L’Istat ci dice che nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne. Una lettrice, via mail, mi chiede un commento.
Temo che non andrà nella direzione prevista, anche perchè sto riflettendo, amaramente, sulle madri: mi ha sempre preoccupata la santificazione della figura materna che avviene, anche e persino soprattutto, per mano e mente femminile. Mi ha turbato, ieri, leggere una nota dove una mamma blogger, parlando di Vieni via con me, scriveva che avrebbe preferito che “a parlare sulla battuta dei gay fosse stata una donna: perchè noi siamo le madri, noi donne ci dovevamo sentire offese, noi che partoriamo ed educhiamo”.
Noi siamo anche altro. Ed educhiamo in due, madri e padri. Idealizzare la maternità, pensare che tracci un recinto dorato attorno al femminile, è spaventosamente pericoloso. Perchè in nome della presunta “naturalità” del materno – contro cui si scaglia, giustamente, la Badinter – diventa consequenziale pensare alla donna solo in quanto madre, alla faccia delle scelte personali. Secondo, perchè, come sottolineavo qualche post fa, la forsennata ricerca della perfezione personale dei figli (e gli altri si arrangino) ha fatto e sta facendo, ora, in questo momento, disastri. Se la cornice che imprigiona questo paese è la paura, quanto conta in questo frame l’ossessione delle madri per la sicurezza? Non si è manifestata in ogni modo, negli anni recentissimi e non ancora trascorsi, quando i bambini d’Italia sembravano e sembrano assediati da ogni pericolo, dai pedofili ai Gormiti?
Quindi, tornando ai dati Istat: c’è un’assenza di sostegno da parte dello Stato, e lo sappiamo fin troppo bene e sarebbe ora di muoversi in proposito, e c’è una questione, al solito, di modelli. Ma qualche strumento in più per decifrarli dovremmo averlo, ora. E anche qualche strumento in più per dire, semplicemente, che una famiglia non è composta soltanto da una donna.
Allora se non sai con chi stai parlando, e se non capisci quello che gli altri stanno dicendo, evita di dare giudizi molto affrettati e molto stupidi e superficiali.
E la polemica qui la stai facendo tu, e nessun altro, che prima che arrivassi te si parlava tranquillamente.
quando si parla di emancipazione penso sia giusto attaccare chi rema contro, ovvero certe donne. Milena capisci questa frase per quello che è, cioè una provocazione. In realtà non riesco a prendermela nemmeno con queste donne… perché so benissimo che loro per prime sono vittime inconsapevoli del sistema maschilista che continua a perpetuarsi e riprodursi nel corso degli anni (anche grazie a loro). Figure e ruoli che vengono continuamente costruiti culturalmente e riprodotti socialmente. Pare una spirale senza fine. Il punto è che le donne sono escluse dai luoghi “delle decisioni” (da quelle attività che Douglas identificava con avvenimenti a bassa frequenza di periodicità), perché delegate principalmente e sistematicamente a ruoli secondari e subordinati (alta frequenza di periodicità). Questa suddivisione dei ruoli è da imputare principalmente al fatto che la donna sia biologicamente e fisicamente idonea a procreare. E’ una questione di ottimizzazione dei tempi e dei ruoli, dal momento che anche l’allattamento e la cura del neonato fanno parte di questi avvenimenti ad alta frequenza (cioè che si ripetono frequentemente). Questo vuol dire che finché si continua a elogiare il ruolo materno della donna, come in effetti tante, troppe donne fanno, chiamando sempre in causa la favola dell’istinto materno, resteremo intrappolate nella solita trama. Purtroppo vedo ancora molto lontano il tempo della liberazione della donna da questa figura. Ho avuto la fortuna di diventare mamma, e la sfortuna di essere passata attraverso l’iter che la maggior parte delle gestanti affronta (incontri con ostetriche, corsi preparto, corsi per l’allattamento, etc.). La depressione post partum nel mio caso è cominciata prima del parto….
beh, insomma, noto anche io una certa tendenza a ritenere le (altre) donne in qualche modo colpevoli della situazione femminile, perchè attaccate a certi ruoli e alla mistica della maternità.
Non si può non considerare quanto la donna sia sempre stata relegata a questi ruoli – anche con accezione positivissima – e come sia in fondo l’unico campo nel quale le sia possibile trovare una certa realizzazione, considerato la fatica che si fa per avere credito nel lavoro o se si fanno scelte meno convenzionali.
Il cambiamento culturale, collettivo, sociale va promosso e incentivato.
Non si può pensare che sia sufficiente condividere con il compagno il lavaggio die piatti o il cambio del pannolino per ritenere di avere raggiunto la parità e guardare con commiserazione quelle che invece svolgono da sole la maggior parte delle incombenze
Siete sicure Elisa e Delia di porre la questione nel modo giusto?
Voglio dire, ci sono eserciti di donne, professioniste, dirigenti, avvocati e giudici, ingegneri insegnanti ricercatrici.
Dire che la donna sia ‘esclusa dai luoghi delle decisioni’ e ‘relegata a fare la mamma e che in fondo sia l’unico campo dove le sia possibile trovare una certa realizzazione’ mi sembra una polemica di qualche decennio fa, no?
Oggi si parla di disparità in modo diverso, mi sbaglio?
D.
Qualcuno mi dica come stirare!
