PAURA E MERAVIGLIA: DRAGHI E RAGGI DI LUNA

Come usare la storia in narrativa. Negli ultimi tempi il racconto del passato si moltiplica, non solo in narrativa evidentemente, ma in quel mondo sempre più ampio che porta le storie fino a noi. Ne ho parlato in un articolo uscito a dicembre su Linus, dove parto proprio da una serie, House of the Dragon, per arrivare a un libro che non parla di storia (ma di sogno) come Infinito Moonlit. Buon week end.

 

“Il sogno di August Strindberg è uno dei testi teatrali che preferisco. Nella visione di Strindberg, la figlia del dio Indra era finita nel terzo mondo seguendo una folgore, e affacciata su una nuvola ascoltava le voci di chi in quel mondo, il nostro, viveva. Il dio non era felice della curiosità della figlia, non all’inizio almeno, perché la terra, così le diceva, è la più densa e pesante delle sfere erranti nello spazio.
Ma poi la figlia si affaccia dalla nuvola, e vede i boschi e le acque e i monti, e scopre che quel mondo brumoso e asfissiante è bello. Ne ascolta le voci, che per il padre sono solo lamenti – scontenta, ingrata è la stirpe terrena – ma dove lei coglie anche fremiti di gioia. Vai a vedere, dice Indra, e torna a raccontare. Lui non può, perché sulla terra non riesce a respirare, e anche la figlia si sente soffocare mentre scende, eppure va, e Indra la incoraggia. Polvere ha nome, dice, quel mondo, e chi lo abita ondeggia fra demenza e follia, eppure non è il peggiore dei mondi. Così la figlia scende, e sopporterà i vincoli dell’amore e della famiglia e della vita, finché non farà ritorno, chiudendo la prova, nel fuoco.
Ho ripensato alla figlia di Indra dopo aver terminato la visione di House of the dragon, la serie televisiva di  Ryan Condal e George R. R. Martin tratta da Fuoco e sangue, il prequel di Cronache del ghiaccio e del fuoco (tradotto in Italia da Edoardo Rialti). Che, va detto subito, è una serie cupa e magnifica, dove non un personaggio è fuori posto ma dove nessuno può occupare, con rare eccezioni, il posto dove siedono i giusti. Siamo duecento anni prima di Game of Thrones e la minaccia che viene dal Nord è appena il soffio di una profezia: se nelle Cronache il mondo è senza magia, almeno agli inizi, qui la magia c’è ma non è più di uno strumento di potere. Ci sono, ovvero, i draghi: ce ne sono molti, alcuni giganteschi e potentissimi, altri in procinto di arrivare a maturità e altri rinchiusi in un uovo. Ma il fatto che ci siano i draghi, infine, passa quasi in secondo piano, anche se il momento della storia dei Targaryen che qui si narra è proprio la guerra sanguinaria che prende il nome di Danza dei draghi, e che alla fine della prima stagione vede la scintilla dell’inizio, ma non di più.
Semmai, c’è la Storia. Come riporta proprio Edoardo Rialti, Martin ha affermato più volte che “studiare la storia obbliga a fronteggiare una verità scomoda e al tempo stesso suggestiva, che in questo testo si fa quasi una dichiarazione di poetica: “Tutti gli uomini sono peccatori, ci insegnano i Padri del Credo. Persino i più nobili fra i monarchi e i più cortesi fra i cavalieri possono ritrovarsi travolti da ira, lussuria e invidia, e commettere azioni che li colmino di vergogna e insozzino i loro nomi. E i più vili fra gli uomini e le più malvagie fra le donne possono parimenti essere buoni di tanto in tanto, giacché amore, compassione e pietà albergano persino nei cuori più neri. ‘Noi siamo come gli dèi che ci hanno creati’ scrisse septon Barth, l’uomo più saggio che abbia mai servito come Primo Cavaliere, ‘forti e deboli, buoni e cattivi, crudeli e gentili, eroici ed egoisti. Tenetelo a mente, se desiderate regnare sugli uomini’”.”
