Qualche giorno fa, ho ricevuto una mail dalle donne della Rete 13 febbraio Pistoia. Una mail che non mi ha stupita, e che dice:
“Abbiamo letto il programma dell’imminente edizione di “Dialoghi sull’uomo”. Ci prepariamo ad acquistare i biglietti, fare le file, prendere posto, ascoltare, riflettere e magari, se il dialogo non si trasforma in monologo, aver qualcosa da chiedere o da aggiungere. Notiamo che sono previsti venti incontri, secondo uno schema ormai collaudato e fortunato nella risposta del pubblico. Il tema portante è quello del viaggio e, mentre stiamo scegliendo tra i viaggi che ci vengono proposti quest’anno quelli a cui partecipare, non possiamo non notare due strane presenze. Cosa ci fanno – ci chiediamo smarrite – Eva Cantarella e Gabriella Caramore? Ben due donne? Dialogano sull’uomo? Dialogano sull’uomo/viaggiatore?
Qualcosa non quadra. Potremmo cominciare a pensare che un discorso sull’antropologia sia raccontabile anche da voci femminili, che un festival sul tema dell’incontro e del viaggio possa essere rappresentato dalle donne, finalmente smentendo quell’idea che vede la cultura appannaggio degli uomini e il mondo monogenere. Potremmo – attenzione – addirittura arrivare a figurarci donne che studiano, ricercano, scrivono, pensano, e donne che viaggiano e non restano a casa ad attendere i propri uomini, eterne Penelope, mentre tessono tele e si prendono cura del focolare. Fortunatamente, scorrendo i nomi degli oltre venti relatori, di altissimo livello ed interesse, siamo confortate dal constatare che le presenze femminili sono soltanto due e che possiamo continuare a pensare che nessun cambiamento epocale stia avvenendo.
Conosciamo bene i limiti del nostro tempo e della nostra società. Ve lo immaginate un festival che ribalta le consuetudini, che impone uno sguardo altro, che non si cura delle quote rosa ma che sposta il centro, il fuoco della rassegna su un altrove non mascolino? Sarebbe un Carnevale!
Ve lo immaginate un festival costruito su questo ribaltamento? Ascoltare Nadia Urbinati, politologa, accademica, giornalista che avrebbe potuto raccontarci del viaggio ai confini della democrazia. Incontrare Margherita Hack e i suoi affascinanti viaggi tra le stelle. Sentire Martha Nussbaum che, oltre ad essere una delle più importanti voci della filosofia contemporanea, è anche membro del Committee on Southern Asian Studies e membro esterno del Human Rights Program. Andare in teatro a vedere Lella Costa che legge “Viaggio di una parigina a Lhasa” di Alexandra David-Neel. Ascoltare del viaggio possibile tra le culture non violente da parte di Riane Eisler. Essere presenti a una relazione in ricordo di una grande viaggiatrice antropologa come Margaret Mead, e delle sue ricerche sulle culture delle isole del pacifico e sugli adolescenti di Samoa. Nutrirsi del contributo venuto dall’approfondimento del viaggio nell’inconscio di Luce Irigaray. O ancora dal racconto profondo della fumettista Marjane Satrapi e il suo tragitto dall’Iran alla Francia. Seguire Michela Murgia che racconta il cammino di Maria. Incontrare Julia Kristeva e i suoi viaggi nelle biografie delle filosofe, psicoanaliste, scrittrici che hanno attraversato il mondo e lo hanno cambiato. I “Dialoghi sull’uomo” (e già il titolo la dice lunga!), diciamocelo, sono dialoghi tra uomini e il fatto che ci siano solo due presenze femminili, seppur rispettabilissime, è emblematico. La questione non si limita certo a questa manifestazione, sia a livello locale che nazionale le dinamiche sono le stesse: dove l’accademia si apre alla massa, si fa pontificatrice ed è dominante la cultura androcentrica, accentratrice, indiscutibile e autoritaria.
Un ultimo impossibile contributo avrebbe potuto essere un omaggio all’artista-performer Pippa Bacca che ha lavorato per anni sul concetto di viaggio, percorrendo il mondo in autostop; la sua ultima performance è stata “Spose in viaggio”, azione in cui l’artista avrebbe viaggiato, vestita da sposa, in autostop, toccando 11 paesi europei e medio-orientali, teatro di conflitti, e realizzando gesti di pace e di grande umanità. Il lavoro non fu portato a termine perché, in Turchia, il viaggio si interruppe. Pippa Bacca venne violentata e uccisa dall’uomo che le aveva dato un passaggio. Nella sua figura d’artista e di donna si ritrovano simbolicamente tutti i temi del viaggio che vengono affrontati in questi dialoghi: il viaggio come sfida, come mistero, come conoscenza diretta e legame di pace tra popoli diversi. L’epilogo tragico è forse il simbolo del perché siamo state escluse da questo evento: il mondo, ragazze, non è cosa per voi, statene lontane!”