Secondo me bisogna proteggere l’importanza fondamentale della maternità dalle derive culturali – perchè secondo me è nevrotizzante: ossia è una cosa estremamente responsabilizzante e impegnativa, e il maschilismo passa spesso anche tramite il suo degrado, il degrado della sfera relazionale della nostra vita. In certi modi di attaccare la maternità io vedo un sessismo travestito, e accorpato ad altre cose che con l’emancipazione delle donne non hanno niente a che fare. Bisogna remare contro la stereotipizzazione della maternità e l’uso strumentale della maternità per estromettere le donne dalla vita civile. Per fare questo non si deve dire che la maternità è secondaria o irrilevante, oppure che in un certo momento del suo decorso non abbia una sua centralità. Tipo quando il figlio ci ha pochi mesi. Io sento questo retropensiero in certi commenti – e lo trovo controproducente. E trovo anche controproducente forse parlare della maternità in questo contesto.
L’asimmetria del lavoro domestico – ma siete proprio sicuri che ci ha tanto a che vedere con la cura della prole? All’atto pratico quotidiano? Le famiglie a cui queste statistiche fanno riferimento non sono mica tutte con figli, men che mai con pupetti che stanno a casa tutto il giorno. I pupetti vanno a scuola, vedono persone crescono e si svincolano: cambiano ruolo nel contesto familiare: allora – in Italia – c’è un problema per cui tutti evolvono nelle loro diverse fasi della vita e le donne rimangono ancorate a una fase – sono in una specie di follia materna primaria winnicottiana dilatata fino all’eternità. Ma la maternità è un alibi che quando ci hai 54 anni e il figlio 18 non ci entra più. Non ci entrava manco prima quando ne aveva 14. La maternità in Italia si installa su un sistema culturale che tende a ridurre ai minimi termini la soggettività femminile. Quando i figli arrivano spesso questa soggettività che non si è pienamente formata in termini di gusti interessi professionalità riempiono il vuoto – a quel punto liberarsi del ruolo supermaterno diventa difficile, sei come ricattata.
Donde colgo lo spunto per riflettere su alcune strategie per difendere la propria soggettività di donne e di donne che diventano mamme
1. Ai corsi preparto NON CE SE DEVE ANNA:) men che mai dalle gure dell’allattamento – a meno che non si creda opportuno per davvero e solo da persone superfichissime e raffinate psicologicamente. Ma quando è possibile evitare le agenzie del materno – li giornaletti, i programmini e per quanto concerne le ostetriche beh rimane er kalashnikov.
2. Prima di qualsiasi cosa una deve occuparsi di se e di trovarsi. Un’area propria da difendere. Un interesse, un obbiettivo. Non è solo questione di troverò un lavoro o non lo troverò perchè messa così pare che una è in balia delle urgenze esterne e non ha un se. Invece sono sicura che Mary ha delle cose sue che vuole coltivare. Secondo me quando questa priorità del se nella donna manca, è gioco forza che tutti occupino lo spazio vuoto, e lo occupano colle lavatrici.
3. Marco b. senti a me – a casa mia non se stira:) approda anche tu al simpatico sistema di stendimento panni sgocciolanti!
@MarcoB potrei suggerire tua madre, sorella, fidanzata o moglie…ma magari anche tuo padre e tuo fratello ne sono capaci…oppure un sano RTFM (impara da solo)
Molto d’accordo con Zaub: liberare la maternità dagli stereotipi per raggiungere una parità reale, culturale E sociale.
Sono, evidentemente, due discorsi che vanno di pari passo (come per tutto quel che riguarda la questione di genere, e non solo di genere). Per farlo, però, bisogna anche evitare quell’accostamento, sottolineato da Badinter, alla “naturalità”. E bisogna avere il coraggio – e so benissimo che non è facile, e anche i toni accesi della discussione lo evidenziano – di dirsi una cosa molto semplice: essere madri non rende donne migliori. Finché non si esce da questo “frame”, non si fanno passi avanti.
e se cucinassimo?
mammanarchica nasce una sera
a casa di luca archibugi
dalle chiacchiere di tre ragazze che stavano bevendo
e avrebbero continuato a bere
nasce fisicamente grazie a laurel evans
che fosse stato per me
ero ancora davanti al pc a cercare il tasto crea un blog
mammanarchica non ha niente a che fare con il mommyblogging
è altro
molti editori mi hanno chiesto di scrivere un libro
ho detto di no a tutti
proprio per evitare di ritrovarmi dentro una categoria
o facilmente riconducibile a qualcosa
un libro oggi non si nega a nessuno
io mi sono negata all’editoria
come avrete notato poi questo è il blog di una persona incostante e poco presente in rete
anche quando è collegata
per seguire le discussioni dovrei concentrarmi su queste
con il rischio che mi si brucino le polpette
risposi già a suo tempo alle mamme perfette
e anche a quelle imperfette
http://mammanarchica.wordpress.com/2010/08/12/riflettendo-sullarticolo-di-anais-ginori-sulle-madri-imperfette-e-felici/
faccio fatica a trovare la strada giusta per i miei figli
figuriamoci per quelli degli altri
ho poi parlato in questo blog anche di politica e di televisione
ma questa è la mia capacità di saltare di palo in frasca
in buona sostanza
sono fuori dal gruppo
senza essere fuori dal mondo
a volte sono fuori di testa
ma dipende dal tempo
o dagli ormoni
quindi niente manuale di mammanarchica
piuttosto
un libro di ricette
che ne dite?
una parodi versione punk
una punkodi
però mi impegnerò a leggere questa discussione che trovo molto interessante
buonagiornata a tutti
p.s. marco b. fossi come berlusconi di direi trovati una bella gnocca che sappia anche stirare!!
