PREOCCUPAZIONI

L’Istat ci dice che nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne. Una lettrice, via mail, mi chiede un commento.
Temo che non andrà nella direzione prevista, anche perchè sto riflettendo, amaramente, sulle madri: mi ha sempre preoccupata la santificazione della figura materna che avviene, anche e persino soprattutto, per mano e mente femminile. Mi ha turbato, ieri, leggere una nota dove una mamma blogger, parlando di Vieni via con me, scriveva che avrebbe preferito  che “a parlare sulla battuta dei gay fosse stata una donna: perchè noi siamo le madri, noi donne ci dovevamo sentire offese, noi che partoriamo ed educhiamo”.
Noi siamo anche altro. Ed educhiamo in due, madri e padri. Idealizzare la maternità, pensare che tracci un recinto dorato attorno al femminile, è spaventosamente pericoloso. Perchè in nome della presunta “naturalità” del materno – contro cui si scaglia, giustamente, la Badinter – diventa consequenziale pensare alla donna solo in quanto madre, alla faccia delle scelte personali. Secondo, perchè, come sottolineavo qualche post fa,  la forsennata ricerca della  perfezione  personale dei figli (e gli altri si arrangino) ha fatto e sta facendo, ora, in questo momento, disastri. Se la cornice che imprigiona questo paese è la paura, quanto conta in questo frame  l’ossessione delle madri per la sicurezza? Non si è manifestata in ogni modo, negli anni recentissimi e non ancora trascorsi, quando i bambini d’Italia sembravano e sembrano assediati da ogni pericolo, dai pedofili ai Gormiti?
Quindi, tornando ai dati Istat: c’è un’assenza di sostegno da parte dello Stato, e lo sappiamo fin troppo bene e sarebbe ora di muoversi in proposito, e c’è una questione, al solito, di modelli. Ma qualche strumento in più per decifrarli dovremmo averlo, ora. E anche qualche strumento in più per dire, semplicemente, che una famiglia non è composta soltanto da una donna.

113 pensieri su “PREOCCUPAZIONI

  1. La mia impressione è che ci sia un intreccio inestricabile tra le varie situazioni presentate: la donna fa fatica ad affermarsi nel lavoro, ergo si ripiega sul ruolo di madre (che almeno quello le spetta), per poi ritrovarsi suo malgrado, o con suo concorso di colpa, in un angolo: SOLO madre. Di qui segue tutto il resto: il perfezionismo nei confronti dei figli, l’isteria per le scelte scolastiche e i mille impegni che devono obbligatoriamente seguire i bambini (perché se non fanno inglese a tre anni, nuoto dai sei mesi, pianoforte a quattro anni, poi nella vita saranno dei perdenti)…
    Questa è una ovviamente un’esagerazione della realtà, ma serve a tracciare un quadro che non è del tutto inverosimile.

  2. Mi sono sempre chiesta come mai, visto che la funzione educativa è ancora prevalentemente in mano alle donne, e considerato che le donne sono (almeno in Italia) una maggioranza, queste non abbiano lavorato per correggere gli stereotipi che – a loro dire – le opprimono e levano loro spazi di libertà. Può accadere – e accade – che la società ti condizioni con aspettative e pressioni di diversa natura. Ma questo può accadere solo per un po’: non può accadere per sempre senza il consenso della persona interessata. Non condivido l’atteggiamento di chi passa la vita a colpevolizzarsi, ma qui non si tratta di colpevolizzarsi. Si tratta di prendere coscienza dei nostri comportamenti contradditori e di cambiarli. Adeguarsi è più semplice, ma la felicità val bene qualche fatica.

  3. Purtroppo quando una donna fa carriera è una notizia (Merkel, Marcegaglia, Camusso), mentre dovrebbe trattarsi di quotidianità. Paradossalmente anche le quote rosa sono illogiche, perché, se meritevole, una può e deve fare carriera a prescindere da queste. Ma è anche vero che una famiglia senza una donna non la tiri su e se lei non si sente pronta per la maternità addio.