Perché non mi ha stupita? Fra le altre cose, perché è recente la lettura di una tesi di cui sono stata correlatrice e che si deve all’intelligenza e alla volontà di una docente, Luisa Capelli, e di una meravigliosa studentessa, Martina Volpe. La tesi si chiama “Il sesso dei libri”, è stata discussa (con successo pienissimo) una settimana fa e, a mio parere, dovrebbe essere divulgata al più presto. Martina ha lavorato sui dati, ha inviato questionari alle case editrici, ha ragionato sulle classifiche. Sottolineando, per esempio:
“Se guardiamo la top 30 del 2010, qualsiasi lettore italiano dovrebbe stupirsi della presenza di sole 6 donne in classifica (Benedetta Parodi ricopre due posizioni), delle quali solo Muriel Barbery, Silvia Avallone e Camilla Läckberg sono scrittrici professioniste (e tra queste Avallone, con Acciaio, era un’esordiente felicemente promossa dalla comunicazione Rizzoli), mentre Benedetta Parodi, Luciana Littizzetto e Antonella Clerici provengono tutte dal mondo dello spettacolo, nessuna si interessa particolarmente del mondo della letteratura, e due di queste (Parodi e Clerici) sono in classifica con libri sulla cucina, prodotti editoriali nati unicamente per vendere. La top 30 del 2011 conferma le considerazioni svolte per l’anno precedente, con 8 libri scritti da donne (3 posizioni per Parodi e la presenza del libro scritto a quattro mani da Luciana Littizzetto e Franca Valeri) di cui 4 scrittrici professioniste: Clara Sánchez, Vanessa Diffenbaugh, Margaret Mazzantini e Melissa Hill. Oltre a Mazzantini, edita da Mondadori, i cui libri incontrano sempre un grande successo di pubblico e di critica, i primi due casi letterari sono editi da Garzanti che ha avuto l’abilità di cavalcare meglio di altri marchi editoriali l’attenzione delle lettrici per “le storie forti”, ben sollecitate da titolo e copertina che
già anticipano gli ingredienti di cui si compongono i libri”.
Ma, soprattutto, è andata a monte. Quante donne ai vertici delle case editrici italiane?
“in Italia nessuna donna siede al massimo vertice dei grandi gruppi editoriali, i quali da soli rappresentano circa il 70% del fatturato complessivo, e comunque la percentuale di donne che ricoprono i ruoli principali (presidenza, amministratore unico o delegato, direzione generale) si ferma al 13,6%”.
E quante donne, invece, impiegate in altre funzioni?
“Le funzioni editoriali gestite in misura maggiore dalle donne sono invece quelle redazionali e amministrative. L’aumento delle donne è particolarmente significativo nella funzione di addetto alla comunicazione (che include ufficio stampa, pr, social media manager, ecc.) e di dipendente amministrativo, e per questi ruoli accade esattamente l’inverso di quanto abbiamo visto accadere con le precedenti funzioni editoriali (direttore editoriale, direttore di collana): all’aumentare delle dimensioni dell’impresa editoriali, aumenta anche il numero delle donne impiegate nei ruoli di redazione e di amministrazione”.
E quali deduzioni trarne?
“Sicuramente un dubbio accompagna queste ultime riflessioni, un dubbio che ci spinge a domandarci se esiste, o meno, una correlazione tra l’aumento della presenza femminile nel settore editoriale e l’incremento della precarietà e dell’incertezza al suo interno. Come se il settore editoriale fosse un castello ormai circondato dalle fiamme, con i cavalieri che in groppa ai loro destrieri velocemente si allontanano per conquistare altre roccaforti (forse l’editoria digitale, dove i protagonisti sono quasi solo uomini?), mentre le popolane si affannano a gettar secchi d’acqua su una proprietà in rovina e condannata”.
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro. Se non che gli scettici non possono cavarsela parlando, un po’ schifiltosi, di “gente che vuole le quote rosa anche in letteratura”.
Sul nesso fra precarietà editoriale e (mala)occupazione femminile in editoria l’ennesima prova si ottiene dai dati dell’inchiesta EditoriaInvisibile (indagine Ires, in collaborazione con Rerepre e Strade) in cui figurano percentuali di occupate precarie molto più alte di quelle degli uomini, che magicamente mutano in percentuali di redditi, compensi, condizioni migliori nettamente superiori per gli uomini. Lo sapevamo già, ora ci sono le prove.
