PARTENOPOP

Un giornalista, Valerio Mattioli, mi scrive una mail.
Dove, fra l’altro, si legge:

“… come credo molti altri, in questi giorni ho ripreso in
mano Gomorra. Già a suo tempo mi fece riflettere l’accenno ai neomelodici (Gigi
D’Alessio ecc) beniamini dei giovani del Sistema, così sono andato a ripescare
questo vecchio articolo a firma Mimmo Russo, che ti allego.

L’articolo comparve a inizio 2005 sul primo numero di
Catastrophe. Non so se la conosci, magari ti ricordi di Torazine che è la
rivista da cui la stessa Catastrophe. nasce. Ad ogni modo il suo sito è www.catastrophe.it.

Bene, di cosa si parla in questo articolo? Del cosiddetto
"partenopop", la canzone neomelodica napoletana. Il pezzo è parecchio
interessante, da diversi punti di vista: viene sottolineato l’afflato
mitologico della musica e dei suoi contenuti (il che echeggia, alla lontana, le
ultime riflessioni su Gomorra di Giulio Mozzi), ma soprattutto quello che più mi
colpì è l’uso del napoletano quale idioma "internazionale", dal
momento che interpreti e ascoltatori del genere spesso non sono napoletani, ma
siciliani, pugliesi ecc (lo stesso Mimmo Russo che firma il pezzo è un ragazzo
di Palermo). E poi naturalmente la storia del genere: il quando il come e il
perché venne a soppiantare la vecchia sceneggiata napoletana, il suo rapporto
con la tradizione melodrammatica e con la malavita, i suoi elementi innovativi,
il paragone con l’hip hop di strada USA, ecc ecc.”

L’articolo è molto, molto interessante. Ve ne posto la
prima parte. Il file è scaricabile per intero qui.
Download partenopop.doc
.

Arrivato
a Palermo, Miles Davis si avvia verso il taxi che lo aspetta. Il conducente sa
che sul sedile posteriore sta per salire uno dei più grandi musicisti del
mondo, e intimidito dalla circostanza pensa bene di abbassare il volume
dell’autoradio, nella quale è inserito un nastro di Nino D’Angelo. Salito sul
taxi, Miles capta una melodia in sottofondo che lo colpisce. Chiede al tassista
di alzare il volume: “Ho sentito qualcosa di buono, fammi capire”. Il
conducente obbedisce: il più grande trombettista jazz vivente, sempre alla
ricerca di nuove avventure musicali, entra per la prima volta in contatto col
mondo del partenopop. L’incontro è folgorante: il divino Miles chiede che il
tassista lo porti immediatamente in un negozio di dischi, per acquistare in
blocco le opere di un simile genio. Il taxi passa davanti Ricordi, ma il
conducente informa il celebre passeggero che nei supermarket della musica non
si trova roba buona, e lo porta al mercato della Vucciria. È qui che Miles ha
finalmente la possibilità di acquistare seduta stante l’opera omnia di Nino
D’Angelo, rappresentata per l’occasione da una pila di audiocassette
rigorosamente di contrabbando. Non molto tempo dopo, poco prima di morire, in
una celebre dichiarazione Miles affermerà: “Nino D’Angelo è il più grande
cantante italiano.”

     Nino
D’Angelo è la punta di un iceberg. È il volto più noto, in Italia, di un
autentico mondo parallelo, un pianeta sommerso chiamato partenopop. Un mondo
che lo stesso Nino sembra ripudiare allo stato attuale, preso com’è dal suo
grottesco riciclaggio in chiave cantautorale, istigato dalla critica e dai
soliti ipocriti cultori dello scandalo, dell’arte bassa che si fa arte alta. In
tempo di recuperi trash, anche Nino si è meritato la sua canonizzazione. Il
recupero istituzionale però si è ben guardato dall’affondare le sue proterve
mani in quel mondo di cui Nino per anni è stato cantore, preferendo insistere
su altri aspetti della vicenda, sull’icona di serie B che finalmente si
emancipa per “crescere”, e così essere apprezzato dalla critica “seria”. Per
questa critica, la presunta maturità di Nino è il vero periodo d’oro
dell’artista. Troppo compromettente, per gli altezzosi specialisti degli oscuri
fenomeni social-spettacolari, rievocare gli anni che vanno dal 1981 al 1987
circa, troppo imbarazzante resuscitare il corpo scandaloso del partenopop:
questa gente sembra dirci che va bene riabilitare l’immondizia, ma che c’è
anche immondizia e immondizia, c’è serie A e serie B, replicando di fatto
quell’atteggiamento che furbescamente asseriscono di superare. A tutto c’è un
limite, abbiamo scherzato: ecco cosa ci dicono. Non basta nemmeno la parola di
Miles.