  4. Adeguarsi è infinitamente più semplice.
    Quante persone intorno a noi si emancipano dagli stereotipi?
    Quante cercano di vivere personalmente un’esistenza emancipata rispetto ai propri presupposti famigliari ed emozionali?
    Tutti cerchiamo la felicità ma, al di là delle chiacchiere e delle lamentele, spesso e volentieri ambiamo solo ad un po’ di pace e comodità nel consueto, nel condiviso, crogiolati nello stereotipo.
    Circondati dal recinto dorato che diventa corona, illusoria ed inutile, poi ci accorgiamo che i nostri rapporti e i nostri valori non sono che dolorose illusioni e allora ci rifugiamo in altri bluff, e così via.
    Potremmo riflettere sul mare di inquietudine che ci circonda, forse che poi tutte queste ansie di programmare, controllare tutto e rifugiarsi nei ruoli, non sono magari una risposta alla graticola dell’incertezza che sembra diventata in nostro nuovo modello di vita?
    D.

  5. e come scrive Simona L., tra assumersi una responsabilità e colpevolezzarsi c’è differenza. Un noto programma di recupero da alcol e droga recita al suo primo punto: “Comincia da me”. Uno slogan che ho sempre trovato efficacissimo. Soprattutto finché l’ambito educativo-affettivo-psicologico è ancora in larga misura subappaltato al femminile.
    Quoto anche corpo10, e l’illogicità (e l’inefficacia controproducente) delle quote rosa. E’ una ‘strada degli errori’ anche quella (per citare Badinter), come hanno scoperto anche i neri d’America, che hanno cominciato da un bel po’ a mettere in discussione il sistema delle quote.

  6. Io continuo a stupirmi quando sono a casa di amici che hanno come noi figli piccoli e vedo che la divisione dei compiti è immutata, quasi identica a quella dei nostri genitori, che appartengono a molte generazioni addietro.
    Ma gli amici di cui parlo sono invece come me, laureati, pieni di esperienze, con una vita lavorativa complessa, tra i 35 e i 40 anni.
    E allora? Cosa succede? Com’è possibile che a cucinare sia sempre la donna, che il cambio del pannolino spetti sempre a lei, che lui ha libertà di andare a giocare a calcetto come prima, ma lei figurarsi se osa prendersi due ore di pace e libertà, o, se lo fa, prima di arrivarci si sottopone a un’estenuante lotta con se’ stessa, con chi è e chi dovrebbe INVECE essere.
    Guardo tutto questo da un punto di vista privilegiato perché ho avuto un percorso diverso, perché ho un compagno straniero che ha la cultura della condivisione, perché non mi sento in colpa ad andare al cinema da sola e lasciare a lui la cura del bambino, le rare volte che i nostri orari di lavoro lo permettono…
    Insomma, ci lamentiamo tanto, ma si fa tanta fatica a combattere il modello che abbiamo introiettato e che ci schiavizza, spesso in modo dolorosamente consapevole.

  7. se volete un esempio di padre che ha tirato su magnificamente bene, e completamente da solo, la sua famiglia quando è rimasto improvvisamente vedovo con tre figli piccoli, leggete l’autobiografia di James G. Ballard “I miracoli delal vita” (e i miracoli sono i suoi tre figli). Lavava, stirava, cucinava, accompagnava i figli a scuola, e quando loro erano a scuola scriveva i suoi romanzi visionari. Anche quando ormai era ricco e famoso non ha mai voluto cambiare casa, un vecchio cottage inglese con le biciclette e le carrozzine dei bambini parcheggiate in salotto, un grande caos in perenne ebollizione. E in un’epoca in cui i suoi colleghi erano dediti all’alcool e alla droga e spesso finivano male, lui scrive: “Mi ha salvato la carrozzina in salotto”. Quando dopo la morte della moglie due zie si erano offerte di prendere in affido i bambini, credendolo in difficoltà, lui aveva risposto: “Ma come, la cosa più bella che ho – potere stare con loro e vederli crescere – e dovrei rinunciarci?”

  8. Non siamo educati a uscire con dai clichè e dai modelli con leggerezza e senso di avventura, siamo educati a pensare che dietro l’angolo ci sono i mostri. Esploriamo l’ignoto solo se costretti dalle circostanze. Il più delle volte rimaniamo chiusi nelle convenzioni e non ci poniamo neanche il problema.
    D.