Sarebbe ora che si cominciasse a parlare di “famiglie”, dove, per i tanti vissuti contemporanei, non ci sia per forza la figura materna come perno centrale. Pensate veramente che i figli crescono armoniosamente solo in presenza di entrambi i genitori: falso. Il mondo è pieno di uomini cresciuti felicemente senza uno dei due genitori: le generalizzazioni ideologiche non portano da nessuna parte.
Elisa, è bello incontrare in questi luoghi persone che parlano con “chiarezza” finalmente e una buona dose di umanità. Condivo tutto quello che hai scritto perchè ha un senso logico, condivisibile, per nulla arrogante.
E di questo che noi donne abbiamo bisogno, il dialogo.
Scrivere ad una lettrice: “rileggiti i commenti, sai con chi stai parlando? Allora se non sai con chi stai parlando, e se non capisci quello che gli altri stanno dicendo, evita di dare giudizi molto affrettati e molto stupidi e superficiali.”
E’ a dir poco allucinante… è grazie ai commenti di persone ragionevoli come te, Elisa e altri, tra cui alcuni uomini che ho avuto il piacere di sentire partecipi. Ho finalmente compreso il senso di questo articolo.
La polemica fine a se stessa, non l’ho mai amata, mi rincuora invece la volontà di volersi capire e trovare possibili strade risolutive.
Ho letto questo articolo insieme ad una donna molto sensibile, una collega che affronta diverse problematiche, insieme alla quale amo condividere alcuni pensieri che riguardano proprio la maternità, intesa come intima esperienza, più che come ruolo.
Lei mi risponde: “non credo che parlare di “naturalità” del materno sia nè pericoloso nè distruttivo per la completezza dell’intendere la donna in tutti i suoi ruoli. Non mi piace di solito il termine “naturalità” in altri ambiti perchè penso che l’essere umano sia più complesso di una semplice spiegazione in termini “di naturalità di qualcosa” ma nell’ambito della maternità mi sento di fare un’eccezione anche perchè che ci piaccia o no, pur credendo nella libertà dell’essere umano e nella totale “parità” dei sessi… non credo nell’ “uguaglianza” dei sessi. E’ giusto battersi per avere una maggior tutela della maternità e della paternità nella società… è giusto battersi per una parità dei diritti, dei doveri e delle incombenze… è giusto che ci si batta al diritto alla maternità per le donne lavoratrici (e di strada ce n’è ancora tanta da fare in questo senso!!!!!!!!!!!!!!!!!) ma questo continuo far polemiche e farsi guerra fra donne lo trovo un pò sterile… anche perchè onestamente non ne ho capito il senso….”
Ecco, è la stessa senzazione che ho provato anch’io.
Cara Milena, è vero che ci sono stati commenti molto accesi e ingiustificati, e di questo mi dispiaccio. Però vorrei sottolineare di nuovo che l’espressione guerra fra donne è fuorviante: discutere sul ruolo materno non significa aprire un fronte bellico. Credo, invece, che sia importantissimo proprio per ottenre quella parità di diritti e doveri a cui tu facevi cenno. Non dico che tutte e tutti debbano essere interessati a farlo. E’ anche importante, però, che si possa discuterne – serenamente – senza essere accusate o accusati di essere contro le donne. Non trovi? Grazie.
una precisazione
ho messo prima un post del mio blog
che letto così tra i vostri commenti sembro una pazza
era solo per prendere le distanze dalle mammebloganti
e sto apprezzando molto gli interventi maschili
@Zaub,
accidenti a te (“posso?), hai centrato in pieno!
Bella, bellissima la tua deformazione professionale e non solo , riesci ad essere empatica anche in rete.
Eh cceerto che ci li ho gli interessi, oggi ad es. stiro ma sul pc infilo un bel dvd in inglese, non si sa mai che al prossimo colloquio mi chiedano qualcosa nella lingua della Regina. Devo solo stare attenta a non confondere il colloquiale di “Cold feet” con lo standard british dei doc.BBC.. (digli poco).
Purtruppo non posso evitare di stirare, il maritino indossa le camicie. Vedete che qui sta il potere economico, come ai bei vecchi tempi dell’era dopo dinosauri, la clava in mano la possiede ancora LUI.
@Daniele Marotta,
Ehi! Ci sto provando, in tutti i sensi, anche ad uscire dai frames.
Allora senza tediare, ho avuto mio figlio a 35 con un lavoro ben avviato da semplicissima impiegata di primo livello. Uscivo alle 7.30 e tornavo alle 19.00, 19.30 compresi gli spostamenti. Molti i tentativi di rientare a 5 mesi dal parto con orario ridotto e tutti a dire “ma stai a casa, ti godi il figlio, lo allatti bene, ecc…”. Torno, che mi ritrovo? Mansioni decurtate, colleghi che improvvisamente mi trovano antipatica, mugugni.., come il gambero torno ai blocchi di partenza.
