PREOCCUPAZIONI

L’Istat ci dice che nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne. Una lettrice, via mail, mi chiede un commento.
Temo che non andrà nella direzione prevista, anche perchè sto riflettendo, amaramente, sulle madri: mi ha sempre preoccupata la santificazione della figura materna che avviene, anche e persino soprattutto, per mano e mente femminile. Mi ha turbato, ieri, leggere una nota dove una mamma blogger, parlando di Vieni via con me, scriveva che avrebbe preferito  che “a parlare sulla battuta dei gay fosse stata una donna: perchè noi siamo le madri, noi donne ci dovevamo sentire offese, noi che partoriamo ed educhiamo”.
Noi siamo anche altro. Ed educhiamo in due, madri e padri. Idealizzare la maternità, pensare che tracci un recinto dorato attorno al femminile, è spaventosamente pericoloso. Perchè in nome della presunta “naturalità” del materno – contro cui si scaglia, giustamente, la Badinter – diventa consequenziale pensare alla donna solo in quanto madre, alla faccia delle scelte personali. Secondo, perchè, come sottolineavo qualche post fa,  la forsennata ricerca della  perfezione  personale dei figli (e gli altri si arrangino) ha fatto e sta facendo, ora, in questo momento, disastri. Se la cornice che imprigiona questo paese è la paura, quanto conta in questo frame  l’ossessione delle madri per la sicurezza? Non si è manifestata in ogni modo, negli anni recentissimi e non ancora trascorsi, quando i bambini d’Italia sembravano e sembrano assediati da ogni pericolo, dai pedofili ai Gormiti?
Quindi, tornando ai dati Istat: c’è un’assenza di sostegno da parte dello Stato, e lo sappiamo fin troppo bene e sarebbe ora di muoversi in proposito, e c’è una questione, al solito, di modelli. Ma qualche strumento in più per decifrarli dovremmo averlo, ora. E anche qualche strumento in più per dire, semplicemente, che una famiglia non è composta soltanto da una donna.

113 pensieri su “PREOCCUPAZIONI

  1. @anna. Sono completamente d’accordo con te. Ci sono carriere poco compatibili con la cura dei figli, e apprezzo chi fa scelte responsabili in questo senso. Apprezzo chi riflette sulla sostenibilità delle proprie scelte, senza pensare che poi Dio o lo Stato o qualcun altro provvederà. Vale per uomini e donne, naturalmente. Con questo esprimo solo una mia preferenza personale. Va benissimo chi fa scelte di altro tipo, naturalmente, o affronta il discorso in altro modo, purché tenga conto in una qualche misura ragionevole dei diritti e dei bisogni di un bambino. Se però poi è faticoso e difficile, bisogna indubbiamente fare fronte. Questa mia idea di responsabilità confligge evidentemente con la soprvvivenza del pianeta, perché se facessero figli solo quelli che possono permetterselo (psicologicamente, emotivamente, professionalmente e economicamente) ci saremmo estinti da un pezzo.

  2. Bella la testimonianza, Elisabetta.
    Quoto Zauberei.
    Il giudizio civile. Quante volte ci sono cascata, mi capita ancora.
    Giudicare gli altri per promuoversi. Come è difficile tirarsi fuori anche da questi schemi.
    Un po’ tutti proviamo a metterci nei panni degli altri, a volte diventa un gioco al massacro.
    Fare figli è davvero una cosa animale. Non ne volevo e poi, improvvisamente, ho cambiato pensiero.

  3. Ecco appunto. I diritti delle nostre bambine/i in quale punto della nostra personale scala dei valori li mettiamo?
    Il nostro desiderio, animale dicevamo, lo dobbiamo perforza esaudire?
    Possiamo aspettare tempi migliori, rinunciarci o “sublimarlo”?
    Non riesco a darmi una risposta precisa.
    A pelle, però, reagirei male se mi proponessero un lavoro interessante ma con turni massacranti. Mi verrebbe spontaneo pensare ai diritti della mia famiglia. Il diritto alla mia presenza, al supporto e a tutte le altre attività di cura. Riuscirei a sopportarlo solo in caso di estremo bisogno economico o rischio di perdere la casa e tutti i risparmi finora accumulati.
    Certo, come al solito, questa è la mia opinione. Attualmente non riesco a vederla ad ampio raggio.

