PEZZI E BOCCONI

Spigolature.
Donneinquota organizza a Milano, per l’11 novembre, un convegno su televisione, pubblicità, giornali e stereotipi di genere. So di altre iniziative che, un po’ da ogni parte d’Italia, stanno prendendo il via. E questo non può che rendermi felice. Mi auguro però che si dia uno sguardo anche ai libri e, in assoluto, alle narrazioni. Stamattina, mentre leggevo il giornale, non ho potuto fare a meno di sobbalzare leggendo le candide dichiarazioni del regista di New moon:
«Vampiri e lupi mannari vanno interpretati come metafore delle nostre angosce» spiega il regista Chris Weitz «Ma l´elemento che differenzia questo film dal filone sui vampiri è la coppia formata dall´eroina vergine e dall´eroe attento a preservare la castità di lei. È una storia d´amore tradizionale, da feuilletton dell´800».
Altra spigolatura.
Con un poco di ritardo, molti “cartacei” stanno scoprendo la rete. Benissimo. Nel già citato post su Vibrisse noto per esempio che Andrea Cortellessa interviene molto appassionatamente in questo senso. Benissimo, di nuovo. Intanto, su Carmilla, Enrico Piscitelli e Alessandro Raveggi invitano ad alzare il tiro per quel che riguarda la qualità letteraria. Attenzione a questo passaggio:
“Al di là della possibilità che le forme rapide di pubblicazione del weblog ci stanno offrendo, e del ricrearsi blando della comunità in una simulazione gioco in cui possiamo pur sempre mascherarci da avatar, bisogna preservarsi dal rischio del consenso qualitativo, ovvero dalla pretesa di valutare un testo come qualitativamente letterario, dipendendo dalla quantità di frequentazioni del testo, di apprezzamenti, di click, poll e commenti telematici. La letteratura qui viene spesso classicamente mercificata, anzi mercificata al secondo grado. “Non è merce, questa è letteratura, un nuovo modo cool di farla”, ma è sempre paradossalmente merce, termometro di consenso”.
Liberarsi dalla logica del “più contatti, più autorevolezza” è interessante e corretto. L’ombra che vedo allungarsi, nei due casi, è però quella dell’Accademia. Non perchè non ce ne sia bisogno, intendiamoci: ma le forme narrative del web seguono altre logiche, e non necessariamente queste sono carenti dal punto di vista qualitativo.  Ogni tanto, dare uno sguardo ai post di Henry Jenkins sarebbe salutare, per tutti.

10 pensieri su “PEZZI E BOCCONI

  1. Mah il problema dei consensi, mi sembra che alla fine colpisce chi è vulnerabile, a prescindere dal mezzo con cui scrive. Se sei tipo da assecondare le tematiche ai condensi lo faresti anche in altra sede, anche se sei tipo da assecondare lo stile ai consensi. Per dire – il mio blog registra piccchi di click ogni volta che faccio post politici, mentre i miei temi rpeferiti, che in effetti sono di una noia nortale, crolla in basso. Ma proprio perchè di mezzo c’è il piacere per se e non i quattrini, io non je la fo a scrivere per aumentare i link.
    Posso fare un’altra cosa: sfracassare i maroni ai poveri colleghi bloggher:)
    PPPPP

  2. (Cortellessa interviene appassionatamente e garbatamente, questo in margine).
    Questa cosa del numero di contatti mi incuriosisce. Da profana, mi pare possa essere letto nello stesso modo delle classifiche delle vendite dei cartacei.
    E non mi pare che tutti gli ‘gli scrittori di carta’ siano così alieni dal compiacere il pubblico.
    Concordo sul fatto che Henry Jenkins sia molto salutare, ma forse se ne dovrebbe parlare di più. Io l’ho conosciuto tramite il sito di Wu Ming, ma non mi pare che fuori del web (e di certi siti) se ne discuta molto.
    Sul web si parla molto di web, poi quando fuori del web si parla del web è come se si potesse prescindere da quello che se ne dice all’interno.
    E’ come se all’esterno tutti fossero più intelligenti e potessero parlare con cognizione di causa anche di cose che non conoscono. Forse è questo che dà l’effetto accademia, non so.
    Quasi solo@zaub (gli altri, per favore, mi scusino questo ‘a parte’). Sinceramente io trovo più interessanti i tuoi post non politici, solo che è più facile e più ‘gratificante’ intervenire su quelli politici. Sul web capita spesso, come se uno scrivendo di politica mettesse uno di quei cartelli con su scritto: qui puoi sbattere la testa. Di questi tempi, Zaub, è quasi come il servizio di pronto soccorso alla neuro.