Mi sono guardata ben bene dentro e poi,come si fa sul lavoro, mi sono fatta un bilancio delle competenze. Risultato. No. Non vale la pena. Lasciare un figlio a nonni anziani, non è giusto, per di più teledipendenti da tv generalista, tata tutto il giorno? Ma io quando lo vedo questo bambino? E la mia crescita personale, il mio compagno, la relazione emotiva con il neo-nato e sottolineo futuro essere umano, e tanto altro?
Ecco posso solo ringraziare il potere forte (busta paga sicura ) del marito che mi ha permesso in questi ultimi anni di lavorare a intermittenza.
Come nel gioco dell’oca ho beccato la casella sbagliata e mi ritrovo all”avanti”.
Stare di più a casa mi ha regalato l’ozio costruttivo, leggere a manetta, chiedere a chi ne sa di più; tutti elementi che aiutano, ANCHE, ad allevare un figlio. Questo fa di me una persona e donna migliore, non il fatto di essere madre. Intendo dire che la capacità di introspezione e la curiosità verso il mondo sono spesso salvifici.
Ultimo. No, non temo il giudizio di mio figlio. Temo il contesto, i famosi frames che gli faranno dire cose diverse a dispetto dell’educazione assorbita a casa.
Un giorno qualcuno gli farà notare che il papà porta a casa i soldi e le casalinghe lavorano praticamente gratis. Certo passerò delle ore ad argomentare ma la verità nuda è questa.
Esistono i casalinghi, sono meno, molto meno di una netta minoranza, una quisquilia , pensando al numero pieno, se non erro, di circa 8 milioni di donne casalinghe.
Per la cronaca:
http://www.uominicasalinghi.it/index.asp. Gli associati sono circa 3000. Potrebbero essere di più ma non arriveranno nemmeno a 10.000 unità…
Se qualcuno conosce statitistiche bomba in merito le sganci per favore.
Divisione del lavoro domestico.
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20101110_00/
Rilevazioni forza lavoro.
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100428_00/testointegrale20100428.pdf
Per oggi basta.
Intermezzo. Rifletto e, stiro.
Mary da Milan
Ho riletto con attenzione il mio post. Forse in questo periodo, causa sovraffaticamento, non riesco ad essere sufficientemente chiara. Eppure, leggendo i commenti, appare che: a) accuso le donne b) accuso le blogger.
Sinceramente, non è così, e mi scuso se appare così.
Ho soltanto detto che l’esaltazione del ruolo della madre non fa bene nè alle madri, nè alle donne, nè ai padri, nè ai figli nè alla nostra società.
A me sembra leggermente diverso.
Ps: aggiungo che, se le reazioni sono così forti, evidentemente esiste un nervo scoperto. Desideriamo rifletterci oppure vogliamo chiuderci in difesa?
” l’esaltazione del ruolo della madre non fa bene nè alle madri, nè alle donne, nè ai padri, nè ai figli nè alla nostra società.”
su questo non posso che essere assolutamente d’accordo.
@Mary
La tua storia è a suo modo esemplare: condivido in toto tutto quello che dici: la paura di affidare il figlio ai genitori anziani e teledipendenti, il bisogno di godersi il momento, di far crescere la coppia, di vivere e non solo sopravvivere.
Alla fine la mia storia è diversa dalla tua solo per caso… perché ho un lavoro che mi piace e che non mi ha abbandonato dopo la maternità. Lo dico cento volte al giorno che sono fortunata perché faccio il lavoro che ho scelto e che mi piace e perché ho orari assolutamente umani rispetto a tante altre persone (compreso il mio compagno).
Bene, scusate ma quando mi ritrovo toni aggressivi… non posso che mettermi sulle difensive. Normalmente, quando leggo un articolo, cerco di commentare le mie impressioni, al di là dei commenti degli altri. Istintivamente dico prima ciò che penso e credo che questo possa essere utile per chi scrive per avere una eterogeneità di visioni.
Ritrovarmi di fronte risposte aspre, mi riporta indietro negli anni, quando si aveva paura di andare fuori tema, pena un brutto voto.
Ecco, apprezzo che ci sia voglia di chiarezza più che arrivare a definire i commenti di un lettore: stupidi, superficiali… quando credo di aver parlato in maniera sentita, toccando da vicino questo argomento.
Nessuna esaltazione delirante della maternità ma la tutela, sì.
Tutelare le madri perchè possano sapere di poter fare affidamento sulla collaborazione degli altri che col tempo, diventi una naturale attitudine come accade in altri paesi, come la Svezia ad esempio. Molto spesso la donna mitizza il suo ruolo materno, prima di tutto perchè nei primissimi tempi quando viene al mondo un bambino, è vulnerabile, stanca, perchè non ha aiuti in senso pratico. Si trova, lavorativamente ferma: il periodo di maternità appunto e il compagno, giustamente, continua a lavorare (si deve pur campare). In questa situazione di difficoltà, è una naturale conseguenza che la donna arrivi a pensare: cavolo, sono sola, mi cresco questo bimbo 24 ore su 24 (notte compresa, naturalmente, perchè il papà domani, sveglia presto…) Uscire da questo periodo, porta volontariamente a dire: caspita, che mamma che sono!
Ecco, finchè un paese non concede ad entrambi i genitori la possibilità di essere partecipi, è naturale che questo ruolo di “super mamma” sia difficile da sdradicare. Per questo parlavo prima di cambiamenti pratici, istituzionali, i soli a sostenere un possibile cambiamento. Altrimenti, è logico che la schiera di queste mamme, in queste condizioni, risponda con i nervi scoperti. 🙂
Tutto qui.
