Scommettiamo che il prossimo 6 dicembre, fra una settimana esatta, ci si troverà a parlare di quel che avvenne quarant’anni fa? Era il 6 dicembre 1971, infatti, quando venne approvata la legge che prevedeva l’istituzione di “asili nido comunali con il concorso dello Stato”.
A che punto siamo? Lo spiega bene la recente indagine di Cittadinanzattiva.
Fra le altre cose, dal 2005 ad oggi le tariffe sono aumentate in media del 4,8%. In particolare, nel 2010/11, ben 26 città hanno ritoccato verso l’alto le rette di frequenza, e 5 capoluoghi registrano incrementi a due cifre: Foggia (+54,6%), Alessandria (+24,3%), Siracusa (+20%), Caserta (+19,5%), Catanzaro (+19,4%). Inoltre, secondo i dati del Ministero degli Interni relativi al 2009, il numero degli asili nido comunali ammonta a 3.424 (-0,4% rispetto al 2008) con una disponibilità di 141.210 posti (+0,8% rispetto al 2008). In media il 25% dei richiedenti rimane in lista d’attesa. Il record va alla Sicilia con il 42% di bambini in lista di attesa, seguita da Toscana e Puglia (33%).
Nel Rapporto Ombra Cedaw si ricorda anche che. mentre la strategia di Lisbona fissava come tetto l’accoglienza del 33% dei bambini negli asili nido in Europa per garantire il sano sviluppo di ogni Paese, l’Italia si ferma al 12,7% , anche se alcune Regioni del sud sono ben al di sotto di questo dato. Non solo: il Piano Sacconi-Carfagna del 2010 prevede 40 milioni di stanziamenti destinati a favorire l’occupazione femminile e la conciliazione. Bene, ma non sono previsti stanziamenti per incentivare gli asili nidi pubblici: 10 milioni per “Tagesmutter”, 4 milioni per gli albi comunali delle assistenti familiari, 12 milioni per i voucher, 6 milioni a sostegno delle cooperative e 4 milioni per acquistare software per interventi di telelavoro.
Incrociate tutto questo con il recentissimo studio dell’Economist sul lavoro femminile, e forse si capirà perché l’Italia, insieme all’India, è il paese con maggiori disparità.
Questo, anche per chi continua a martellare sul decennio dei Settanta come fosco, confuso, generatore di tenebra e di diritti visionari, sbagliati e cui attribuire gli sfasci successivi.
Mah, il decennio dei Settanta non è certo stato un’ “età aurea”, però ricordo più senso civico, voglia di fare e speranza nel futuro.
Invece oggi…ci ritroveremo il 6 dicembre a mugugnare su quanto Monti ci avrà tolto dalle tasche…ci arrabbieremo un tantino e poi, come tanti pecoroni, abbasseremo la testa, impugneremo il telecomando e trascorreremo una bella serata davanti alla tv. 🙁
veramente a catanzaro asili nido comunali non ce ne sono da anni. l’ho scoperto un paio di anni fa volendo mandarci il mio bambino. esistono solamente asili nido privati “parificati” (dove nel “parificato” c’è solamente il fatto che il comune finanzia in parte gli asili privati dove non c’è minimamente personale formato. posso dirlo senza ombra di dubbio visto che fino a due anni fa ho fatto il giro completo (cz è relativamente piccola) chiedendo informazioni circa il programma formativo ( risposta standard” signora, i bambini così piccoli che devono fare?!”)ed il personale qualificato (non esiste, bene che vada si tratta di giovani donne che hanno figli e che quindi sanno cosa vuol dire cambiare un pannolino).http://suddegenere.wordpress.com/2011/11/15/un-capoluogo-di-regione-senza-asili-nido/ ci sarebbe da aggiungere un lungo discorso su disoccupazione e sommerso nella mia città
Aggiungiamolo, Doriana: perché quella degli asili nido è una delle questioni che spaccano l’Italia, purtroppo, in due.
