POP RELOADED

Poco, pochissimo tempo. Chiedo venia e posto l’intervento di Valerio Magrelli sulla Pop Filosofia uscito oggi su Repubblica. Gustatevelo.
«Perché parlare di tragico pare filosofico e parlare di comico no? Perché si può andare in cattedra con un libro su Heidegger e non con un libro sulla pornografia? Perché i miti sembrano una gran cosa e le barzellette no? Ed è così da sempre, o dipende da una involuzione moderna della filosofia?». Tempo fa, con questa incalzante serie di interrogativi, Maurizio Ferraris, Ugo Perone e Alberto Voltolini hanno introdotto un ciclo di incontri torinesi dedicato alla Filosofia Pop. Affermatasi ormai da vari anni in area angloamericana (ma sulle tracce dello strutturalismo), questa tendenza mira ad applicare gli strumenti della tradizione speculativa a esempi di cultura popolare, un po´ sul genere dei Miti d´oggi di Roland Barthes. Lo ha spiegato bene la studiosa statunitense Avital Ronell, affermando che, se Aristotele scrivesse adesso, si occuperebbe di soap opera.
L´idea di fondo della filosofia pop, insomma, è che non c´è niente di intoccabile: nulla di tanto alto da non poter essere criticato, nulla di così basso da non meritare una considerazione filosofica. Da qui l´idea di affrontare sia temi classici in forma non convenzionale, sia temi che hanno piena dignità teorica, ma che per qualche motivo sembrano marginali.
Grande fortuna ha avuto a tale riguardo il volume Matrix e la Filosofia (a cura di William Irwin e Vincenzo Cicero, Bompiani), dedicato a quel film dei fratelli Wachowski che fra l´altro, nel 2003, fu oggetto di un convegno nel segno di Platone cui parteciparono lo stesso Ferraris, Giulio Giorello, Diego Marconi e Carlo Sini. Sulla stessa linea si colloca il recente Stramaledettamente logico. Esercizi di filosofia su pellicola, a cura di Armando Massarenti (Laterza), che affronta alcune cruciali domande filosofiche basandosi su altrettante sceneggiature per il cinema. Tuttavia, chi si è più concentrato su questo filone di ricerca è stato forse Simone Regazzoni, prima con Harry Potter e la filosofia (il nuovo melangolo), poi con La filosofia di Lost (Ponte alle Grazie), infine con un testo appena uscito a sua cura con il titolo Pop filosofia (il nuovo melangolo, pagg. 253, euro 15). Gli undici capitoli del libro spaziano dall´analisi della pop music di Michael Jackson a quella della fiction televisiva italiana e straniera, passando attraverso l´esame di un film come Mucchio selvaggio di Sam Peckimpah.
Il lettore è avvisato: il gioco consisterà nel sottoporre prodotti di consumo al vaglio critico, per osservarne la configurazione, il funzionamento, l´ideologia sottaciuta. Non a caso, l´intera operazione si colloca nel solco di quanto scrisse Peter Sloterdijk: «Noi non dobbiamo essere titubanti nel pensare oltre i confini dell´attività accademica. La crisi complessiva dei nostri giorni dovrebbe spingere la filosofia che si è rinchiusa nel grembo delle università ad abbandonare il suo nascondiglio».
Vediamo allora come procede questa opera di smontaggio. Mettendo da parte alcuni saggi meno immediati per il lettore-spettatore italiano (che forse non sempre conosce certe serie televisive come Mad men, o certe graphic novel quali Asterios Polyp), cominciamo da Sex and the City. Nelle loro sedute di autocoscienza post-moderne, spiega Francesca R. Recchia Luciani, le quattro protagoniste femminili non fanno che cercare il senso della propria esperienza. Inoltre la modalità interrogativa con cui la giornalista Carrie avvia ogni suo articolo (mettendo così in moto il plot che caratterizza ogni singolo episodio), si mostra come un esercizio eminentemente filosofico. La sua è una vera e propria indagine di antropologia sessuale, e come tale viene esaminata dalla studiosa, vuoi ricorrendo alla riflessione offerta da Michel Foucault, Giorgio Agamben o Jean-Luc Nancy, vuoi accostandola ad alcuni esiti dell´arte contemporanea (Jeff Koons, Tracey Emin, Sophie Calle).
I nomi di Foucault e Agamben, insieme a quelli di Gilles Deleuze e Paolo Virno, tornano anche nell´esame di Romanzo criminale, il romanzo di Giancarlo De Cataldo in cui Lorenzo Fabbri scorge una autentica “cartografia politica” della forma-Stato e in genere della società di controllo. Con una specie di lunga zoomata, le vicende della banda della Magliana finiscono per incrociare le più sofisticate meditazioni sui dispositivi di repressione, tracciando un nero ritratto dell´Italia del secondo dopoguerra. Qualcosa di analogo si verifica anche nel saggio di Giulio Itzcovich sulla versione inglese del Grande fratello, mentre il saggio del collettivo Wu Ming 1 sul film 300 di Zack Snyder propone un´apertura differente.
Attraverso il concetto di “tecnicizzazione del mito” formulato da Furio Jesi, la pellicola finisce per svelare la sua natura sostanzialmente banalizzata, caratterizzata da una serie di falsificazioni storiche. Una volta superato lo sconcerto che nasce dallo squilibrio fra l´oggetto studiato e il mezzo impiegato nella sua analisi, prestazioni critiche tanto brillanti e acute portano a dire che la Pop filosofia ha vinto la sua scommessa. Tuttavia, sarebbe più giusto affermare che la sua funzione, per quanto utile come esercizio di decifrazione, appare decisamente secondaria rispetto a quella dell´elaborazione teorica vera e propria. Ben venga questo tipo di ricerche, a patto però di tenere ben distinte le due fasi del processo speculativo: una cosa è applicare uno strumento ai più diversi aspetti della cultura di massa, un´altra, assai più complessa, riuscire a forgiarlo.