Metto qui una storia. Queste due persone si incontrano e si amano e fanno due figli. Cura condivisa, lavori condivisi. Lui, dopo anni di precariato, ha una cattedra in una scuola media per insegnare la materia che ama. Lei aveva un piccolo laboratorio artigiano. Via via lo lascia. Chiude. Scelta condivisa. Qualche giorno fa lui viene travolto da una macchina. E muore. Non ha abbastanza contributi per la pensione. Lei da dieci anni è fuori dal mercato del lavoro. I bambini sono ancora piccoli – sul serio. Per fortuna ha una rete familiare e amicale. Lasciare il lavoro è stata una trappola – per tutti. Io le risposte non le ho. Ma forse qualche pressione sociale in meno sul materno l’avrebbero spinta su una strada diversa.
Forse qualche pressione sociale in più sulla maternità-paternità, come sussidi economici, l’avrebbero aiutata a conservare la sua attività.
Ha lasciato il lavoro perchè ha pensato che quello del marito, ingaggiato come insegnante, fosse il più sicuro da tenere. Viste le tasse che un laboratorio artigianale comporta, quando è inattivo, soprattutto. Parecchi artigiani hanno lasciato i loro laboratori pur non essendo sposati o in periodo di maternità. avere un laboratorio in Italia, è una bella impresa.
E’ una storia triste, che ci fa comprendere di quanto il nostro Stato, sia assente.
Milena, non voglio polemizzare con alcuno. Però, a volte, ho l’impressione che le donne non vogliano vedere. Oltre ai lavori domestici e la cura dei figli e degli anziani c’è un altro problema – che secondo me rilevava Loredana Lipperini. Le donne – non tutte, come ovvio, sono ancora spinte a pensare che il lavoro sia un optional, che non avere un’autonomia finanziaria sia naturale perché il lavoro di cura è comunque un lavoro. Anche se non retribuito. Però – e lo dico su quella storia perché conosco bene le persone coinvolte – ti assicuro che avrebbero potuto investire su una baby sitter. E’ che appariva uno spreco. I figli crescono. Il lavoro (e il reddito) restano. E su questo non ci sono incentivi statali che tengano. E’ una questione di mentalità. O di cultura, se volete.
Che dirti, se la tua amica con consapevolezza e con serenità ha voluto seguire i suoi figli e la casa (che è un lavoro), attraverso una scelta condivisa, io non mi sento di dire col senno del poi, a causa della mentalità, adesso si trova senza lavoro. Perchè le sue doti, immagino che non le abbia perse, e che presso un laboratorio possa ritrovare un lavoro.
Credo che avrebbe avuto le medesime difficoltà e forse maggiori, nel gestire un laboratorio da sola, in queste condizioni.
Sono cresciuta senza padre e grazie al cielo che mia madre abbia potuto riservarci le sue attenzioni, il suo calore, trovando insieme le soluzioni più adeguate per affrontare il da farsi.
Ecco, io credo che a un certo punto ci si reputi abbastanza maturi riguardo le scelte che si fanno, al di là della mentalità (che esiste e che è fastidiosa da affrontare). Scelte, a volte, che siamo costrette a fare. Quante donne si sono viste chiudere le porte del lavoro perchè incinte o si son trovate rimpiazzate da altre, durante il periodo di maternità ( che cavolo, esiste: io mi sentivo svenire durante l’allattamento, non riuscivo a lavorare).
Per questo dico, maggiore tutela per entrambi. Solo e soltanto con questi sostegni, si può iniziare a ragionare “praticamente”.
Seguo a sprazzi, stiro pemettendo…
Gentilissima Lipperini scusi se sto andando un po’ fuori tema.
Una domanda me la sono fatta tantissime volte.
Se un/a figlio/a piccolo di media va a letto alle 9.00 e i genitori rientrano poco prima della cena, trafelati e ancora indaffarati, quale relazione di qualità riusciranno a costruire?
Poco il tempo per parlare, leggere insieme, discutere e coccolarsi, perchè no. L’adolescente cresciuto in fretta e furia con baby sitters e corsi extra curriculari avrà ancora voglia di rivolgersi ai genitori per sbrogliare certe matasse esistenziali?
E qui si ritorna come un disco rotto al sostegno alle famiglie, che non è solo economico ma di condivisione di obiettivi e di facilitazione di orari lavorativi, consoni allo sviluppo delle relazioni affettive. Pura utopia per ora. Urge un cambiamento culturale. Da dove si parte? Io sono sempre bloccata alla casella “Avanti”.
Hai voglia a leggere a mio figlio libri fighissimi, controccorrente, di eroine, di piratesse e via dicendo. La realtà è ferma. Oggi a scuola al ritiro ci saranno su 25 bimbi e bimbe, una decina di mamme, un papà e le tate.
E perchè le baby sitters sono solo di sesso femminile? Non per natura, per cultura ovvio.
Alle riunioni scolastiche ci solo donne, mio marito è l’unico che partecipa, non più di 2 volte l’anno.
E come nei condomini ci si scanna per ca@@ate, sul RISULTATO da raggiungere, sul prodotto. E per risultato intendo, “quando imparerà a scrivere in corsivo o saprà dire qualche frase in inglese”. Parlo della scuola dell’infanzia, non dell’università.