Come dice Denisocka lo sapevamo già.
Ma il fatto che ricominciamo questo lavoro di documentazione e approfondimento (svolto abbondantemente in decenni trascorsi) va ripreso e fatto conoscere.
Un pregio della tesi di Martina Volpe è l’avere coniugato il lavoro di indagine (purtroppo limitato dalle scarse risposte delle case editrici) alla ricognizione teorica sulla letteratura femminista: è quella ricognizione che le ha permesso di puntare lo sguardo con la capacità di cogliere alcune contraddizioni.
Mi auguro che, se riusciremo a pubblicare la tesi, questo avvenga mantenendone questo impianto complessivo.
Grazie, Loredana, per avere accettato la correlazione e per avere scritto qui della tesi.
Su questo tema, nel 2011 ho assistito a un interessante incontro con Siri Hustvedt e Céline Curiol che si è tenuto alla libreria Shakespeare &Co. a Parigi (https://www.facebook.com/events/146240992113037/). Credo che su youtube ci sia anche il video…
Arrivo tardi ma arrivo.
Sono molto curiosa di studiarmi i dati raccolti tramite l’inchiesta EditoriaInvisibile, che purtroppo è stata resa nota quando avevo già consegnato il mio lavoro di tesi. Fortunatamente in tempi recentissimi stanno venendo fuori indagini che restituiscono i numeri del precariato editoriale (case editrici e redazioni giornalistiche), numeri difficili da fare emergere, causa l’omertà delle aziende, di vario ordine e dimensione.
Nei miei obiettivi di ricerca (coordinata dalla docente Luisa Capelli) c’è il desiderio di mostrare le contraddizioni di un mondo di libri fatto da donne (le lettrici sono il 51,9% contro il 39,7% dei lettori e i nuovi ingressi nelle case editrici sono oltre il 60% femminili) ma né guidato da donne, né pensato per le donne, se si valuta la scarsità dell’offerta editoriale (non in termini quantitativi ma qualitativi) e la crescente difficoltà di sopravvivenza per collane o case editrici che si occupano di studi di genere.
Ringrazio Loredana Lipperini per il suo lavoro di correlazione in tesi e per l’attività di critica costante che svolge tramite le pagine di questo blog (utilissimo durante il mio lavoro di ricerca). E grazie davvero per averne parlato sia a Torino durante il Salone del libro, sia qui.
Avrei tante, davvero tante cose da dire, ma parto da questo: lavoro in una casa editrice che è rivolta a chi, in un certo senso, è interessato alla spiritualità e all’esoterismo. Stiamo cercando di pubblicare testi sconosciuti in Italia, soprattutto di psicologia transpersonale, e libri che parlino di spiritualità senza cadere nelle zozzerie new-age. Ora, circa l’80% di chi legge questi libri e partecipa alle conferenze è composto da donne, eppure chi scrive i libri e tiene le conferenze, nella quasi totalità (85-90%?) è composto da uomini. Ora, mi sono accorta nel tempo che la discriminazione nei confronti delle donne in questo ambiente è molto più forte che in altri (almeno per quanto riguarda la mia esperienza), ma allo stesso tempo le donne non sembrano avere nessun desiderio di cambiare questa situazione. A parte qualche caso, davvero rarissimo, non ci sono ricercatrici, ma solo “partecipanti”, non so se rendo l’idea. Quelle, invece, che sono riuscite a ricavarsi in qualche modo un posto, di solito si accaniscono con le altre, specie se sono giovani.
@ Martina Volpe
a me piacerebbe leggere la tua tesi, è possibile farlo online?
Ti chiedo però dopo aver letto il tuo commento e lo stralcio che à postato Loredana, e visto anche il commento di Maura, perché dovrebbe esserci corrispondenza tra la maggior presenza di lettrici rispetto ai lettori ( mi sa che c’è un refuso nelle tue percentuali, oppure le persone transessuali leggono di brutto ) e la presenza nei ruoli gestionali dell’editoria, e addirittura nelle classifiche di vendita o nella percenutali degli autori di un certo genere ( in questo caso la spiritualità-esoterismo, per tornare al commento di Maura ). La tesi sottostante ( tesi tutto sommato condivisibile ) è che le scrittrici e le intellettuali siano sfavorite per quanto riguara la pubblicazione e la diffusione a monte, e più in generale nella percezione comune. Io stesso non ho una scrittrice preferita, e in percentuale ho letto pochi libri scritti da donne. Ma non capisco dove sarebbe la contraddizione.