44 pensieri su “POP RELOADED

  1. L’intervento è assai bello e condivisibile. Ma nuovo oramai per pochi. Quello che qui Valerio Magrelli chiama Filosofia pop sono gli arcinoti cultural studies, che oramai hanno persino dei dipartimenti in qualche università italiana (Napoi federico secondo, spero di non sbagliare, lui queste cose le sa meglio di me)- akoma, ha fatto un numero monotematico (uno è quello che ho io, ma altri prob. ce ne saranno) per dire su “i Soprano e gli altri” e molte riviste specializzate ospitano filosofia pop – per esempio in quelle di psicoanalisi e psicologia analitica. Certo sono i campi della cultura di nicchia, e certi pregiudizi sono forse nelle lande dei buoni lettori fuori da certi contesti – forse nelle pagine culturali dei loro giornali. Il problema che mi fa venire in mente è nella triste mancanza di circolazione tra cultura scientifica e contesti extrascientifici. Nelle università italiane, e in molte riviste di nicchia a scarsa distribuzione circolano un mucchio di idee interessanti e più avanzate di quello che la cultura generale e l’andazzo del paese lascerebbero credere. Solo che non lo sa nessuno.

  2. Ecco, aggiungo. Mi piacerebbe che si facesse tipo un sito, che metta insieme un po’ degli articoli pubblicati nelle riviste specializzate, anche in area cultural studies dimenticati da DIo e dal mondo, e che moltissime persone troverebbero molto interessanti e divertenti (perchè c’è sempre un po’ di avanzo reazionario in noi, o sono io non so, ma ecco a me la Colombo che scrive su Beautiful cose serissime, o quando è capitato a me di scrivere ner mi piccolo di fratelli vanzina e inconscio collettivo – insomma, ci si diverte!)

  3. Le idee filosofiche sono dai tempi di Platone fonti di storie e di racconti. E Platone stesso, elaborando miti (che in greco significa narrazioni) come ad esempio quello della caverna, ha inaugurato la narrazione che parte da idee filosofiche. Trovare allora della filosofia nei Simpson, in Lost, in Harry Potter, significa in fondo ritrovare il nucleo filosofico ed euristico di queste opere. Significa anche usarle per fare critica filosofica, ma questo è proprio della filosofia tout court senza ulteriori aggettivazioni in effetti dai tempi della poetica di Aristotele. La pop filosofia non è una novità non solo rispetto ai cultural studies ma qui da noi in Italia essa è iniziata negli anni ’60 con “apocalittici e integrati” di Umberto Eco, che poi avrebbe affinato con una sorta di filosofia regionale, per dirla con Husserl, la semiotica, i suoi strumenti di analisi. E’ positivo che l’accademia tutta, non solo Eco e i suoi allevi, anche in Italia guardi al popular, nell’accezione datane da Wu Ming, (era ora!), e sarebbe importante che questi studi non si limitassero all’ambito accademico ma lo travalicassero con contributi anche di non accademici. Mi pare che peraltro sia questa la direzione in cui va il libro dell’ottimo Regazzoni. L’unico rilievo lievemente critico è di non chiamarla pop filosofia ma semplicemente filosofia.

  4. In effetti se ‘pop’ si riferisce all’oggetto dell’analisi potrebbe essere fuorviante. Stanley Cavell, che non vedo quasi mai citato quando si parla di filosofia pop, ha scritto dei bellissimi testi su Shakesperare, sui film, in particolare quelli della commedia sofisticata americana, e sulla televisione.
    A leggerli in sequenza sembra si vada in decrescendo: dall’Alto (aristocratico) verso il basso (popolare), ma è un problema ottico: Shakespeare era molto pop ai suoi tempi.
    E insomma io l’aggettivo ‘pop’ lo lascerei stare, sono d’accordo con Marco Meneghelli.

  5. Io non sono del tutto d’accordo: l’operazione che è qui proposta sembra: data una verità (io direi una varietà, o una scuola) filosofica, cerchiamone le tracce nel prodotto pop; o dato un prodotto pop, leggiamolo filosoficamente.
    Strano invero, visto che digiuni di filosofia buona parte degli sceneggiatori non sono, che certe speculazioni fanno parte dello zeitgeist e altre sono emerite banalità (ma no! nelle loro chiacchiere Carrie&co *si interrogano* sul senso della loro esistenza! inaudito! mia madre e le sue amiche non lo hanno mai fatto!).
    Operazione legittima, una sorta di divulgazione clandestina della filosofia che alla filosofia accademica non può che fare bene. Ma non nuova (come hanno fatto notare altri comentatori), in ritardo (la piscanalisi ha saputo percorrere questa strada meglio e prima, inutile che racconti io perché) e soprattutto secondaria, perché non apporta novità nel cuore dell’attività filosofica.
    Una pop filosofia dovrebbe essere creativamente pop anche a livello teorico, dovrebbe accettare il fatto che (per esempio) Courtney Love con un video è capace di esprimere efficacemente concetti intorno ai quali un post-strutturalista vaga errando; dovrebbe squarciare orizzonti teorici con la stessa coerenza, velocità e potenza di una canzone da hit parade, senza rinunciare alle proprie radici. Il resto è solo un’affannosa rincorsa – o filosofologia, come dice Pirsig.