Ma come è stato possibile che il probabile e supposto vuoto esistenziale sia stato occupato oltre che dalle lavatrici anche da questo -scusate- pattume ideologico?
In attesa di rivoluzione ciò che non è retribuito non è un lavoro. Se non altro perché non ti permette di pagare le bollette o il salame. Per il resto non capisco di che tipo di incentivi parliate – a parte quelli noti negli altri paesi d’Europa.
Ecco, arrivati al dunque: può una baby sitter sostituirsi a un genitore che a mala pena ha il tempo di mettere a letto i propri figli?
“Quale relazione di qualità potranno costruire”, dice giustamente Mary che serenamente ha scelto di seguire il figlio da vicino.
Adesso mi chiedo, perchè non sostenere le donne come Mary, o gli uomini che decidono di passare più tempo con i figli?
In altri paesi questo sussidio esiste e soprattutto, gli orari di lavoro, sono tali che il tempo per stare la famiglia, è possibile.
Nessuno ci costringe a mettere al mondo i figli, sistemandoli alla buona come fossero parte di un ingranaggio del sistema economico.
I figli hanno il diritto di vivere i loro genitori, in un ambiente familiare protetto e sereno. Dove non arriva l’uno, arriva l’altra e viceversa.
@Barbara
Qualcosa si è mosso.
Non so quanto sia stato recepito ed effettivamente organizzato.
Link sulle politiche sociali.
http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/md/AreaLavoro/occupazione/domandaOfferta/conciliazionelavorofamiglia.htm
Estratto dal testo:
La legge 8 marzo 2000 n. 53 reca Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, e si inserisce nella più generale normativa sulle pari opportunità in quanto è finalizzata, tra l’altro, a consentire ai genitori una reale distribuzione dei compiti di cura dei figli, con un sistema di tutele molto più ampio di quello previsto dalle precedenti norme che rende effettivamente possibile la conciliazione del tempo tra lavoro e famiglia.
Milena, intere generazione sono cresciute con genitori che non si potevano neanche porre la domanda sull’avere o no una relazione di qualità con i loro figli. Io sono favorevole ai congedi di paternità e di maternità pagati. Ad orari umani, possibilmente per tutti. Ad asili nido aperti 24 ore per chi ha orari stravaganti o fa turni difficili. Ma se qualcuno decide – liberamente – che deve stare con i propri figli h 24 fino al compimento del 18 anno di età, direi che è un problema suo e non della collettività.
Secondo me metterla sul tutto o nulla è pericoloso e anche politicamente inefficace. Penso anche che le cose si possono cambiare forzandole dal basso, anzichè aspettandole dall’alto. Tra il non lavoro e le dieci ore al giorno esistono molte vie di mezzo, non è vero che non esistono, è certamente vero che per ottenerle bisogna esporsi – spesso le donne vi sono costrette – a compromessi frustranti, perdita di responsabilità e quant’altro. Ci sono molte professioni che permettono part time di diversa natura, ci sono anche nel privato contesti tali per cui, se per esempio tu dipendente offri una certa proposta, magari daje e daje quello ti da retta. Secondo me, comunque se un figlio di anni 5 o 6, comincia a vedere i genitori a partire dalle 5 di pomeriggio infrasettimanale, no – non credo che ne avrà un trauma permanente a vita.
Mary:)
Sarebbe bello rendere effettiva questa legge nel nostro paese, facendoci ascoltare… che seguire i figli, possa essere una realtà. Così finalmente potranno non essere stressati dalle mille attività per occupare il tempo di assenza dei loro genitori.
Prima di tutto, è necessario tutelare le loro vite che non ci hanno chiesto loro di essere messi al mondo.
@Milena
Tu dici che “intere generazione sono cresciute con genitori che non si potevano neanche porre la domanda sull’avere o no una relazione di qualità con i loro figli”. Ma è proprio questo il punto: loro non potevano chiederselo e non avevano neppure gli strumenti per chiederselo, per rendersene conto.
Se noi ne soffriamo, ne discutiamo con toni accesi, ci sentiamo tutti chiamati in causa in prima persona è proprio perché siamo attenti al problema e non vogliamo essere come quei genitori!
O no?
Trovare una via di mezzo è possibile, basta volerlo: sono daccordo.
Mary, la presenza dei genitori fa tanto per un figlio, credimi… che vivere serenamente la propria infanzia con delle figure di riferimento e quello a cui si deve puntare.
ElenaElle… quello lo diceva Mary 🙂
Io sostengo proprio la qualità relazionale.
@Barbara
Si parlava di orari umani, per l’appunto. Nemmeno io sto 24h su 24h con mio figlio. Il mio attuale “turno di lavoro” fino al venerdì, malattie escluse, va dalle 15.45 alle 20.30!
Dare la possibilità di asili aperti anche la notte in alcuni casi può diventare un boomerang. Quanti datori di lavori lo userebbero come grimaldello per obbligarci a straordinari forzati? E il diritto dei bambini dove lo metti?
E se prima stavano peggio non vuole dire che il circolo negativo vada replicato all’infinito. Noi abbiamo il dovere di fare meglio dei nostri predecessori, il che non vuole dire essere perfetti.
Scusate sto facendo confusione con i nomi…
Buon proseguimento
@Zaub
Sono d’accordo. Però, sfortuna mia, mi hanno sempro messo davanti a un aut aut. O tempo pieno, o niente. Con gli spostamenti, in città, anche un part-time 6 ore diventa di 8.