  9. Daniele Marotta scrive: “Non siamo educati a uscire con dai clichè e dai modelli con leggerezza e senso di avventura, siamo educati a pensare che dietro l’angolo ci sono i mostri.”
    .
    Loredana scrive: “Se la cornice che imprigiona questo paese è la paura, quanto conta in questo frame l’ossessione delle madri per la sicurezza? Non si è manifestata in ogni modo, negli anni recentissimi e non ancora trascorsi, quando i bambini d’Italia sembravano e sembrano assediati da ogni pericolo, dai pedofili ai Gormiti?”
    .
    Credo che tra le due cose esista un collegamento, almeno a me sembra evidente. Partire da questo collegamento mi sembrerebbe utile. Ognuna di noi può incidere da subito – in famiglia e fuori – se vuole, senza aspettare lo Stato.

  10. Sempre in riferimento alla mia esperienza, io rispondo così a questa ansia/paura del nuovo o dell’imperfetto: mio figlio ha dovuto cambiare nido perché il nostro comune non ha rinnovato la convenzione con l’asilo dove era stato assegnato lo scorso anno. Così quest’anno ha fatto un nuovo inserimento. Nel nuovo nido ho trovato delle chiusure e dei difetti rispetto al precedente, ma credo che vada bene anche così: lui si farà un’esperienza diversa e così anche noi genitori e pazienza se questo asilo è “meno perfetto” di quello dell’anno precedente. Voglio dire: non vogliamo passare la vita a rincorrere la situazione perfetta e smettere di criticare a spron battuto le maestre o le carenze strutturali, secondo me, è un buon modo per affrontare in positivo questa situazione.

  11. Le eccezioni ci sono, fortunatamente, anche se una buona parte si porta dietro e perpetra retaggi del passato. Perché le cose cambino, le persone dovrebbero a cominciare ad accorgersi degli sbagli del passato e cominciare a cambiare in prima persona: solo così si potrà dare l’esempio nell’educare un figlio. Perché educare un figlio, una figlia, significa di metterlo/a in grado d’affrontare ogni situazione, di saper fare senza appoggiarsi ad altri. Le cosidette separazioni dei ruoli devono cessare: certo, ci sono le predisposizioni, ma questo non deve essere una scusa. Un uomo deve saper fare i lavori di casa, una donna cambiare le gomme dell’auto (banali esempi per rendere l’idea).
    Per essere genitori è vero che non occorre annullarsi per il figlio, ma si deve mettere da parte l’egoismo, fattore che si è visto cosa ha portato.

  12. Intendevo nel senso fisico dell’espressione: tirare su nel senso di fare figli; anche i due papà o i papà single che adottano un bimbo, qualcuno la avra partorità ‘sta creatura. Forse mi sono espresso non chiaramente, figurarsi, non avevo quella intenzione.

  13. Bisogna educarsi a trovare dei sostegni alternativi, magari interiori, solo così si potrà smettere di appoggiarsi ai ruoli, alle paure.
    Come si fa a sostenere un altro nei cambiamenti, (anche solo di asilo), in modo da vivere insieme il percorso, senza cadere nella trappola dei ruoli?
    Stravolgere il proprio mondo non è facile.
    Cedere non è facile.
    Voi donne siete anche altro, e noi uomini pure, ma cosa resta se togliamo il clichè? Cosa resta se ci togliamo la maschera?
    D.

  14. Si può rivendicare giustamente la compartecipazione paritaria all’accudimento della prole e al lavoro domestico senza dover negare il carattere naturale della maternità (e della paternità).
    A volte penso che l’estremismo teorico di certo femminismo sia stato il peggior nemico della battaglia per l’emancipazione femminile. Una fuga più che in avanti nel vuoto di un culturalismo astratto e sradicato dalla condizione concretamente umana e sociale, che disorienta e un po’ spiega il riflusso su posizioni reazionarie o semplicemente fatalisticamente rassegnate allo status quo.