  4. Se mi posso permettere, da autrice di un libro che ha le mamme come protagoniste (“si fa presto a dire madre” melampo ed), mamma di una splendida fanciulla e in felice attesa del secondo (ma che rottura stare a riposo perche’ devi covare!) E soprattutto da donna e da persona: completamente d’accordo con la sempre acuta lipperini. L’immagine della mamma perfetta rovina le donne (le nostre figlie per prime) non rende onore alla realta’ e ci imbriglia in compiti da superdonne che fanno tanto comodo a questo paese. Adesso si parla di quoziente famigliare in tema di fiscalita’ (che premia si le famiglie numerose ma disincentiva il lavoro femminile, non dimentichiamolo… tutte a casa! Per carita’) vogliamo allontanarci ancora di più’ dal resto del mondo occidentale?… Io covo per carita’, ma non sono una gallina, allatto ma non sono una mucca… E non voglio che lo diventi mia figlia

  5. Benvenuta, Valentina. Infatti: il problema è continuare a reiterare l’immagine della superdonna, che “riesce a fare tutto”. Quel che provavo a suggerire sommessamente, prima di venir spolpata, era che nel nostro io più profondo quell’immagine ci piace. E qui sta il pericolo. Un abbraccio, e auguri per il numero due (e la numero uno).

  6. Io penso che un bambino più “imprinting” , più influenze educative riceve dai genitori, dagli operatori/trici degli asili (ovviamente dev’essere gente competente), dai nonni, dagli zii, dalla baby sitter e meglio è.
    Insomma con più esseri umani entra in contatto e meglio è.

  7. oltretutto l’asilo (a cui neanche Liberace è contraria, a dispetto del titolo del suo libro) permette al bambino di venire precocemente in contatto con i suoi coetanei, e non è cosa da disprezzare.

  8. Lo so forse sono un po’ fissata.
    L’argomento mi intriga. NON sono assolutamente convinta che i cambiamenti avvengano solo dal basso, in alcuni casi ci vuole la forza della legge.
    Quando guardai il documento di “Presa in diretta”, sulla parte relativa alla Norvegia, rimasi sconvolta e anche arrabbiata.
    Ve lo consiglio caldamente.
    Presa diretta. Puntanta del 26 settembre. “Senza donne”
    http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-97cbc237-7305-4d48-90de-5bcab4ef39f4.html

  9. Mary, è evidente che le due cose vanno di pari passo. I cambiamenti legislativi ci sono stati, nel nostro paese, in anni che sono ormai lontani (divorzio, aborto, diritto di famiglia). Ma se non si accompagnano a un mutamento culturale, nell’immaginario, nella rappresentazione e nella consapevolezza del femminile, non servono.
    Perchè un numero così basso di padri usufruisce, in Italia, del congedo parentale, per esempio? Perchè la retribuzione è bassa. Anche. Ma non penso che sia l’unico motivo.

  10. Intevengo sull’ultimo punto sollevato da Loredana, ovvero perché pochi padri usufruiscono del congedo parentale. Penso che oltre ad una questione culturale, vi sia spesso una questione di tipologia lavorativa.
    Faccio questo esempio concreto: nella nostra famiglia e in quelle di amici a prendere il congedo è sempre il genitore che ha il lavoro più sicuro, perché sebbene il congedo sia un diritto che il datore di lavoro non può negare, tuttavia si sa benissimo che quando uno lavora a tempo determinato o in modo precario, sarà molto restio a chiederlo.
    Però, sempre nella mia cerchia ristretta di amici (che comprende quelli di cui dicevo la divisione dei ruoli e dei compiti uomo/donna è rimasta marcata come trent’anni fa), può essere il padre o la madre. Non è affatto detto che sia sempre la madre.
    Per concludere: questo è un caso in cui il contesto sociale e lavorativo sceglie per noi. Ma non credo che sia un incoraggiamento al congedo maschile… è solo una forzatura.

  11. Sì, spesso è il contesto o la retribuzione a marcare le differenze.
    Anche l’immaginario e la nostra consapevolezza sono responsabili.
    Nel caso Norvegia quello che mi ha impressionato, è la situazione sociale anni 90 simile alla nostra. Nel documentario riportavano questa cifra, se non erro, nel 1992 solo il 2% dei padri usufruiva del congedo, adesso siamo al 98%. Come ci sono arrivati? Con le sanzioni, l’obbligo normativo.
    O le prendi, oppure perde benifici anche la madre.
    Presenza delle donne nei Cda. Hanno dato circa di 10 anni di tempo alle aziende per adeguarsi. Nulla di fatto.
    Anche qui obbligo e sanzioni. E le prospettive in fatto di numeri
    sono rosee.
    Quale forza politica italiana se la sentirebbe di appoggiare una simile rivoluzione? Noi donne chiediamo con forza ai nostri politici di rappresentarci in tal senso?
    Ho scritto volutamente al maschile, non vedo donne leader, purtroppo.
    Qua a Milano Boeri ci ha provato, non convicendo molto, visto il suo passato “in edilizia”…
    Scusate la fretta.

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