Nessun trauma, per carità. Intendevo i tempi necessari per coltivare interessi comuni. Se arrivi alle 20.00 tutte le sere e il pupo alle 21.00 dorme.. Non so se mi sono spiegata. Il bimbo cresce comunque certo. Ci sono fiore di testimonianze di bambini/e sani e salvi psicologicamente nonostante le deprivazioni affettive e materiali durante le 2 guerre mondiali.
Con questa mi fermo. L’unico asilo nido esistente – aperto sulle 24 ore e se ha resistito alla crisi – era a Reggio Emilia. Era usato da molti operai/e che avevano il turno notturno. Ci sono moltissimi mestieri che hanno turni di notte – e servono: infermieri, portantini, medici, pronto soccorso, autisti dei mezzi pubblici (inclusi i taxi), musicisti, ballerini, grafici di quotidiani, cuochi, camerieri, personale di alberghi, giornalisti, attori. Queste persone non è che sono tutte senza figli, eh….
Dopodiché in Italia oltre a una mancanza di politiche per la genitorialità si sconta anche la tendenza nazionale ad approfittare del poco esistente. Parere strettamente personale e non diretto ad alcuno dei commentatori.
Nella discussione è chiaro che ognuno vede il problema dal proprio punto di vista, dalla propria categoria, dai propri bisogni e questo in effetti è inefficace. Il problema è il futuro, l’dea di futuro anzi. Come lo vediamo questo futuro, come lo vedono le donne, mamme o no?
Quoto Loredana: “L’esaltazione del ruolo della madre non fa bene né alle madri, né alle donne, né ai padri, né ai figli né alla nostra società”. Sono d’accordissimo: da qui nascono tutti gli equivoci che portano alla fotografia scattata dall’Istat. Ho adorato il saggio della Badinter, perché ho vissuto sulla mia pelle, con l’esperienza dell’allattamento e il contatto con il fanatismo di certi ambienti, quanto l’esaltazione della presunta “naturalità” del materno possa rivelarsi un boomerang.
L’equivoco principe è quello che vuole la madre “Madre”, essere insostituibile e quasi ultraterreno, unica presenza indispensabile per la sana crescita di un figlio. E’ l’equivoco che impedisce ai padri di sentirsi ugualmente necessari e che, a livello inconscio, li libera dal dovere di condividere il lavoro familiare, li alleggerisce dalla responsabilità.
Più insistiamo con il modello della super-madre più creiamo alibi a chi si ostina a non riconoscere le mutazioni profonde del nostro sistema sociale e produttivo: le donne fuori casa oggi lavorano quanto gli uomini. Il processo non è avvenuto al contrario: gli uomini in casa lavorano sempre molto meno delle donne. E spesso – dobbiamo riconoscerlo – la maternità è il fattore con cui si giustifica questo squilibrio. Ingiusto e ormai francamente intollerabile.
Le madri non sono donne migliori, no. Ma sono quelle che oggi come oggi rischiano maggiormente di essere relegate negli antichi ghetti, di essere risospinte ai margini, di gettare la spugna. Perché sono-siamo fragili, sopraffatte dalle cose da fare e dal senso di inadeguatezza, schiacciate da modelli irraggiungibili e anacronistici. E la stanchezza, si sa, è il miglior alleato dello statu quo.
Barbara… ma nessuno ci/ti obbliga a mettere al mondo dei figli se dobbiamo lasciarli anche in un dormitorio.
E comunque di questi asili di 24 ore, a Reggio Emilia, non mi risultano tranne una proposta da parte di Letizia Moratti per gli ospedali per sostenere le mamme infermiere. Sul posto di lavoro della madre.
Manuela, grazie per aver compreso qual è il punto della riflessione. Di cuore.
Manuela, è molto bello il tuo blog. Mi permetto di pubblicarlo qui http://mammablogodot.ilcannocchiale.it/ perchè gli articoli contenuti mostrano con semplicità una dimensione quella materna da poter essere affrontata senza ansie, grazie anche al sostegno di iniziative volontarie per mostrare come poter conciliare la propria vita, il proprio lavoro con l’arrivo di un figlio. In qualche modo da rilievo alla condizione materna.
Sono d’accordo con l’intervento di Manuela.
Sono sempre favorevolissimo a qualunque misura aiuti i genitori (entrambi) a conciliare il lavoro e gli impegni familiari: asili nido, part-time, congedi parentali alla scandinava, condivisione del lavoro domestico. Insomma l’importante è pter stare coi propri figli e conservare l’indipendenza economica. Anche se specie in questo Paese non è facile
Quoto Emanuela. Per quanto riguarda Reggio Emilia era una notizia di diversi anni or sono. Nessuno pensa di lasciare il pargolo al nido 24 ore ma, secondo te, la mia amica medico chirurgo in un ospedale cosa dovrebbe fare? Cambiare mestiere? Chi ti porta a casa con l’autobus notturno, chi ti cura quando ti senti male la notte, chi ti fa godere con un bello spettacolo teatrale o musicale, dovrebbe votarsi ad altro o rinunciare ai figli? E’ questa la cultura devastante dell’Italia – e non dipende solo dalla mancanza di politiche. Certo che ne vorrebbero.
@Barbara
In qualche caso penso che effettivamente sia meglio rinunciare ai figli.