     Nino
D’Angelo è tra i grandi rivoluzionari della canzone melodica, non solo
napoletana: in Italia, nonostante ce la mettano tutta a farci dimenticare il
caschetto biondo dei tempi d’oro, è un personaggio noto e conosciuto a partire
dal 1981. In tempi molto più recenti, il fenomeno dei cosiddetti “neomelodici”
riesplose col caso Gigi D’Alessio, altro protagonista, su un diverso piano, del
partenopop, genere musicale che in Nino D’Angelo trova il suo padre e
inventore. Prima di Nino c’era la sceneggiata napoletana, la canzone
tradizionale intesa alla vecchia maniera, ma i giovani delle borgate
meridionali avevano bisogno di altri tipi di messaggi, di altri suoni, di idoli
diversi. Sono gli anni dell’europop, dei sintetizzatori e della nuova dance
music, delle discoteche e degli hit inglesi del dopo new wave. Nino D’Angelo
capisce che è ora di ammodernare la vetusta canzone partenopea. L’intuizione,
apparentemente, è semplice: portare determinate sonorità, debitamente
stravolte, all’interno di una tradizione iscritta nel dna dei giovani napoletani,
e non solo di quelli. Ma così facendo, Nino distrugge la tradizione stessa,
rimettendo tutto in discussione, a partire dai testi, che si fanno più vicini
al mondo giovanile, esplorandone le tematiche, decantandone le gesta con tono
partecipe e sentimentale, allo stesso modo degli omologhi di terra d’Albione.
All’alba degli anni ‘80, è finito il tempo dei drammi familiari, così come dei
mandolini: è arrivato il momento delle tastiere elettroniche, delle drum
machines e dei bassi che pompano. È un suono che finalmente rende giustizia ai
potentissimi impianti hi fi montati nelle 127 special di moda all’epoca,
esasperazione genuina degli stilemi imperanti, e che subito trova un pubblico
attento e entusiasta.

4 pensieri su “PARTENOPOP

  1. leggendo il lilbro di SAviano avevo pensato anche io all’hip-hop (celebratissimo, anche se ha (e a volte “PERCHE’ HA”)rapporti con la malavita (ricordo un eccitatissimo articolo di non so più quale magazine, ma forse era proprio l’Espresso, in cui l’inviato musicale gongolava esaltato al congresso americano dei “Pimp” ovvero i protettori di prostitute, club entro il quale galleggiavano eroi della musica hip-hop).Ricordo anche anni fa una raccolta che usc’ con L’Unità di Veltroni e dentro c’era anche il famoso hit “Nu latitante” di Tommy Riccio e ricordo la presentazione al palazzo delle esposizioni. Vorrei avere la penna di Arbasino per diescrivere le delizie di quella “premiere” in cui si incontrò l’elite gramsciana delle terrazze romane e il sottobosco dei vicoli. e ricordo certe facce di accompagnatori dei cantanti e certe facce di risposta dei loro promotori. Forse si intuì che qualcosa non era proprio come lo rappresentava Goffredo Fofi. tuttavia se apprezzo tutto il folk rumeno o mediorientale non posso non apprezzare i neomelodici ( e io infatti apprezzo, ma certo c’è Napoli, Saviano..la questione si fa troppo complicata.)

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