  6. “Una pop filosofia dovrebbe essere creativamente pop anche a livello teorico, dovrebbe accettare il fatto che (per esempio) Courtney Love con un video è capace di esprimere efficacemente concetti intorno ai quali un post-strutturalista vaga errando”
    A giudicare dal prologo del libro, pare si tratti proprio di questo approccio. Mi sembra che qui si sta verificando qualcosa di solito: data una recensione di un libro, si parla del libro conoscendo soltanto la recensione…

  7. Secondo me la questione è che per la verità non stiamo parlando necessariamente di filosofia. Stiamo parlando di certi contesti disciplinari in cui dinnanzi al dovere di lavorare sodo sulla contemporaneità la si prende sul serio totalmente. Fare cultural studies non vuol dire fare filosofia esclusivamente anzi, vuol dire per esempio fare ottima storiografia contemporanea tutto sommato c’è poca differenza tra la scuola storiografica francese e un istituto che lavora sul significato collettivo da attribuire a Madonna. Cambia solo il momento storico di riferimento, ma il concetto di fondo è l’importanza di una globalità storica – di un mondo da prendere sul serio tutto intero. Fare cultural studies vuol dire anche fare buona storia della letteratura. Quando si lavora bene si lavora in maniera totale il risultato convergerà anche nella filosofia ma l’utenza può comunque tenere a mente la sua cornice di lavoro: Edward Seid, per esempio – è filosoficamente saccheggiatissimo, ma riflette sulle questioni della critica letteraria.
    Nel mio contesto psicoanalitico, l’utilizzazione di questi oggetti e la sua comprensione sono strumenti di lavoro. E tutto sommato – se non ricordo male certe fughe nelle poesie di Magrelli, anche del suo.

  8. In effetti io il libro di Ragazzoni non l’ho letto, ho solo sentito l’intervista che gli ha fatto Loredana a Faherenheit. Mi sono ripromessa di leggerlo, ma quel ‘pop’, ripeto: se riferito all’oggetto, mi lascia perplessa.
    Da quel poco che ho letto non si tratta tanto di analizzare oggetti pop, come fanno i cultural studies per esempio, ma di affrontare problemi filosofici, tradizionalmente filosofici, a partire da oggetti pop.
    E qui entra in campo il linguaggio e il metodo con cui li si affronta (oggetti pop e problemi) e il pubblico a cui ci si rivolge. Su questo mi pare si discutesse a Fahrenheit. Ma potrei aver capito male.

  9. Ho letto la prefazione, e da quella ho ricavato la mia impressione. Cito: “Usiamo il termine esposizione sia per indicare una presentazione, sia una grande vulnerabilità. Raramente pensiamo che ‘esporre qualcosa’ coinvolga inevitabilmente entrambi. Preferiamo lasciare aperta l’ipotesi che vi sia qualcosa di integro, che qualcosa possa sottrarsi all’esposizione. A rigore, infatti, niente si sottrae all’esposizione, e alla sua ambiguità. Di integro, di intatto, c’è solo il nulla. Il pensiero non fa pertanto eccezione: per quanto lo si possa tenere al riparo, per quanto lo si indirizzi in un certo modo, il pensiero può esporre se stesso, può lanciare idee non solo subirle. Tutti possono allora diventare pubblicitari: è un altro motivo di Mad Men, il motivo che ci indirizza verso un uso inventivo del pensiero, verso una pop filosofia creativa, oltre che critica”.
    Esattamente dove ha coerenza, velocità e potenza – esattamente dove vedi la mutazione che avvicina queste frasi al linguaggio di un videoclip? Per esempio.

  10. La prefazione è un “meta-testo”, che presenta gli altri testi, e spiega solo il metodo, ma con un linguaggio che non è necessariamente quello dei contributi che seguono. Io aspetto di leggere il libro intero.

  11. Peccato che nella prefazione qui citata si citava un passo del testo interno… non ho raddoppiato le virgolette, incuria mia: scusa Leonardo. Non vorrei demolire il progetto senza conoscerlo, ma nemmeno aderirvi per principio o per simpatia.
    Nella prefazione ci sono vari assunti di Regazzoni che non condivido; io immagino che una pop filosofia dovrebbe essere differente, lo dico. Probabilmente nel volume ci saranno interventi con cui mi troverò più o meno in sintonia, ma se il curatore reclama una metamorfosi del linguaggio filosofico, voglio vederla in atto: qui è tutta da verificare.

  12. L’importante è che si tratti di una analisi e riflessione seria e non di una scusa per essere invitati in tivù a spiegare Lost, commentare Avatar e decostruire Lady Gaga, ovvero una continuazione della pubblicità con altri mezzi.
    Il pericolo in cui a volte cadono questi studi è quello di prendere per buona la rappresentazione dei media della realtà rispetto alla realtà stessa. Per esempio, una analisi dei telefilm polizieschi americani oggi dovrebbe considerare da una parte la loro crescita esponenziale e dall’altra il massiccio CALO della criminalità negli Usa negli ultimi vent’anni. Oppure la popolarità degli show medici di fronte ad una aspettativa di vita crescente. O in generale l’estremizzazione della violenza in contesti in cui è essa è sempre più lontana dalla vita quotidiana.
    Vero, una filosofia che non si in grado di comprendere anche il Grande Fratello non è degna di questo nome. Ma non posso fare a meno di notare che tutte le analisi che ho letto finora sul GF, anche intelligenti, si basano tutte sulla percezione degli spettatori e nessuna sull’esperienza dei concorrenti, ovviamente ben più complessa da trattare. Insomma, se questa filosofia si situa solamente dalla parte dello spettatore, cioè la posizione di gran parte dell’umanità praticamente su tutto, senza considerare l’opera degli autori finisce per essere unilaterale e poco utile.