  15. Pensare alla donna solo in quanto madre mi pare faccia il paio con il pensiero della famiglia solo in quanto genitoriale. Nessuno spazio alle scelte alternative, nessun tentativo di comprensione per chi al modello dominante non vuole o non può adeguarsi. Un mondo piccolo insomma. Semplificato, monocolore, povero.

  16. In ogni caso il dato istat mi sembra importante per contrastare il problema. Perchè se è un dato affidabile – e secondo me può sottostimare la percentuale reale, non sovrastimarla – vuol dire che questo femminile che potrebbe essere altro, in italia non è nelle condizioni di esserlo. Non ha la materialità per percepirsi diversamente e forse, qui credo che con Loredana ci troviamo a convergere: non si mette nella posizione di percepirsi in maniera più articolata, perchè se gli uomini non modificano gli equilibri di coppia neanche le donne lo fanno. Per molte anzi l’accudimento della casa fatto con competenza è un’allucinante mezzo per rivendicare una fetta di potere nella coppia.
    Non è er caso mio Loredà eh:) a casa mia si dribbla tra le bucce de banana:)
    Besos che sto periodo sono passata poco.

  17. “Per molte anzi l’accudimento della casa fatto con competenza è un’allucinante mezzo per rivendicare una fetta di potere nella coppia.” Sì, senz’altro, però il problema è pratico: il lavoro domestico è stirare, riporre lo stiro, fare la spesa e cucinare, lavare i piatti, rifare i letti, pulire i bagni, spolverare, lavare per terra, ecc.- e poi occuparsi dei pupi, comprendendo tutto ciò che si fa per/con i pupi. Gli uomini italiani fanno alcune di queste cose, altre assolutamente no. Per esempio stirare… (è un esempio, per carità).
    Praticamente tutti i miei amici stranieri maschi sono abituati da moltissimo tempo a condividere assolutamente tutti i lavori di casa, facendo a turno. Lo fanno e basta e non scaricano lì la rivendicazione del potere di coppia (non so dove la scaricano). Sono abituati. Le loro compagne si lamentano di un sacco di altre cose, ma la condivisione dei lavori domestici non viene messa in discussione. Qualcuno ha pragmaticamente insegnato ai maschietti a fare tutto, anche stirare. Ora, questo modello non è difficile da trasmettere, se non gli si appiccica altro. O no?

  18. Condivido quello che dice Paola Di Giulio, perché lo vedo ogni giorno con il mio compagno (francese) che viene da una normalissima famiglia, molto numerosa, in cui tutti, maschi e femmine, hanno imparato a fare qualsiasi tipo di lavoro domestico. E la cosa sconvolgente, visto dal nostro punto di vista, è che non si tratta di una famiglia “progressista” o sessantottina o come la vogliamo chiamare. Semplicemente per loro è normale che un uomo stiri, pulisca il bagno, prepari il bagnetto alla bambina e via dicendo… Siamo noi quelli anormali, aimé!

  19. ero molto indecisa se risponderti privatamente
    se non scrivere per niente
    o se farlo qui
    anche se non amo questa forma di discussione
    e perchè il tempo a mia disposizione per questo è molto poco
    comunque una breve risposta
    sempre per via del tempo
    te l’avevo già data su fb
    l’aver citato solo le madri non esclude automaticamente i padri
    e te l’ho già detto
    la mia vita è la chiara prova che noi ovviamente siamo anche altro
    il mio blog che evidentemente non hai mai letto non solo non ha mai idealizzato la maternità
    anzi
    ma soprattutto non ha mai trascurato il ruolo fondamentale del padre
    per quanto riguarda il termine madre
    non mi piace generalizzare
    di madri ne ho incontrate tantissime
    e tutte diverse tra loro
    non mi piace essere chiamata in causa a sproposito
    e spero che non ci sia solo il gusto della polemica facile
    non ne ho voglia
    e devo portare i bambini a judo
    quindi questo rimarrà nella storia di lipperatura come il mio primo e unico commento
    grazie
    francesca gallerani

  20. Francesca, il mommyblogging – il tuo e non solo il tuo – è fatto di narrazioni quotidiane, dove si parla di colazioni, televisione da vietare o centellinare, “educazione” e “ruolo”. E nella stragrande maggioranza dei casi si parla della madre. In pochissimi, del padre, con continuità e presenza. Non sentirti chiamata in causa in prima persona: uno dei meriti dei blog delle madri è di aver evidenziato una tendenza e di permettere la discussione.

