PILLOLE

Con spaventevole ritardo, sto leggendo le nuove avventure di Isabel Dalhousie. Grazie ai benemeriti di ReNoircomics, ho letteralmente divorato, ieri sera, Gyakushu! e Stregoni e segretarie.
Annaspando in cerca di tempo, conosco o ritrovo molte belle persone. Per esempio, Lidia Menapace e Chiara Valentini, durante l’incontro (sul libro e non solo) al liceo scientifico Vito Volterra di Ciampino (che si deve a Giorgio, professore di filosofia che definire vulcanico è poco). La domanda del giorno viene da un ragazzo intorno ai diciassette: “Va bene tutto: ma perchè non volete più mettere la minigonna dopo aver tanto lottato per poterla indossare?”

17 pensieri su “PILLOLE

  1. Riccardo, la mia in realtà era una risposta perchè secondo me non esiste la domanda.
    Bisognerebbe chiedere al ragazzo di diciassette anni perchè pensa che le donne non vogliano più mettere la minigonna.
    Forse perchè auspica che le sue compagne la mettano più frequentemente, forse perchè ha sentito dire, magari dal padre incattivito, che le donne non vogliono più fare le donne, forse perchè ha sentito dire che ora vanno di moda i pantaloni a sigaretta e se ne rammarica (Nautilus, mi spiace ma il pantalone a vita bassa ormai è passato), forse perchè dal momento che stava partecipando ad un incontro in cui si parlava del libro di cui sopra, gli girava per la testa l’idea che la categoria della donna “femminista” non ami essere apprezzata per le sue doti fisiche quanto per quelle intellettuali. E in effetti ha ragione se si pensa che la donna “femminista” è esistita solo fino alla fine degli anni settanta, quando la strategia, una delle strategie, in effetti era di non avvalorare il modello di donna fatta per piacere all’uomo.
    Volendo fare un discorso ottimistico credo che le ragazze oggi siano femministe senza sapere di esserlo, (anzi negando di esserlo in molti casi), e vivendo semplicemente come dati di fatto quelli che in realtà sono i frutti delle sacrosante battaglie possano permettersi la minigonna, la longuette, il pantalone a vita bassa, alta, alla pescatora e perfino gli shorts. Che poi si mettano sempre i jeans è solo questione di praticità, di insicurezza (del proprio aspetto fisico) e di sicurezza (attirare troppi sguardi spesso non conviene).

  2. Sì, ma indipendentemente dal motivo per cui il ragazzo ha posto la domanda, il fatto resta e la tua risposta spiega, ma dice che il femminismo è stata una favola, se non un’impostura. Io non credo. Penso piuttosto che il femminismo sia nato da una sacrosanta volontà di emancipazione, ma si sia perso per strada per estremismo, per infantilismo, per mancanza di una visione strategica.

  3. Forse non sono stata chiara, ma non so dove tu abbia letto nelle mie parole che il femminismo è stato una favola se non un’impostura.
    Come te credo che il femminismo sia nato da una sacrosanta volontà di emancipazione ma diversamente da te credo che in molte delle sue conquiste sia talmente radicato e “normale” che non ci accorgiamo più che è esistito.
    Per questo motivo molte ragazze oggi danno per scontato che esistano molte libertà che le loro madri e nonne non avevano e mai penserebbero di sè di essere femministe.
    Certo, femministe sono state appunto le madri e le nonne che hanno lottato per ottenere quello che oggi esiste ed è un dato di fatto.
    Che poi oggi tutto remi contro le conquiste ottenute, come dimostra il libro di cui stiamo parlando, e che ci sia un continuo revisionismo ed attacco a quelle che sono state le lotte e le conquiste degli anni 60/70, e non parlo solo del femminismo, è un problema molto più vasto e che coinvolge tutti.
    Quindi non direi che il femminismo si è perso per strada per estremismo, infantilismo e mancanza di una visione strategica delle interessate, ma che come molte conquiste di quegli anni ha dovuto scontrarsi contro il revisionismo di una società che non vuole rivoluzioni.
    Non è facile condensare in poche righe quarant’anni di storia. uff…

  4. Riccà, i revisionisti non sono “quelli”, ma siamo tutti.
    Tutte/i quelli che educano le bambine ad essere carine e docili, tutte quelle che ambiscono a fare la velina, tutte le madri che dicono alla figlia di lavare i piatti mentre il figlio gioca con la playstation, tutti quelli che guardano i programmi in televisione senza indignarsi se il presentatore è in abito scuro e la donnina di turno in costume da bagno, tutte le donne che si sentono a metà se vicino non hanno un uomo etc. etc.
    Gli esempi li conosciamo tutti, se minimo minimo abbiamo un po’ di coscienza critica, quindi non continuo. D’altronde c’è apposta il libro della Lipperini e prima ancora quello della Gianini Belotti.
    Insomma, siamo, (con un po’ di eccezioni, io no per esempio) tutti revisionisti.

  5. Elena, non so se ti rendi conta che, nel giro di tre risposte, finisci per dire il contrario di quanto hai detto all’inizio. Dovrei mettermi a esercitare ironia e maieutica, ma non ne ho proprio voglia. E poi, a cosa servirebbe? Bella giornata, oggi, eh? Ciao.

  6. La mia risposta (Non La Risposta) è che non abbiamo lottato per mettere la minigonna, ma per poter diporre dei nostri corpi e diventare così quello che tutti gli esseri umani sono: una unità corpo-mente. La minigonna era un simbolo non da ‘conquistare’ in quanto tale (abbiamo anche dovuto conquistare anche i pantaloni, per esempio)), ma nel quale poter vedere noi stesse se ne avevamo voglia. Infatti usavamo, pressocchè in contemporanea (almeno dei ’70) gonne lunghe e scarponacci. Poter uscire da una moda imposta o dai ‘costumi
    tradizionali’ era l’abbandono formale di ruoli che non accettavamo più. Anche oggi non si lotta per ‘levarsi la minigonna’ (continuiamo a vestirci come ci pare), ma per uscire dal ruolo della disponibilità sessuale obbligatoria che sculetta a culo scoperto in cui vorrebbero confinarci (e guai a trasgredire, pena la scarsa modernità e disinvoltura al posto della decenza e modestia di ieri). In altri tempi ci confinavano nei ruoli di angelo del focolare o puttana, oggi ci vorrebbero in entrambi, contemporaneamente, tanto per risparmiare 🙂
    Che le donne debbano lottare (abbiano dovuto farlo) per decidere come
    vestirsi o come non vestirsi è significativo di quanto per questo genere anche l’aspetto di ‘semplice’ vestiario abbia avuto nei secoli una importanza ‘mostruosa’ nel definirne i ruoli. Gli uomini hanno cambiato il loro modo di vestire seguendo vie meno problematiche e mai dovendo lottare o dare spiegazioni alle donne per mettere il tricorno, le ghette i bermuda/perizomi o per levarseli. Questa facilità nel gestire le proprie esistenze corporee anche dal punto di vista del vestiario e del simbolico ad esso legato la dice lunga sui percorsi dei due sessi (per non parlare degli altri laterali ai due principali 🙂 per una identità fuori dalle costrizioni di Potere.
    besos

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