  3. ciao Loredana.
    riguardo al pezzo uscito su Carmilla, posso capire che tu ci veda “l’ombra dell’Accademia”. in realtà noi intendiamo *agire*, più che far accademia.
    con dei libri, che faranno parte di una collana, e con un festival letterario [Ultra] ecc.
    abbiamo pensato che fosse giusto anticipare i temi della questione con una serie di [4] scritti.
    il primo è qui: http://novevolt.wordpress.com/cura/
    [sotto “la cura 1”]
    si parla dell’autodepotenziamento degli autori.
    dopo aver letto il primo passo c’è stato scritto e detto che era troppo semplice; dopo aver letto il secondo, ch’era troppo complicato.
    vedremo col terzo – si parlerà del rapporto autori-revisori, e quindi sarà un seguito della prima parte.
    sulla questione aperta da Gilda Policastro:
    non si capisce quale sia il problema, in effetti.
    la Rete si autoregola. non è *un* luogo, ma infiniti luoghi connessi o sconnessi. ogni luogo si autogestisce.
    i “cartecei” – come li chiama Andrea Cortellessa, intendendo chi non ha “dimistichezza” col mezzo – possono occupare e/o creare altri luoghi e connettersi. o non connettersi.
    ciao,
    enrico

  4. Cara Loredana, grazie intanto della segnalazione. Quella parte mi sta molto a cuore, ma capisco che possa essere interpretata come una restrizione di principio. Di Jenkins, ho letto con interesse e entusiasmo specialmente “Convergence Culture”, il quale mi pare aiuti molto dal punto di vista di una teoria, si direbbe a voler fare l’accademico, della _ letterarietà _ transmediale (che sarà l’argomento della IV parte del nostro “la cura” di Novevolt), ma che poco chiarisca al riguardo di un concetto di qualità partecipativa e non “chimica” del testo, che noi stessi proponiamo. Ti assicuro che il nostro alzare il tiro della qualità non è una posa, ma una necessità di questi tempi. Basti pensare al nostro affiancarla al concetto di qualità della vita. Ritornerò volentieri sull’argomento a brevissimo, un saluto, a.

  5. Ho letto adesso l’articolo di Enrico Piscitelli e Alessandro Roveggi su Carmilla, e mi rendo conto di aver letto con ‘attenzione distratta’ il post di Loredana per cui ho risposto avendo preso fischi per fiaschi:
    Carmilla ovviamente non è esterna al blog.
    Ho fatto un po’ di fatica a capire il contenuto dell’articolo, perché il testo è arduo, almeno per me, per cui non so se ho di nuovo capito fischi per fiaschi.
    Condivido in pieno la descrizione che si fa della realtà italiana: immobilismo, mancanza di futuro, disprezzo dei giovani, totale stagnazione, mancanza di qualità diffusa, di immaginazione, ecc.
    Il parallelismo con la letteratura è evidente, con la letteratura tout court mi pare di capire, anche se transmediale e non identificata con la forma libro.
    E si dice: “Anche se il rapporto vita/letteratura è obliquo, necessariamente inclinato, ma verisimile: la qualità letteraria è un insieme di forze che producono un effetto d’intensità, una durata che garantisce la possibilità di trasmissione. Effetto sul lettore, effetto sulla comunità e sul futuro. Non è solo una questione di stile, ma di efficacia di stile”.
    Ecco, mi chiedo: non è pretendere troppo dalla letteratura affidarle questa missione salvifica? Soprattutto quando si è fatta una descrizione così desolata della realtà italiana, dove la qualità è carente in tutti i settori della vita culturale (letteraria, artistica, scientifica), sociale e politica e alzare il tiro della qualità certo che non deve essere una posa ma una necessità di questi tempi in tutti i campi.
    Per questo, solo se contestualizzato in un luogo (virtuale o meno non ha importanza) che ha come tema di riflessione la letteratura, posso capire questo articolo, ma a me pare che il progetto degli autori abbia ambizioni più ampie, quasi che la letteratura possa diventare il volano del rinnovamento di questo paese, cosa che non credo sia nelle sue possibilità.
    Se spocchia c’è, io la vedrei proprio in questa ambizione.

  6. ciao Valeria!
    scrivi:
    “ma a me pare che il progetto degli autori abbia ambizioni più ampie, quasi che la letteratura possa diventare il volano del rinnovamento di questo paese, cosa che non credo sia nelle sue possibilità”.
    rispondo per quanto mi riguarda: è un discorso davvero complesso. vero, verissimo.
    se il Mondo si salverà, si salverà da solo – la “crisi” sarà così cospicua, così innestata in ogni ordine del processo economico e produttivo che sarà inevitabile che il sistema si adegui. i mondi mutano, insomma. son sempre mutati e continueranno a farlo.
    detto questo: quello che posso fare io è questo, sperare [uso le tue parole] che “la letteratura possa diventare il volano del rinnovamento di questo paese”.
    l’ho deciso alcuni anni fa. di farlo, dico. di sperarci.
    poi mi scontro giornalmente contro lo scetticismo altrui. e mio.
    come è vero che a volte incontro altri che credono si possa fare meglio e di più, che son meno rassegnati di me – quando sono, mi capita di essere, rassegnato.
    insomma, come scrivevo più su: sì, è complicato. ma – nel mio caso, per esempio – è un buon modo per dormire bene la notte.
    ciao,
    enrico

  7. Sì. sono d’accordo anch’io con te, nel senso che bisognerebbe cominciare (ricominciare) a fare bene le cose che si fanno, ridare qualità alle azioni. Solo nella qualità credo ci possa essere etica.
    Per questo mi sono incaponita con ‘l’etica del lettore’, penso che ognuno debba assumersi le proprie responsabilità.
    Sì, ognuno per la sua parte, dobbiamo essere cocciuti.
    Auguri, valeria

  8. Anche se lo frequento da un po’, sono ancora una parvenue della blogosfera. Mi sa però che se continuamo il nostro scambio a due commettiamo peccato virtuale.
    Per cui crepi davvero il lupo, e a rincontrarci presto nel web.

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