  21. Perdonatemi la trivialità, ma non è che forse quella becera mostruosa totalmente maschile pulsione che spinge gli uomini a competere a “chi ce l’ha più lungo” trovi il suo corrispettivo femminile nel “chi c’ha il pupo più adeguato”?
    Secondo me il problema non è che esista il “mommyblogging” il problema è che nonostante tutto ancora oggi è del tutto inconcepibile l’esistenza di un “daddyblogging” e questo non solo in italia a dire il vero

  22. Forse la funzione protettiva esasperata qui da noi discende anche da quel 76,2% che si incolla tutte le responsabilità e le incombenze, non tanto come rivendicazione nel rapporto di coppia, ma costretta dalla disistima che nutre verso l’altro?

  23. come risulta anche da alcuni degli ultimi interventi, credo che in Italia il problema esista più che in altri paesi europei e non. E, sempre dal mio punto di vista,oggi le donne dividono con gli uomini la responsabilità di questo stato di cose. Avere il controllo della gestione totale della famiglia (casa, figli, e via dicendo), evidentemente, dà anche dei vantaggi a qualche livello. E’ un potere quello che si esercita, sacrificandosi e non delegando. E’ un modo per legare a sé tutti gli altri, per renderli dipendenti (cioè il contrario di autonomi e collaborativi). Sottolineare questo aspetto non significa ridimensionare le responsabilità dei maschi (o dello Stato), o colpevolizzare le donne. E’ una semplice constatazione. Ognuno deve evidentemente fare la sua parte.

  24. Non ho ben compreso il senso di questo articolo.
    L’Istat ci dice che nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne.
    Purtroppo è vero … e non è per volere delle donne ma per un sistema sociale maschilista, duro a morire.
    Sì perchè i sostegni per le madri non ce ne sono e se ti assumono e vedono che non hai figli ma sei coniugata ti dicono: no, grazie. Per paura di doversi accollare una maternità.
    Uno stato dove, i reparti di maternità, nella maggior parte dei casi, sono come fare il militare. Dove gli asilo nido costano quanto uno stipendio e figurarsi poi potersi permettere una domestica o una tata, nonostante con il proprio compagno ci si organizza per venirsi incontro, in maniera naturale… o meglio, attraverso il buon senso: chi arriva prima fa.
    Uno stato dove la depressione post-partum, non te la puoi permettere (gli specialisti costano e i centri pubblici sono centri d’igiene mentale dove ti ammali solo a guardare).
    Ma di cosa stiamo parlando?
    Chi vuole essere santificata? Certo, in queste condizioni altro che sante siamo, direi martiri. E la cosa più difficile da superare e ritrovarsi l’accanimento delle “donne contro donne”.
    Ognuna ha la propria storia e questa generalizzata preoccupazione mi sembra abbastanza infondata.
    Io mi preoccuperei piuttosto di questo sistema di cose in cui ancora ci ritroviamo. Preoccupiamoci piuttosto di darci una mossa, muoverci come donne prima ancora che come madri, iniziando a non assecondare una dimensione maschilista dove la donna rischia di lavorare il doppio per potersi realizzare. E naturalmente la maternità, fisiologicamente parlando, necessita di tempi, necessari sia per poter portare avanti una gravidanza (visto che personalmente me la sono fatta stesa in un letto) e tempi di ripresa post partum… volente o nolente, è la mamma ad avere le tette, perchè rinunciare all’allattamento naturale?
    Concedeteci almeno questo 🙂
    Cerchiamo di essere meno severe con noi stesse, perchè parecchie neo-mamme con le quali ho a che fare, si ammalano di sensi di colpa quando si ritrovano di fronte a questo genere di argomentazioni. Questa durezza anti-donna che ci vorrebbe come delle donne-bioniche…
    Ho il sentore che, spesso, queste parole siano dettate da chi 9 mesi di fila e schiena rotta e notti insonni… non li ha passati 🙂
    I bambini hanno bisogno di entrambi i genitori ma lasciate anche che vedano la mamma come il grembo che li ha custoditi. Perchè sentirsi come uteri in affitto, non è piacevole 🙂