Portavi l’esempio del medico chirurgo, professione ancora tipicamente maschile, soprattutto la microchirurgia. Ecco in questo caso anche un padre dovrebbe farsi un esame di coscienza. Tra ospedale, visite private e congressi, a casa non ci sei quasi mai. Dimmi che senso ha diventare genitore? E’ una scelta sacrosanta quella di dedicarsi a professioni totalizzanti, la delega, invece, quasi totale dell’ educazione all’altro coniuge/tata/nonni, meno. Si fanno in due i figli, o no? Naturalmente è una mia personalissima opinione.
Mi piacerebbe sapere comunque cosa ne pensate.
Io di spettacoli me ne godo e ho un lavoro di responsabilità e viaggio pure, ringrazio mio marito che mi viene incontro e nessuno rinuncia alla propria vita. Ben vengano i nido negli ospedali, ben venga il sostengo familiare.
Io non mi sento di privarmi di nulla, sinceramente che volere è potere e quando una/uno vuole, le soluzioni si trovano sempre. Sappiamo cucinare bene entrambi e ne baby sitter e ne aiuto domestico, finchè possiamo, amiamo anche passare del tempo a casa con la nostra famiglia.
I nostri stipendi non sono pieni perchè siamo liberi professionisti e ci gestiamo il tempo che possiamo dedicare al lavoro: i soldi ci bastano per andare avanti semplicemente, poi viviamo in una terra, il Salento dove il mare è a pochi passi e le nostre vacanze sono nei periodi di bassa stagione, preferibilmente in montagna, se si può.
Se non si può, troviamo lo stesso il modo per rilassarci e stare bene con gli altri.
@ Anna
il medico chirurgo è donna. E ce ne sono tante di donne che lavorano nella sanità dalle infermiere ai medici. Non ci credo alle professioni totalizzanti. Non capisco per quale motivo una donna che fa un lavoro interessante e impegnativo dovrebbe rinunciarci. A un uomo nessuno lo chiederebbe mai. La persona di cui ti parlavo – il medico – ha un compagno che divide con lei lavori domestici e cura dei figli. Certo hanno dei turni bestiali. Un nido aperto la notte gli farebbe comodo.
Io pure quoto Manuela – anche se come dicevo – alle volte la foto non è tutta questione di materno, ma certo larga maggioranza.
Sulla domanda posta da Anna – mi viene voglia di mettere in campo due ordini di giudizi, e non trovo etico sovrapporli, o metterli l’uno contro l’altro. Da un punto di vista psicologico – che è il mio punto di vista professionale, novantanove volte su cento il professionista all’arrembaggio è un fuori di testa, maschio o femmina che sia. E’ uno che rinuncia a un sacco di cose, e quelle che fa non le fa per il gusto di farle, ma per una distorsione. Questo tipo umano molto incoraggiato socialmente vive una vita puarettissima, e puarettissimi sono quelli che hanno a che fare con lui – figli inclusi.
Poi c’è una specie di giudizio civile, che invece secondo me deve essere sospeso. Questa cosa di dover dire agli altri quando sono in diritto di essere genitori o meno, con quale vita o meno, con quale psiche o meno, con quale età o meno – questa cosa per me ecco, non è lecita. Siccome il fare figli è una cosa animale, una cosa anteriore al come e alla qualità, nessuno deve avere mai il diritto di dire quando e come farli chi può e chi non può.
Quoto zaub. Tuttavia – forse mi sono spiegata male – ci sono dei mestieri che richiedono i turni notturni – e senza che si voglia essere carrieristi pazzi, dediti solo al lavoro, insomma drogati de lavoro. Lavori normali esercitati da gente normale. Pe’ di – la mia amica chirurgo va a pochi e selezionati convegni ma mica per i figli. Pensa che molti siano inutili. Me pare sano, no?
Vorrei aggiungere una postilla forse un po’ eccentrica al dibattito sulle madri che lavorano o non lavorano. Io di figli non ne ho (e non ne avrò) ma sono stata sia una baby sitter che un’educatrice d’infanzia in un nido pubblico: cioè conosco la famiglia dal punto di vista del sostituto genitoriale. Vorrei far riflettere sul fatto che questo ruolo non crea necessariamente per il bambino un “terzo polo” alternativo ai genitori, che gli scombussola le idee, nè che per lui essere con altre persone è sempre una voragine di percezione perpetua di un assenza. Se il sostituto è preparato professionalmente, la presenza del genitore resta viva anche quando fisicamente si è altrove, sia perchè sono le regole della famiglia che creano il vissuto in cui è immerso il bambino (e una brava baby sitter ne dovrebbe tenere conto, sintonizzandosi su questo), sia nel caso del nido perchè c’è tutto un lavoro di racconti, scambi, rielaborazioni con il bambino stesso, anche se ha pochi mesi. Giusto perchè mi pare che a volte la giusta volontà di essere presenti nella vita dei figli si trasformi in un mito del bisogno perpetuo di onnipresenza per garantire la serenità dei figli (allo scopo di suscitare sensi di colpa che mettono in trappola soprattutto le madri). Ho lavorato con i bambini per più di 15 anni: non ho mai visto bambini che non avessero le idee chiarissime sulla posizione prioritaria dei genitori rispetto ai sostituti, per quanto possano essere sostituti amati o presenti per molte ore nella loro vita.
Questa è comunque una bella discussione, che mi piace seguire e a cui spero di aver dato un contributo.
Elisabetta