Infatti, questa è la vicenda travagliata di una dinastia e della brama del potere che finirà con l’annientarla fino in fondo o quasi, come sanno coloro che hanno visto tutte la stagioni di Game of Thrones. Ma c’è una differenza: la lunga evoluzione di Daenerys Targaryen è quasi brechtiana, e nella sua trasformazione in tiranna, almeno fino alle ultime puntate, risuonano i versi di A coloro che verranno: “Oh, noi/ che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,/noi non si poté essere gentili”.
In Fuoco e sangue, in effetti, c’è una coppia che vuole apprestare il terreno alla gentilezza, ed quella composta da Jaehaerys I ed Alysanne la Buona: “‘Le parole sono vento’ disse al suo concilio, ‘ma il vento può alimentare un incendio. Mio padre e mio zio combatterono le parole con acciaio e fuoco. Noi combatteremo parole con parole e sederemo gli incendi prima che comincino’. E così dicendo, sua grazia inviò non cavalieri e uomini armati, ma predicatori. ‘Raccontate a ogni persona che incontrate della gentilezza di Alysanne, della sua natura soave e cortese, e del suo amore per tutto il popolo del nostro regno, grandi lord e povera gente, in egual misura’”.
Ma House of the dragon comincia con l’ascesa al trono del nipote di Jaehaerys, Viserys I, la cui prima moglie muore nel partorire un maschio che le sopravvive di poche ore. La successione, dunque, andrà alla figlia Rhaenyra, che contiene in sé una possibile saggezza insidiata dal desiderio di vita e di ribellione. E che avrà prima un’amica, e poi una formidabile avversaria in Alicent Hightower, figlia del Primo cavaliere Otto, che sposerà il re e gli darà figli maschi. La parte centrale di Fuoco e sangue è qui, nella contesa per il potere, che serpeggia senza sfogarsi mentre Viserys è in vita e che divamperà alla sua morte, e nella prossima stagione.
Cosa c’entra Strindberg? C’entra quel desiderio di conoscenza e riscatto che lo impronta, e che qui, sia pur magnificamente, non può che mancare: nelle cupe dimore Targaryen, e persino nei cieli solcati dai draghi, non sembra esserci spazio non solo per la gentilezza, ma per l’amore (passione o anche ossessione sì: ma l’amore sembra fermarsi a Viserys).
Mi è tornato in mente, anche, un bellissimo racconto di Stephen King, Le cose che si sono lasciati indietro. C’è un sopravvissuto, l’assicuratore Scott, che l’11 settembre 2001 non è andato in ufficio, che naturalmente era in una delle torri gemelle. E ci sono gli oggetti appartenuti ai morti, che come sempre avviene parlano di loro, si tratti di una conchiglia o di un paio di occhiali o della ricetta della torta di carote ritrovata in un cassetto o di un vecchio borsellino di finta pelle. Gli oggetti ci sopravvivono e ci parlano di chi non può più farlo.  Ma, come scrive King nelle note all’antologia: “Mi è difficile accettare che esseri così complicati e qualche volta meravigliosi vengano alla fine semplicemente scartati, gettati via come rifiuti sul ciglio di una strada. (Probabilmente è solo che non voglio crederlo La mia ipotesi migliore è che potremmo sentirci confusi e non del tutto disposti ad accettare la nostra nuova condizione. La mia migliore speranza è che l’amore sopravviva anche alla morte (sono un romantico, fatemi pure causa, checcazzo).”
Credo che il punto sia questo. House of the dragon è lo specchio non solo della storia del passato ma di come ci sentiamo noi oggi, e un acutissimo interprete del reale come Martin lo sa benissimo. Ma si ha bisogno anche di sogno. Dunque, in conclusione, appaierei alla visione della serie e alla lettura di Fuoco e sangue un romanzo uscito per NNEditore, Infinito Moonlit di Sara Gamberini, che è una storia d’amore e di mondi sottili. E dove si dice: “Alla paura avremmo risposto con la meraviglia”. Perché se la prima è utile, la seconda è necessaria.”

 

 

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