  25. Cara Milena, trovo terrificante che abbia diritto di parola solo chi ha partorito. Ad ogni modo, i nove più nove mesi di schiena rotta li ho avuti: ma non per questo credo di essere più titolata di altre e altri a intervenire su questo punto.
    Ho ben specificato che ci sono due problemi: uno sociale (con quel che hai elencato, e anche di più) e uno culturale. Certo che le neomadri sono fragili, con gli imperativi di perfezione a cui vengono sottoposte. Io sto dicendo il contrario: niente madri bioniche, niente superfigli. Madri, e figli, e padri. Che è l’unica maniera per non essere riconosciute donne solo perchè madri.

  26. Per superare questi problemi, sociali e culturali, è necessario che il nostro paese ci venga incontro.
    Parlavo delle madri come donne, in Italia, che rischiano di lavorare il doppio per la carenza delle infrastrutture.
    Credo che già semplificandoci la vita con più servizi, anche a livello culturale possa cambiare qualcosa. Ma nel frattempo è una grande fatica.
    Nessuno dice che ha diritto di parola solo chi partorisce, anzi… ben vengano le famiglie arcobaleno, personalmente sono sostenitrice di una famiglia nel senso largo della parola.
    C’è tanto lavoro da fare in questo paese, sia per sostenere le donne (dicevo madri perchè di madri si parlava) che per sostenere le coppie di fatto e le famiglie.
    Infatti una famiglia non è solo padre e madre, ma anche madre e madre, padre e padre… Quindi direi che dobbiamo andare oltre queste argomentazioni per trovarci su una strada meno limitante.

  27. concordo nuovamente con loredana. Non ho avuto figli, e quindi mi sento spesso zittire con l’argomento che non posso parlare perché non sono madre. Ma sono figlia. Di una donna che nonostante si sia rotta la schiena per ben tre volte, di maternità ne sa certamente meno di me che ho ‘solo’ cresciuto quattro nipoti.

  28. Ridalli, Milena: sono circa tre anni che si parla di questi argomenti nel blog, li ho nuovamente citati come non prescindibili nel post, e arrivi tu fresca fresca a dire che dobbiamo occuparcene? 🙂
    Please, rileggi il post.
    Esiste un problema sociale e di welfare (e centonovanta) MA esiste anche una questione che porta molte, moltissime donne a volersi rappresentare SOPRATTUTTO come madri (perfette). E non è questione secondaria. Anzi!

  29. Scusate eh, tipo Paola, ma anche io me so fatta er nove più nove, e non ho schiavi a disposizione. Semplicemente uso questa politica. Ci sono delle cose che vanno fatte da entrambi. Vuol dire non da me sola. Vuol dire che se io non rifaccio il letto e tu non rifai il letto non lo rifà nessuno.
    Vuol dire imporsi nella divisione dei ruoli. Poi se l’altro torna tutte le sere alle dieci e tu tutti i giorni a mezzogiorno il discorso è relativamente diverso. Ma è così meno spesso di quanto si creda.

  30. Il blog in questione, per chi lo avesse letto, parla appunto di anarchia dal ruolo materno classico e caspita se parla di papà. E’ uno dei blog di cui parliamo spesso nel gruppo di auto-mutuo-aiuto che curo dove si rivolgono le mamme “depresse” e non solo perchè la società le vuole perfette, ma si tratta di una depressione fisiologica, naturale che si risolve quando c’è il sostegno degli altri. E anche dell’ironia intelligente di certe mamme per esorcizzare la fatica quotidiana.
    Nessuno zittisce le donne non madri, ma perchè zittire le mamme e i loro blog? Molte delle quali sono creative e mostrano alle altre donne come è possibile vivere questo ruolo con più serenità.
    Neanche a me piacciono le donne che si mostrano mamme perfette, di pupi impeccabili… problemi loro, semplicemente, non le leggo.

