?). Ora, per una libreria in difficoltà l’11% può certamente rappresentare la differenza fra chiudere e andare avanti, ma è comunque un dato inferiore alla vendita nella GDO (e questa è molto più velenosa, perché alle ragioni economiche unisce il fatto di vendere solo blockbuster e principalmente spazzatura, mentre su Internet c’è più speranza per la coda lunga, almeno); è sufficiente a spiegare la demonizzazione del fenomeno (non parlo, ovviamente, di chi denuncia le condizioni di lavoro cui sono sottoposti i magazzinieri di Amazon, ma degli apocalittici)?
    * Cosa succede nelle famiglie? I lettori allevano lettori, o non riescono a trasmettere questa passione ai propri figli? I fratelli minori leggono meno dei fratelli maggiori?
    * Com’è il turnover dei lettori? Cosa sta succedendo? Come si smette di essere lettori? Quanto è influente il tempo di lavoro?
    Sono domande non negazioniste, non benaltriste, la cui risposta è secondo me centrale nella ricerca di una soluzione.

  30. Discussione interessante. Ho avuto lo stimolo di ricercare (non so se a proposito: mi permetto una eventuale frivolezza) un appunto, preso da un intervento di Valerio Magrelli su La Repubblica: «Invece del consulto professionale di uno specialista – fiscalista, idraulio, ortopedico) ci si mscambia pareri fra clienti, utenti, malati. Altrimenti detto, sarebbe come salire il Cervino affidandosi ad un collega d’ufficio o a un chitarrista, piuttosto che a una guida alpina. In tal modo, alla fisiologica solitudine del lettore, se ne è aggiunta un’altra, patologica e deontologica: non aver più nessuno a cui chiedere consiglio»
    Uno dei motivi per cui frequento questo blog, è che invece qualcuno ancora c’è (gratis et amore dei, cioè NEL WEB!): teniamocelo stretto, salutandolo con affetto (fa pure rima!)

  31. Pietro, non era un’accusa, era una considerazione. Non credo di essere un’apocalittica, ma come sosteneva l’ottimo Gino Roncaglia su Facebook, la lettura sul web è ancora “granulare”: “Morale: nell’attesa dell’effettiva diffusione di nuove forme di testualità digitale complessa (a partire dagli enhanced book), i social network e i dispositivi mobili fanno concorrenza alla lettura sostituendo contenuti che sono sì multimediali, ma che restano prevalentemente granulari e frammentati, a contenuti prevalentemente solo testuali, ma comunque complessi e strutturati. Perché nel cambio si guadagni qualcosa – anziché rischiare di perdere qualcosa – è indispensabile far crescere la complessità dei contenuti digitali (e individuare dei metodi per distinguere, all’interno delle rilevazioni statistiche, i contenuti complessi dai contenuti granulari).”
    Non demonizzo affatto nè la lettura sul web nè l’acquisto via web (anche se la chiusura delle librerie mi pare un dato decisamente non trascurabile per millanta motivi).
    Questo per me è il punto: come detto, il rapporto è perfettibile e non sono la Nielsen. Ma non intendo neanche sottovalutare il problema 🙂

  32. Tullio de Mauro “esageratissimo”? Annamo bbene.
    Saranno esageratissimi anche i risultati delle indagini commissionate dall’OCSE, risultati che ci danno sempre agli ultimi posti? Andate a verificare quel che accade nelle scuole, nelle università, dove masse di giovani sono sempre più ignoranti di grammatica (e cioè capacità di strutturare un pensiero in forma logica), e si capirà meglio perché siamo il paese che siamo.

  33. “ignoranti in”, pardon.
    Aggiungo: corsi di grammatica si diffonodono sempre più, nelle università. E’ emergenza.
    Non si vede come un Paese possa tornare a essere davvero competitivo a livello economico, se la sua popolazione perlopiù non è in grado di capire un testo di media complessità.

  34. @ anita
    Se le avessi lette davvero, le analisi dell’OCSE, non diresti stupidate orecchiate in tram. L’ultimo rapporto OCSE (Education at a Glance 2013, riferito al 2012), per dire, posiziona la scuola pubblica italiana nella media dei paesi OCSE (su circa 500 punti, -2 in matematica, +1 in lettura, -1 in scienze), con incrementi rispetto alla precedente rilevazione superiori a quelli degli altri paesi, omogenei per campo disciplinare e per ordine di scuola. Se siamo il paese che siamo, è grazie a quelli come te, che straparlano di cose di cui non hanno cognizione.

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