PER RADIO RADICALE (DICIOTTO) E SULLA LETTURA

“Leggere è un atto politico, una questione etica, lo è sempre stata, ma più che mai adesso che i governi sfoderano la violenza contro chi non rientra nella definizione più pura di cittadino e la democrazia liberale è minacciata proprio nel suo nucleo originario, l’Europa e gli Stati Uniti.” Lo diceva, tempo fa, l’editore ed ex direttore di Granta,  John Freeman.
Ora, io non sono fra coloro che pensa che leggere renda migliori, più giusti, più umani. Sono altri i percorsi che ci portano verso l’umanità, l’etica, il vivere in comune, e quei percorsi sono lunghi e complicati, passano per il sentire di una cittadinanza, per la cultura di una cittadinanza (intendendo per cultura non solo quanto si è bravi e buoni a leggere e far di conto, evidentemente), per i suoi desideri. Passano per la democrazia, come disse Marino Sinibaldi in un meraviglioso discorso di qualche mese fa ad Action Aid:
“La fragile pianta. Per la verità, la democrazia è un po’ più complessa – o ricca: un prato, un bosco, “un’ape, un fiore, un sogno”. Ha molte radici, alcune sono profonde, vengono da lontano, dovremmo ripeterne il nome e la gloria. Altre sono nuove, come nuovi getti della pianta. Cosa farne? Accoglierle, innestarle, trapiantare. C’è un lavoro paziente, modesto, entusiasmante che si chiama cura –o forse si chiama cultura. Significa anche dare un nome esatto alle cose perché le possiamo riconoscere e condividere. Almeno quanto imparare ad ascoltare, la democrazia prevede che impariamo a parlare “l’onesto e il retto conversar cittadino”. O reimpariamo a farlo, perché a ogni generazione l’antica lingua della democrazia parla con un accento nuovo . A proposito, attenzione: ogni generazione pensa di essere la prima a rischiare così tanto –la perdita della lingua, della parola della democrazia. Meglio che sappia che non è così, che non pecchi di presunzione o di depressione: la democrazia rinasce o può morire in ogni tempo, a ogni generazione.
Si può essere dilettanti in ogni cosa ma si deve essere specialisti nell’arte di parlare. Nessuno ha espresso meglio l’importanza dello spazio del discorso -della qualità delle parole – di questa vigorosa intimazione di un prete democratico (a proposito, chiunque può essere democratico: anche un prete e, abbiamo scoperto, anche un papa. Vedete quanto è forte, audace, seduttiva questa ragazza tenace, la democrazia). E allora bisogna promettere –anzi no, bisogna giurare: lasciamo alla democrazia lo splendore dei suoi riti- bisogna giurare memoria eterna a quel prete democratico come al filosofo mite, al fabbro che torreggia sulla prima barricata, alla donna che ferma la guerra sanguinosa, al ragazzo che cade portando ordini di libertà, alla contadina che nasconde il partigiano, alla massaia che vota per la prima volta, al giovanetto che protesta cantando. La democrazia ha memoria, è memoria della sua grandezza. Non può dimenticare –o accettare che altri ingannino, falsifichino, dimentichino. Non permette l’ignoranza ma non si può fermare, e guardare in alto o indietro. Guarda avanti la democrazia”.
Ecco, pensavo a tutto questo sia leggendo l’inchiesta di Claudio Morici per Internazionale sulla crisi delle librerie, sia dopo aver ascoltato il bell’intervento sulla lettura fatto ieri alla Camera da Roberto Fico, in occasione dell’assegnazione dello Strega giovani (che grazie a Radio radicale potete vedere qui). E soprattutto dopo aver letto alcuni commenti sulla pagina dello stesso presidente della Camera, di utenti che lo invitavano a occuparsi di cose più urgenti per gli italiani, e non certo di libri.
Pensavo e penso a tutto questo, e continuo a pensare che è deleterio sentirsi e rappresentarsi come i felici pochi, o gli arrabbiati-colti-pochi, perché leggere è un’iniziazione alla complessità, e quella sopra è una semplificazione. Continuo a pensare che occorra difendere quella complessità, e dunque la democrazia, non col linguaggio oscuro degli eletti ma neppure con gli slogan. Pensavo e penso che leggere non rende migliori ma fornisce parole, alleva alle parole, ed è di parole che abbiamo bisogno.
In quegli anni – diranno – perdemmo traccia
del significato di noi, voi
ci ritrovammo
ridotti all’io
e tutta la questione divenne
stupida, ironica, terribile:
stavamo cercando di vivere una vita personale
e sì quella era l’unica vita
che potevamo sopportare testimoniare
Ma i grandi uccelli neri della storia strillando si tuffarono
in picchiata nel nostro clima personale
Erano diretti altrove ma con ali e becchi spazzarono
la costa, attraverso i lembi di nebbia
dove stavamo intenti a dire io.

Adrienne Rich, 1991

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