  13. mi piacerebbe uno studio serio ed attento su cosa sia “l’utenza” rispetto alla vita e al mondo e cosa siano “gli esperti” che di vita e mondo parlano tra sé e per sé come fosse un mestiere da cui trarre sostentamento economico – vivaddio! – e qualche tavola rotonda da rimbalzare una con l’altra.
    Lasciando il volgo a crogiolarsi tra Madonna e la soap opera, volgo ben consapevole, o forse schiavo dell’idea, che il mondo si esaurisce lì. Così è ben finito anche il mestiere dell’intellettuale che scardina il falso, che smaschera le imposture, che indica la corruzione del Palazzo ma anche delle “coscienze”. Sono un po’ all’antica, mi diverto pochissimo a leggere colti saggi sul cinepanettone natalizio e temo anche che se Aristotele vivesse oggi farebbe tutt’al più il meccanico… al massimo l’idraulico.

  14. @ “qui è tutta da verificare”
    Ma allora andiamo a verificarla, sospendiamo i giudizi e diamoli una volta letto il libro.
    @ “mi diverto pochissimo a leggere colti saggi sul cinepanettone natalizio”
    come fai a sapere che ti annoierebbero? Fino a prova contraria nessuno ne ha mai scritti!

  15. L’incipit promette più di quanto dia il seguito. Il carattere *onnivoro* della filosofia, l’opportunità di farla uscire da un contesto che la consuma (quello accademico) senza valorizzarne l’aspetto più vitale, non so quanto possa trovare riscontro nell’analisi più o meno filosofica dei prodotti commerciali più in voga del momento. Sarebbe interessante, oltre a questo, analizzare filosoficamente l’uso di un oggetto quotidiano, per esempio, o i caratteri delle persone, i vezzi…

  16. Fa piacere vedere che almeno si comincia a discutere della cosa. Spero se ne continuerà a discutere seriamente anche dopo aver letto il testo e non solo la sua recensione. La scelta del termine Pop è strategica. Importa poco che sia più o meno bello. Serve a marcare uno scarto: cosa che non è sufficiente fare nei contenuti e nel linguaggio. Come dovrebbe essere chiaro a tutti. La filosofia lo fa da sempre, d’altra parte, come per altro quasi tutti i campi del sapere. Servono in certi contesti anche parole d’ordine: questione di efficacia. Il volume Pop filosofia non esaurisce certo il campo di una filosofia che pensa con e attraverso la cultura “pop” (se non vi piace la formula trovatene un’altra). Vuole solo provare a dare il via a qualcosa che, nei fatti, in Italia ancora non c’è (i Cultural Studies sono altra cosa). Che si cominci a scrivere dunque. Perché di libri di questo genere scritti da giovani filosofi in Italia io non ne vedo.

  17. Beh, io l’ho messo nei desiderata della biblioteca della mia città: ci vorranno un paio di mesi prima che lo comprino.

  18. Scusi, Regazzoni, io ho apprezzato la sua conversazione a Fahrenheit e le sue argomentazioni, che mi hanno convinto più di quelle di Nicla Vassallo. Aspetto di leggere il libro per darne un giudizio più meditato. Ma con una cosa non sono d’accordo del suo intervento qui, quel “Come dovrebbe essere chiaro a tutti”. E no, scusi, non a tutti le cose sono chiare, e per disomogeneità intellettuale di quei tutti e per eventuale opacità delle cose stesse.
    Io per esempio avevo solo intuito che ‘pop’ servisse a marcare uno scarto, ma non mi era chiarissimo. Per cui la ringrazio della sua utilissima spiegazione, ma non riesco ad apprezzarne il tono. Come non ho apprezzato affatto il tono di Nicla Vassallo a Fahrnheit-
    In un discorso ‘essoterico’, che vuole rivolgergersi programmaticamente e in modo molto apprezzabile a molti, i toni contano secondo me, e pure molto.

  19. La questione dell’essoterico è precisamente la questione di un discorso che adegua toni e linguaggio al contesto. Se non ho capito male leggendo gli interventi (cosa possibile) qui il contesto è quello di una di una discussione tra persone che non sono digiune di questi temi: si parla di filosofia, cultural studies, si cita Said, ecc. Il “come dovrebbe essere chiaro a tutti” era un modo sintetico per dire: ma come mai vi stupite se un discorso filosofico usa per auto-definirsi un’etichetta? visto che questo accade da sempre non solo in filosofia ma in quasi tutti i campi del sapere? Capirei un’obiezione, in questo contesto, circa la scarsa efficacia di quell’etichetta ma non affermazioni del tipo “ma è comunque filosofia allora perché non chiamarla filosofia?”. Anche la fenomenologia, la decostruzione, l’esistenzialismo erano filosofia. Comunque se c’è da spiegare non sono certo uno che si tira in dietro. Ci sono altre considerazioni che trovo un po’ ingenue, sempre tenuto conto del contesto. Tipo quelle sull’andare in televisione. Ma ben venga la televisione! Si tratterà poi ogni volta di scegliere come e dove. Ha ragione Sloterdijk su questo (non a caso è citato in epigrafe): dobbiamo riportare la filosofia in televisione. Il che significa in primo luogo mettere da parte tutta una serie di canzoni da organetto sulla società dello spettacolo e sul rapporto tra media e realtà.