  31. Milena, che sia chiaro: non c’è bisogno di difese d’ufficio perchè non c’è stato nessun attacco. Nessuno sta zittendo le mamme e i loro blog: cerchiamo di capire quello che si sta dicendo, cerchiamo di leggere quello che si scrive. Il problema esiste, è vasto, non riguarda soltanto l’Italia e fingere che non esista fa male, in primo luogo, proprio alle madri (oltreche a tutte e tutti noi).
    Mi rendo conto che quando si parla di materno scoppia un putiferio. Quando è uscito, in Francia, il saggio di Badinter, è stata mangiata viva, e proprio dalle madri. Ma aveva e ha ragione: è inutile rimuovere, è necessario discutere. I processi stanno negli occhi di chi li vede.

  32. Mi sembra si parli di una donna del tutto schiava della propria vita. O madre come privilegio e condanna o lavoratrice single un po’ egoista. Semplificazioni che rendono però reale una figura sminuzzata che fa da eco all’esplosione della cultura del risentimento italiano. Non persone, ma madri, gli uomini ancora come appendici e vividi solo nello status lavorativo. L’immagine femminile sembra susciti sentimenti contrastanti. Uno orribile: quella di vederla cadere.

  33. Secondo me i figli si fanno in due e si allevano in due, alla famiglia sta decidere qual’è il proprio equilibrio. Noto nella nostra figlia più grande che per certe cose cerca me, per altre la mamma e per altre ancora siamo “intercambiabili”.
    Stessa cosa per i lavori in casa. Ogni famiglia trovi il proprio equilibrio (ad alcuni piace cucinare, altri si rilassano stirando, io entro in un mondo parallelo quando falcio l’erba o passo l’aspirapolvere), ma che sia equilibrio. Francamente mi vergognerei di sostenere che amo mia moglie se poi la relegassi nel ruolo di domestica eliminandole le possibilità di carriera o comunque di crescita individuale.

  34. Zauberei, parlavo proprio dell’imporsi nella divisione dei ruoli. Se non stira anche l’altro, e io non posso oggi, non lo fa nessuno. Proprio così. Ma dove vivo io in provincia questo non funziona. Praticamente mai, o molto poco. E soprattutto solo per alcune ‘competenze’. Questo presuppone che non si riesce, nella realtà reale, a condividere veramente il lavoro domestico. Ma quanti sono gli uomini, qui, che semplicemente fanno tutto, dividendo equamente tutte, dico tutte, le incombenze? Ne conosco, ma pochissimi.

  35. Questa mattina alla radio anche Il ruggito del coniglio si è occupato di questi dati e ha scherzosamente invitato a telefonare per raccontare di maschi che facendo mestieri domestici hanno combinato guai. La cosa che mi ha colpito è stata che tutte le donne che hanno telefonato hanno esordito dicendo: “Mio marito è bravissimo e mi aiuta molto in casa…” Mi sembra che proprio questo sia indicativo di come siamo lontani anni luce da un cambiamento culturale: è bravo perché aiuta, infatti non gli spetterebbe di fare alcunché, ma per generosità fa una parte del lavoro della moglie. Finché l’atteggiamento è questo non abbiamo speranza.

  36. Dire che il marito “aiuta in casa” significa presupporre che il compito principale sia della donna e che il maschio appunto “aiuti”. Già nel linguaggio si sono definiti i ruoli…

  37. Parliamo delle madri. Le nostre…
    Io non so com’è adesso, io sono un trentenne, sbaglio a dire che praticamente quasi tutti i miei conoscenti coetanei maschi hanno iniziato a occuparsi di incombenze domestiche all’università, chi non c’è andato, praticamente ha iniziato dopo sposato?
    Ovviamente nessuno non universitario si è mai sognato di lasciare la cameretta di mamma fino al matrimonio, non sia mai, perché andare in affitto solo per autonomia…
    Vi risulta anche a voi che gli stessi giovani non si sono comprati mai o quasi una mutanda da soli? Che molti neanche si scelgono i vestiti da soli fino alla maggiore età?
    Qui c’è un modello sociale che molte mamme (i padri tacciono) perpetrano negli anni…
    Queste visioni paradisiache di altre nazioni ci sono perché da subito tutti in casa fanno tutto, con mansioni studiate anche per i più piccoli.
    Altro che pianoforte, nuoto, judo e danza.
    Leviamogli una disciplina olimpionica a questi futuri anticristi, per favore, e condividiamo un po’ di economia domestica in leggerezza, tutti insieme…
    D.