Condivido l’osservazione fatta su “Dialoghi sull’uomo”, e divertita ricordo quando (nella prima edizione) durante l’incontro con Marzano e Soffici dal titolo “Uguali, ma non troppo: identità e differenze di genere” qualcuno dal pubblico chiese loro una cosa tipo se non fosse stato più azzeccato mettere al posto di “uomo” ( in dialoghi sull’uomo) qualcos’altro che non potesse dare l’impressione dell’esclusione della donna. Purtroppo non ricordo bene la risposta che venne data (spero di trovarla nel video dell’incontro, se non sono stati tagliati gli interventi del pubblico ) o forse, bastava solo aspettare qualche anno, per farla venire fuori da sola. 🙂
Rispondo a Shane Drinion: nel settore in cui lavoro la corrispondenza dovrebbe esserci. Chi legge i nostri libri e frequenta i corsi tenuti dagli autori di solito fa un percorso di ricerca che dura anni. La stranezza, per così dire, è che le donne leggano tantissimi libri, seguano tantissimi corsi (a volte anche universitari, conseguendo lauree in psicologia, per esempio) ma rimangano quasi sempre fruitrici, e in rari casi ricercatrici. Le ragioni sono molteplici: in larga parte dipende dalla mancanza di fiducia e di credibilità da parte degli uomini (dirigenti) nei confronti di una donna, ma spesso anche (e, in realtà, questo potrebbe essere consequenziale) dalla donna stessa, che si accontenta di questo ruolo e non propone qualcosa di nuovo. Ci sono donne molto capaci che svolgono da decenni dei lavori eccezionali, ma nella maggioranza dei casi questo non accade. Ho voluto condividere questi dati perché, prima che desiderare ruoli dirigenziali o partecipazioni a convegni, credo che le donne potrebbero davvero dare uno stimolo nuovo alla ricerca.
Al di là del fatto che un festival con quei nomi proposti da Rete 13 Febbraio sarebbe (per me) imperdibile, la prima cosa che comunque verrebbe in mente all’utente tipo (come ad es il giornalista che ne deve scrivere in pagina) è che sarebbe “una cosa da femmine”. Di settore.
Un po’ come quando fanno gli incontri SOLO di giallisti. Ho partecipato al Salone ad uno di questi incontri e ho detto al pubblico: “vi giuro che non capisco perché ci avete messo dietro allo sesso tavolo: scriviamo cose diversissime, non ci accomuna quasi nulla.”
La presenza di una “categoria” implica la sua condizione di minorità. Un festival fatto da donne è un festival femminile. Un festival fatto da uomini è universale. Un festival di giallisti è “di genere”. Uno di mainstream è “letteratura”. etc. etc.
Infine non perdiamo di vista il fatto che ad organizzare, a Pistoia, è una donna. Sono certissimo (dato che lei è brava e preparata) che ha fatto una selezione in base alla qualità degli ospiti, non del sesso. Ma mi chiedo: com’è che quei nomi succitati non le sono venuti in mente? Quanto abbiamo (inconsapevolmente) introiettato della cultura dominante?
Ringrazio personalmente Loredana per il post e Martina per il suo lavoro (che mi piacerebbe davvero approfondire, gestendo io una libreria!).
Ringrazio Biondillo per la riflessione e l’apprezzamento al nostro virtuale Fetival non solo sull’uomo.
Purtroppo sui giornali l’organizzatrice del Festival ha risposto alla nostra lettera con l’atteggiamento “shifiltoso” e riduttivo predetto da Loredana alla fine del suo post!
“Non credo – scrive Cogoli – che un progetto culturale debba essere valutato con la bilancia, soppesando il genere o (come succede altre volte la religione e la politica). La cultura non ha per definizione quote, un progetto culturale non può essere valutato con quest’ottica, nè io come direttrice vorrei essere giudicata in quanto donna. Tra le donne invitate alcune hanno aderito al programma, altre non potevano intervenire; comunque sono state invitate non in quanto donne, ma per la qualità del loro pensiero e per l’aderenza al tema dell’anno.”
Come ho scritto in altra occasione non sono una patita delle quote rosa, che tollero di necessità in politica.
Quanto all’editoria ho in mente da tempo una domanda sciocca. Se i ruoli per così dire intermedi (inlcuse lettura e valutazione) sono per lo più occupati da donne, come mai le autrici sono in netta minoranza? Non vengono selezionate dalle addette o sono scartate in sede decisoniale, dai vertici maschili?