  20. Dal mio punto di vista, un filosofo si può occupare di una vastissima quantità di questioni, dall’ontologia alla mereologia, dalla metafisica alla teologia, dalla critica letteraria alla linguistica, a temi popular come i telefilm and so on. Educato dallo sguardo filosofico di Umberto Eco, proprio non riesco a cogliere la differenza, da un punto di vista filosofico, tra argomenti e temi che potremmo definire elitari e argomenti popolari. Se l’oggetto è degno di una considerazione pensante si può trattare di Charlie Brown o di Dylan Dog come di Lorenzo Lotto o Michelangelo in modo del tutto analogo. Ribadire il carattere pop di una filosofia possibile è marcare una differenza che tende a differenziare gli oggetti di studio. Se si vuole è lo stesso atteggiamento della filosofia delle elites accademiche, l’altra e medesima faccia del problema. Per cui i discorsi della Vassallo e di Regazzoni nel contrapporre una visione pop e una accademica della filosofia sono un unico e medesimo discorso (intraccademico). Un conto è parlare di ermenuetica, decostruzionismo, fenomenologia, neopositivismo, ecc. quelle sono correnti filosofiche che dipendono da una precisa teoria (Derrida, Heidegger; Husserl, Carnap). Altro conto è dare un aggettivo alla filosofia, rispetto agli oggetti di cui si dovrebbe occupare. Come quando si parla di un’altra filosofia di moda, la neurofilosofia. Non trovo proprio alcun problema nel chiamarla semplicemente filosofia, ripeto, darne un’aggettivazione marca una differenza che autoemargina programmaticamente il discorso teorico, e ne specifica aprioristicamente l’interesse e l’oggetto di studio in una sorta di petizione di principio. In ogni caso credo che comprerò il libro non tanto per questioni di metodo, ma di merito. Gli argomenti di cui in esso si parla mi interessano come spero mi interesseranno le analisi messe in campo

  21. Sottoscrivo quello che dici Marco: se la differenza fosse solo di oggetto, parlare di pop filosofia sarebbe ricadere in vecchie distinzione tra alto e basso ecc. Si fa filosofia, punto. Ma questo è qualcosa che già accade. Il discorso della pop filosofia però, come cerco di chiarire nell’introduzione, è un altro. In sintesi: è possibile creare testi che, lavorando con oggetti vari della pop culture, sappiano contaminarsi con essa, mutarsi in un oggetto filosofico nuovo che abbia la forza essoterica di arrivare al vasto pubblico? Perché un conto è lavorare filosoficamente con la cultura pop o e Lorenzo Lotto (su cui ad esempio io ho scritto). Tutt’altro e cercare di creare un oggetto pop filosofico che, proprio come certe opere pop, sappia essere al contempo complesso e popolare, sperimentale e popolare. Per la pop filosofia è essenziale arrivare a un vasto pubblico. Il che significa attenzione alla scrittura, alla confezione stessa del libro e anche all’editore (senza che nessuno debba scandalizzarsi). Se decido di pubblicare un libro e non di scrivere un testo in rete dovrò anche sapere che se pubblico con un editore mal distribuito nell’attuale panorama editoriale il libro non circola. Un libro di pop filosofia magari bellissimo che circolasse tra le mani di 500 lettori non avrebbe alcun senso. Ecco perché mi serve un’etichetta per quello che sto facendo. Perché non si tratta semplicemente di fare filosofia.

  22. Ecco, grazie, si è spiegato benissimo. E sono pienamente d’accordo con lei. Solo, almeno per me, le cose che lei dice non sono ‘autoevidenti’, perchè per i più, e pure per gli accademici (sopratutto per loro), ‘pop filosofia’ può suonare come un ossimoro. Ad esempio Camurri ieri, a paginatre, presentando l’articolo di Magrelli ci ha tenuto a prendere le distanze dalla filosofia pop, non dandone alcuna motivazione, ma con un tono (ancora il tono) che stava a dire ‘è evidente perché’.
    Ecco, secondo me, troppe ‘autoevidenze’ non fanno bene alla comunicazione.
    Comunque ora ho capito che le cose che dice, almeno per il momento e senza leggere il libro, le condivido in pieno.

  23. Bene, sempre per esigenza di chiarezza mi permetto di rinviarla (che ne dice Valeria se discutiamo dandoci del tu?) a Carmilla, dove è stato pubblicato il prologo del libro in cui si traccia il profilo di che cosa si intende per Pop filosofia. Se in ogni caso Pop filosofia suona alle orecchie accademiche come ossimoro è perché si dimentica che nella tradizione filosofica la questione del popolare non è certo una novità: si trova in tutta la storia della filosofia, declinata in molti modi. Volendo, visto che si evocava Cavell (autore peraltro da me citato in un precedente libro su Lost), si può parlare dell’esigenza di dare nuove spoglie, più democratiche, a questa forma di sapere chiamata filosofia. Magari guardando anche a ciò che accade nello spazio della letteratura italiana che lavora nel popular (penso a Wu Ming, Kai Zen, Simone Sarasso). Perché la pop filosofia se vuole lavorare anche in direzione di nuove pratiche di scrittura deve cominciare a recuperare il proprio rapporto con la letteratura. E’ un lavoro ancora tutto da fare, qui siamo solo agli inizi (e il rischio di passi falsi è all’ordine del giorno). Da questo punto di vista il tipo di reazione accademica che tutto ciò suscita importa poco. Tenendo conto anche del livello della maggior parte dei filosofi accademici italiani e della loro apertura mentale. Se sono interessati a discutere, bene; altrimenti che si affannino pure a trovare contributi per pubblicare presso la stamperia sotto casa il loro ultimo capolavoro che non leggerà nessuno. A me interessa piuttosto che tipo di impatto ha la pop filosofia nel fuori. Il che, tra le altre cose, significa vedere quanti giovani filosofi sono disposti a mettersi in gioco per cominciare a lavorare altrimenti. Cosa che non significa discutere all’infinito se sia una buona o cattiva etichetta pop filosofia come se si fosse in un seminario del dottorato. Ma scrivere: scrivere per dar vita a testi che producano davvero circolazione di idee in un paese che, diciamo così, sembra averne bisogno.
    filosofiahttp://www.carmillaonline.com/archives/2010/03/003393.html#003393