  38. E’ chiaro che alcuni servizi servono soprattutto ai genitori – non solo alle madri ma ad entrambi i genitori. Tuttavia mi colpisce, proprio perché si parla di materno, leggere che non viene riconosciuta la depressione post partum (io non sono psicologa e non so se esista così come diagnosi) ma i servizi per la cura della psiche sul territorio sono azzerati – o quasi – per tutti e tutte. Genitori e single, giovani e anziani. Ma se si guarda alla vita solo con la lente del materno diventa quasi impossibile costruire alleanze. La sensazione che arriva e che alcune madri si sentano portatrici del vessillo del femminile. Spero di non aver offeso nessuno.

  39. Gentile Lipperini, personalmente rispetto i punti di vista di tutti.
    Parlavo delle madri perchè, appunto leggendo questo articolo, con la premessa del dato Istat e la preoccupazione nei confronti di quelle donne che si santificano a ruolo di madre… e dei mommyblog. Credevo di non essere così fuori tema ma se si vuol far polemica giusto per farla, si rischia col dire tutto e niente.
    Più che preoccuparsi, terrorizzarsi è oppurtuno informare, sollecitare al dialogo sulle possibili soluzioni senza denigrare.
    Credo che le donne in questo senso si stiano muovendo, nonostante le difficoltà. Lo si può comprendere non attraverso i mommyblog ma nella realtà di ogni giorno, attraverso il confronto diretto.
    E’ dura la mentalità maschilista da sdradicare, nelle donne stesse e in una società carente di supporti per la coppia.
    Anche le stesse leggi sono antiquate e i padri separati fanno salti mortali per essere presenti con i figli e fare straordinari per manterli.
    Richiamare entrambi nella coppia per superare la visione di ruoli per mirare ad una naturale cooperazione.
    Questo per quanto riguarda genitori eterosessuali ed omosessuali…
    Informare quindi, sostenere… andando oltre la polemica in una prospettiva risolutiva.

  40. Milena ma lei sa con chi sta parlando? Sa quello che Loredana Lipperini sta facendo da anni, con questo blog? Per favore un po’ di rispetto prima di venire qua a pontificare.

  41. Non fa statistica ma:
    Donna attualmente non lavoratrice, figlio maschio di 5 anni; pulizia della camera da fare insìeme al bimbo una volta la settimana e primi rudimenti dello stiro su piccoli indumenti.
    Certo non glielo insegna il padre…
    Quando lavoravo dividevamo equamente le incombenze, tranne lo stiro! Ah che noia…
    Quando sarà grandicello come reagirà di fronte a una mamma non lavoratrice? (Non sono tanto sicura di trovare nuovamente un’occupazione).
    Parteciperà comunque oppure più facilmente sosterrà l’equazione, “tu non lavori fuori casa, tocca a te”.
    A presto.

  42. Non so effettivamente con chi stia parlando e non leggo le referenze in una discussione, normalmente. So soltanto che mi lascia riflettere quando le donne parlano di emancipazione, aggredendo le altre donne.
    Un po’ di rispetto…? Di quale rispetto sto venendo a mancare? Esprimendo il mio giudizio, le mie impressioni? E si vuol parlare di diritti?
    Beh, iniziamo a porci tutti sullo stesso piano.

  43. Mary,
    Tuo figlio ha ancora 5 anni e già temi che ti possa giudicare e bacchettare?
    Che tipo di uomo pensi di stare allevando?
    Poi già dire che non troverai altri lavori…
    scusa se mi permetto ma io cambierei un pelino atteggiamento…
    se ho capito male perdonami.
    Poi parliamoci chiaro lavorare in casa è un lavoro, basta che sia scelto con chiarezza e serenità nella coppia, se c’è uno dei due che decide di essere casalingo che c’è di male?
    Il partner casalingo fa i lavori grossi mentre la famiglia è fuori e quando ci son tutti tutti collaborano…
    D.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto