PER RADIO RADICALE (OTTO) E PER LA DISCESA.

Certo che sono arrabbiata, come molti. Certo che sono spaventata, come moltissimi. Ma mi arrabbierò ancora di più, temo, nei prossimi giorni, perché è già cominciato il valzer delle colpe dove, come sempre, siamo tutti assolti, noi che abbiamo visto lungo, noi che siamo colti, informati, giusti.
Dirò cose molto semplici, perché mi ritengo una persona semplice, fin candida, che in età tarda ancora si stupisce delle lotte per il potere e di come vengono condotte (ho letto Nella notte di Concita De Gregorio chiedendomi come faccio a essere così ingenua). Ma questa persona semplice che sono si chiede e vi chiede come potevamo pensare che le cose andassero diversamente quando tutti, tutti, non abbiamo parlato d’altro se non del vincitore: era ovunque, è stato ovunque, in ogni bacheca, in ogni titolo di giornale, in ogni tweet, in ogni discorso. E non c’erano, invece, quelli che dovevano esserci: io continuo a chiamarli penultimi, voi chiamateli come volete. I terremotati, i poveri, i disoccupati, i disperati della burocrazia, i non ascoltati, i senza casa, i senza cultura, i senza istruzione, i senza speranza.
Mi si dirà che i discorsi e i programmi c’erano. Bene, non mi sembra che se ne sia parlato. Mi si dirà che non li ho cercati abbastanza. Forse, anzi certo. Ma anche senza cercarlo, il nome del vincitore era ovunque. E allora quel che dico  è che invece di dedicargli le copertine e mezza pagina di titolo ogni santo giorno, quelle copertine dovevano essere dedicate a quelli che lo hanno votato, perché ci sarà pure un dannato motivo per cui l’hanno votato e, no, e no ancora, non mi basta la spiegazione dei rozzi e ignoranti e buzzurri, mi fa schifo quella spiegazione, e non mi basta neanche quella che include tutti gli sterminatissimi errori della sinistra, che ci sono eccome, ma non mi basta. Quello che avrei voluto sono le idee, i programmi. I sogni, perdiana, i sogni. La prospettiva di una speranza, e io questo non l’ho visto. Ho visto lui, in mezz’ombra, in caricatura, con pane e porchetta, ho visto solo lui e se c’è un fallimento è il nostro, e per nostro intendo dei media vecchi e nuovi, di chi col faccione in copertina sperava di vendere una copia in più e di chi in buona fede pensava di rendere pubblico il proprio sgomento.
Sono arrabbiata, e molto. Perché da ora vorrei vedere altre copertine, altri status, altre analisi che guardino avanti. Fin qui ho letto solo Piketty, che si sgola a dire che se non si lavora sulla disuguaglianza, sulle povertà, sul dolore radicato di questo paese continuerà a succedere quello che successo ieri.
Invece bisognerebbe che ci si pronunciasse come ci si pronunciava: per chi vuole, qui c’è una discussione sul disarmo con Carlo Cassola e Franco Fortini, 1987. Sempre grazie a Radio radicale. Qui sotto, invece, c’è semplicemente Fortini, quello che mi sento vicino in questo momento.
Si fa tardi. Vi vedo, veramente
eguali a me nel vizio di passione,
con i cappotti, le carte, le luci
delle salive, i capelli già fragili,
con le parole e gli ammicchi, eccitati
e depressi, sciupati e infanti, rauchi
per la conversazione ininterrotta,
come scendete questa valle grigia,
come la tramortita erba premete
dove la via si perde ormai e la luce.
Le voci odo lontane come i fili
del tramontano tra le pietre e i cavi…
Ogni parola che mi giunge è addio.
E allento il passo e voi seguo nel cuore,
uno qua, uno là, per la discesa.

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