  24. Io sono d’accordo su tutto – l’unica cosa che non capisco è perchè la famosa filosofia pop dovrebbe essere così smodatamente diversa dai cultural studies – mi sembra una differenza blanda, spesso anzi annullabile una mera questione di illusioni ottiche, con uno che dice tzk l’angolatura mia è quella più fica.
    Voglio dire: prendo un oggetto pop lo destrutturo e lo interpreto decidendo di utilizzare una certa cornice concettuale: questa operazione mi fa dire delle cose e sulle categorie interpretative adottate e sull’oggetto in questione. Nel caso specifico, si usa un armamentario filosofico: se il livello è alto che si tratti di filosofia o che si tratti di altro è piuttosto secondario, anzi deve essere secondario: non mi serve niente una filosofia che distorca gli oggetti ai suoi fini. Non ci faccio niente con un’operazione culturale che semplifichi la filosofia per far risaltare gli oggetti (in realtà è un rischio questo che a bassi livelli si incontra non di rado, nelle famose riviste accademiche).
    Voglio dire Adorno, non lo so se lo sanno tutti o no, ma ad ogni modo: Adorno ha scritto molte cose in termini di filosofia pop. E in ragione di questo è anche lui saccheggiato nei più disparati contesti – i maltrattati forzati dei cultural studies ci vanno pazzi. Per fare un esempio, quando parlano di Musica e di Jazz si ricordano sempre di lui. Il libro – Prismi, se non erro – è lo stesso, le direzioni dello sguardo sono due. L’utilizzazione possibile era doppia. Insomma un po’ come con le strade a doppio senso.

  25. A proposito di letteratura, se il libro pop avesse un po’ della forza che hanno i libri di Biondillo non sarebbe male:-)
    Sulla differenza tra Pop filosofia e Cultural Studies non è questione di angolatura più fica: un bel saggio di Cultural Studies su Sasha Grey è sicuramente più fico di molti testi pop contenuti nel nostro libro. Scherzi a parte (ma non troppo, aspettate ancora un mese e arriva anche Sasha Grey in salsa pop filosofica): i Cultural Studies sono, almeno per me, interessantissimi. Non è questo il punto. La questione è che non si tratta di applicare la filosofia alla cultura pop. No: nessuna applicazione di strumenti filosofici a oggetti pop. Si tratta di creare testi (non dirò nemmeno saggi) che contaminino filosofia e cultura pop e si presentino essi stessi non come “saggi su” ma come oggetti pop non ben identificabili. Non si tratta di abbassare il livello: il gergo accademico in sé non è certo garanzia di vette concettuali. Ma di scrivere altrimenti. E’ qui la scommessa. Scrivere altrimenti perché un libro di pop filosofia possa essere letto come un romanzo e avere la circolazione di un romanzo. Mi permetto, per chiarire quello che intendo, di fare un esempio. Ho scritto un libro di filosofia su Lost. Ebbene: tutto il libro è scritto rivolgendomi a un tu femminile con cui parlo. E il sottotitolo è precisamente Philosophy fiction. Quel testo è un’opera di fiction. Quando l’accademico reagisce con: libro furbo, poco rigoroso è perché pensa che si debba scrivere di filosofia solo nella forma del saggio. Ma basta leggere il prologo pubblicato su Carmilla del nostro libro Pop per capire che il tipo di scrittura non è quella del saggio (e date un’occhiata anche alle epigrafi: se leggete bene scoprirete alcune sorprese). La quarta di copertina del libro Pop è un evidente plagio da American Tabloid: “La filosofia non è mai stata innocente. Ha perso la verginità in piazza…”. I caratteri del titolo sono esattamente quelli di Pulp Fiction. Ecco, tutto questo non fa di Pop filosofia proprio un saggio classico. Poi (mi rivolgo a Zauberilla) se tu leggendolo non trovi grandi differenze rispetto a un saggio di Cultural Studies o ad Adorno, nessun problema. Il lettore può fare del libro quello che vuole, anche usarlo per non fare traballare la scrivania. Non ho nessun interesse a rivendicare novità di alcun tipo. Non a caso nel prologo evoco Aristotele. La pop filosofia è una cosa magnificamente vecchia, arcaica direi. E noi siamo giovani e maldestri imitatori pop dei classici.

  26. Ho letto finalmente l’introduzione. Per economizzare sui link, rimando a questo blog, dove c’è il link sia al testo su Carmilla che all’intervista a Fahrenheit.
    Allora, d’accordo, vada per il tu.
    Mi pare che nell’introduzione tu cerchi di rendere conto sia di ciò che la filosofia pop si propone sia delle eventuali obiezioni che a questo programma, intenzione, sfida, delirio, o come uno le vuole chiamare, si possono muovere.
    Prendo una frase di Peter Szendi citata da te: “La pop filosofia non è un pensiero costituito, applicato a diversi oggetti della populare culture; essa è, al contrario, un pensiero che si cerca, filosoficamente, a partire dalla sua esposizione all’impuro. E lasciandosi profondamente, appassionatamente, affettare. O infettare”.
    Non è dichiarazione da poco, anzi secondo me è qui lo scandalo (nel senso buono e cattivo del termine, a seconda da la sfida la lancia e da chi la riceve): la filosofia pop assume come rischio consapevole (e tu lo dici in modo esplicito) il misurarsi, l’entrare dentro, il lasciarsi contaminare dalla cultura popular, addirittura assume il rischio massimo di diventare merce.
    Secondo me, è una rivoluzione copernicana, perché ribalta quello che è un assunto ormai più che secolare: la massa e tutti i suoi prodotti sono il male: degradati e corrotti, corrompono a loro volta tutto ciò che vi accosta. Dunque bisogna prenderne le distanze o, comunque, assumere un atteggiamento sprezzante e derisorio di tutto ciò che è pop e che a questo voglia avvicinarsi.
    Insomma se la servetta tracia ride, oggi talete sghignazza.
    Premetto che sul tema della cosiddetta cultura di massa io sono contemporaneamente apocalittica e integrata, e mi dilanio in questa contraddizione, però proprio per questo apprezzo molto tutti quelli che lo affrontano in modo serio e radicale.
    Apprezzamento che non vedo venire da molte parte. Perché quell’assunto di cui ho parlato sopra mi sembra quasi inamovibile e sempre più radicato, tanto che diventa il non detto, il ‘chiaro che è così’, che impedisce un serio confronto o lo schiaccia sul piano meramente retorico (quello che mi pare abbia fatto Nicla Vassallo nella conversazione a Fahre).
    Ora però ti chiedo: se oggi la filosofia cede di nuovo all’anaideia, alla sfrontatezza, come dici tu e affronta il rischio di scendere e contaminarsi sul piano pubblico, sull’essoterico, come bisogna intendere oggi la filosofia esoterica, quale ruolo affidargli? Perché nell’antichità coesistevano entrambe.

  27. Ho scritto di fretta, scusatemi degli errori, sono troppi per correggerli, ma spero che il senso di quello che voleva dire si capisca.

  28. Peter Sloterdijk ha un programma di filosofia in tivù in prima serata su una rete nazionale (insieme a Rudiger Safranski) e da quella posizione può occuparsi di quel che vuole. Un occhio all’attualità, chiaro, ma non è costretto a occuparsi di Sanremo per elemosinare una comparsata da Giletti o dalla D’Urso. Insomma, andare in televisione a parlare di filosofia sì, ma a che prezzo?
    Come pure fare finta (oggi!) che la massa e i suoi prodotti (che ovviamente non è la massa a produrre) siano il male, degradati e corrotti etc etc – che è proprio il modo per finire da Mollica o sul Corriere della Sera….
    L’altra eccezione, cioè prendere degli esempi dalla cultura di massa, può essere fatta bene o male ma non è certo rivoluzionaria che anche la filosofia più astratta ogni tanto ricorre ad esempi.
    Mi stupisce piuttosto che l’esempio presente in assoluto migliore di filosfia pop non sia citato da nessuno: Slavoj Zizek. Quando Zizek si occupa di cinema, dei film hollywoodiani in uscita, fa della filosofia e, inoltre, illumina il film di una luce singolare e nuova, facendo vedere cose inaspettate. Di più, Zizek è un ‘animale da palcoscenico’, lui stesso un perfetto manufatto pop (compreso il matrimonio con la modella argentina di intimo esperta di Lacan…). Zizek riesce a unire i due piani alla perfezione, anche perchè non fa mai l’errore di considerare davvero ‘popular’ i prodotti dell’industria ed evita accuratamente i sociologismi d’accatto…
    (comunque giuro, quando il libro arriva in biblioteca lo leggo)

  29. Sì, appunto…
    Come ho detto volevo segnalare alcune pecche che ho trovato finora in simili tentativi – il fatto è che, per quando il libro l’avrò letto non sarà possibile tornare a parlarne, che è il grosso problema dei forum e blog di libri al confronto di quelli televisivi, cinematografici o sportivi. E’ difficile che, quando esce un libro, tutti si precipitino a comperarlo e leggerlo rapidamente: i tempi sono sempre sfasati e si finisce a parlare dei libri precedenti di un autore o delle recensioni, mentre con un programma tivù di solito (ma non sempre) se ne parla avendolo visto…

  30. Per parte mia, Valeria, credo che occorra fare lo sforzo (e ti assicuro che è davvero tale) di lavorare a due livelli con strategie diverse: a livello essoterico e esoterico. E’ quello che faccio anche se, come è naturale, ad avere una eco maggiore sono i lavori essoterici. Ho scritto un libro di 500 pagine “La decostruzione del politico” e un’altro sulla nozione platonica di chora a partire da Derrida. Ne sto preparando un terzo sulla Sovranità. Perché credo che sia essenziale, vitale, continuare a lavorare anche a questo livello (il che che non significa scrivere saggi per i concorsi). Si tratta di muoversi su più fronti.
    Per quanto riguarda Zizek: lo leggo sistematicamente da anni. Non sempre sono d’accordo con le sue tesi, ma lo trovo uno dei pensatori più interessanti dell’attuale panorama filosofico. E sicuramente Zizek ha contribuito molto all’idea che si possa fare filosofia anche usando materiale pop. Rispetto a Zizek però la pop filosofia lavora in modo diverso con il pop. Ma per questo devo rimandare all’introduzione al libro.
    E’ vero: la televisione italiana versa in condizioni pietose. Ma ci sono trasmissioni in cui è possibile discutere in modo intelligente anche di filosofia. Io non mi privo a priori del mezzo, ma certo ogni volta si dovrà valutare bene se e come usarlo. Con tutti i rischi che ciò comporta e che non devono essere sottovalutati.

  31. Per parte mia, Valeria, credo che occorra fare lo sforzo (e ti assicuro che è davvero tale) di lavorare a due livelli con strategie diverse: a livello essoterico e esoterico. E’ quello che faccio anche se, come è naturale, ad avere una eco maggiore sono i lavori essoterici. Ho scritto un libro di 500 pagine “La decostruzione del politico” e un altro sulla nozione platonica di chora a partire da Derrida. Ne sto preparando un terzo sulla Sovranità. Perché credo che sia essenziale, vitale, continuare a lavorare anche a questo livello (il che non significa scrivere saggi per i concorsi). Si tratta di muoversi su più fronti.
    Per quanto riguarda Zizek: lo leggo sistematicamente da anni. Non sempre sono d’accordo con le sue tesi, ma lo trovo uno dei pensatori più interessanti dell’attuale panorama filosofico. E sicuramente Zizek ha contribuito molto all’idea che si possa fare filosofia anche usando materiale pop. Rispetto a Zizek però la pop filosofia lavora in modo diverso con il pop. Ma per questo devo rimandare all’introduzione al libro.
    E’ vero: la televisione italiana versa in condizioni pietose. Ma ci sono trasmissioni in cui è possibile discutere in modo decente anche di filosofia. Io non mi privo a priori del mezzo, ma certo ogni volta si dovrà valutare bene se e come usarlo. Con tutti i rischi che ciò comporta e che non devono essere sottovalutati.

  32. Uhm. Ora ho capito. Ammetto ammettissimo che si sono erette orde di linee difensive, per abbattere le quali c’è solo la lettura del testo. Ma urca – un po’ resisto. Però ringrazio moltissimo Simone Regazzoni delle spiegazioni! (c’è la rima:)

  33. Grazie a voi per il confronto (e grazie a chi ci ospita: Loredana Lipperini ha già fatto moltissimo per questo libro). Di solito si finisce in rissa, qui abbiamo discusso. Scusate per il doppio post, volevo correggere un errore e ho fatto un pasticcio.

  34. Tutte cazzate. Fuffa per pigroni che vogliono sentirsi intelligenti mentre stanno stesi sul divano a guardare un telefilm scritto da sceneggiatori che sono fondamentalmente filosofi falliti (o arrivati, dipende dal punto di vista. dal punto di vista del portafogli hanno certo ragione loro) e si sentono cool perché sentono di aver nobilitato un genere floppo e finito come il serial. Mah. Chiacchiere come sempre da queste parti…

  35. “un genere floppo e finito come il serial”
    Inutile precisare che il serial è il genere più vitale e innovativo di questa fase della cultura. Se uno ha smesso di guardarsi intorno negli anni ’80 (quando va bene), che gli vuoi dire?

  36. Giovanni io ti capisco, davvero. Non fare così. Sono tutte cazzate, stai tranquillo, non è successo niente. Adesso smettiamo subito subito di parlare e ascoltiamo te. Qui sei tra amici. Ti consideriamo cool. Raccontaci, che problema hai?

  37. Non mi pare che Giovanni abbia problemi ma solo soluzioni, anzi una sola: tutto ciò che non capisce o che non condivide è fuffa, e tutti quelli che la pensano diversamente da lui sono dei falliti. Molto molto trendy. Comunque volevo ringraziare pure io Simone, ma sono stata preceduta e i ringraziamenti già sono stati reciproci. Per cui chiudo qui. A presto.

  38. Anche io sono della scuola di Regazzoni in merito alle turbe di Giovanni:)
    E pure della scuola di Leonardo in merito alla vitalità dei serial – recentemente ne ho trovato molti di grande livello, letteratura ecco. In linea di massima comunque, Giovanni è utile, Giovanni è er famoso ‘omo della strada! La resistenza qualunquista che proprio non capisce come mai certi libri possano essere strumenti pratici e concreti di lavoro per certi contesti professionali. Lavorare con il pop vuol dire fornire degli strumenti utili per certi contesti concreti assai: le scuole per esempio, o i centri di igene mentale. Questa è per altro la mia – forse personale – accezione di filosofia in genere: un grimaldello per gli incontri mentali, una scala a pioli che ti porta via dal basso, qualunque esso sia.
    Scusate l’ot.

  39. a meno che non si voglia prendere come dogma l’affermazione secondo cui “la filosofia è meditazione intorno alla morte”,l’unica chance di non relegarla nel vicolo cieco della masturbazione intellettuale per pochi intimi è cercare di usare rigorosamente l’armamentario culturale della materia stessa per smascherare nuove bugie pescando nel patrimonio del pop
    http://i-love.ru/cd/music/s2.mp3

  40. cito: prendo un oggetto pop lo destrutturo e lo interpreto decidendo di utilizzare una certa cornice concettuale…
    In caso ho destrutturato la mia interpretazione decidendo di usare un oggetto pop. Ma proprio in caso…
    @ Giovanni: Un pigrone che vuole sentirsi intelligente mentre bla bla… guarda se non fossi davvero così pigro che in confronto a me questo tizio http://www.youtube.com/watch?v=G3lJwyQ_2Qg sembra un dilettante dell’ozio, ti prenderei a calci nel culo – metaforici naturalmente, ci mancherebbe… per carità, per l’amor di Dio, per ecc. ecc. Non tanto perché tu non possa dire o pensare una cosa del genere, ma perché lo fai con invidia ed è davvero un peccato.

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