(Valberici: speriamo che non sia così)
Loredana, la questione dei nidi che, che come giustamente sottolinei, è una delle questioni che spacca l’Italia in due, è strettamente collegata con la disoccupazione femminile (che secondo me sta a monte, assieme alla “vera” questione più generale, quella culturale). esiste sicuramente un’incuria colpevole della pubblica amministrazione nei confronti delle esigenze delle donne lavoratrici che sono messe in grosse difficoltà sia per quanto riguarda la possibilità di affidare i figli per andare a lavorare sia per recuperare un minimo di spazi personali, ma esiste anche uno stratosferico tasso di disoccupazione e infine ci sono le nonne (non nel mio caso visto che mamma è giovane e lavora come una mula, beata lei!). mi dico sempre che questa è una di quelle questioni che dovrebbe portare tutte le donne della mia città a portestare in maniera dura e corale. ma siamo ancora qui….ognuna dentro casa propria.
Giornata di fuoco e commento fuggevole. A me il ghiribizzo del secondo figlio mi è venuto solo quando per miracolo hanno preso pipik al nido. Questa cosa mi fa pensare assai, credo che valga per molte donne.
pipik non ha mai chiamato telefono azzurro per denunciarti per il nome che gli hai dato? 🙂
Doriana, infatti. La ricerca dell’Economist va tristemente a confermarlo.
quarant’anni i figli, i numerosi figli che nascevano in una famiglia, (mio padre – classe ’54- per esempio ha dieci fratelli, chi faebbe oggi dieci figli?) crescevano in casa o in mezzo alla stradaper giocare ed esplorare il mondo intorno a sè con i mezzi semplici a disposizione. Le madri, come mia nonna, erano fisse in casa ( meritavano altrosì un contratto a tempo indeteminato ed una pensione) si occupavan della casa e male che andva dovevano pure zappare la terra e fare le “serve” ai mariti- padroni. Non esistevano servizi educativi e tanto meno si parlava di educazione, se non quella che veniva inclulcata in casa dalle figure genitoriali o a loro volta dai nonni, a seconda di proprie culture e tradizioni. Tuttavia i figli crescevano (non saprei dire se meglio o peggio di oggi, se così si può definire) e le mamme, penso, non avevano idea che potessero esistere dei luoghi e contesti alternativi alle loro case e strade, questo a dire che raccontano mio padre e mia madre.
Oggi i numerosi e diversificati servizi educativi rivolti ai più piccoli sui vari territori, e tanti altri ne servirebbero, sembra non se ne possano fare più a meno, giustamente; e vi è tutto un “dettatato” intorno alla questione della conciliazione lavoro-famigila delle donne e congedo di paternità. Le donne hanno sempre il maggior carico di lavoro tra dentro e fuori casa e molti papà (compreso il mio compagno) fanno ancora difficoltà a riconoscere il peso fisico e mentale che una donna deve sostenere per mandare avanti la “baracca”. Fanno fatica a riconoscere il merito e la forza istintiva di una madre che cresce i propri figli e “combattere” con una società, che da un lato ti “vieta” di averli perchè non hai un lavoro e quindi come li matieni; dall’alro però se li fai devi sbrigati a tornare a lavoro sennò lo perdi..
Insomma se non fai figli ti vengono a dire, sondaggi, giornali, dossier, ricerche di mercato che la natalità diminiusce però se poni la questione dei servizi utili e necessari per venire incontro a tali problemi, includendo anche un maggior impegno e solidarietà da parte degli uomini che dovrebbero svegliarsi di più, allora ti vengono a dire che non ci sono soldi. Che un servizio è meglio o peggio dell’altro perchè il personale, appunto giustamente, non è preparatao perchè mettono anche cani e porci ad educare i bambini quando di educazione non esiste nenache uno spiraglio.. ricordate quell’asilo privato dove le educatrici maltrattavano i piccoli pargoli.. non aggiungerei oltre..
Non so se una volta vi erano madri o donne che maltrattavano i bambini, a sentito dire lo erano più gli uomni, però a parte ciò, oggi ua donna deve essere donna in tutto e per tutto, madre nel vero senso della parola, lavoratrice allo schiatto fisico, domestica da rivendicare i suoi dirittti di colf insomma ritornare un pò indietro e visionare come facavano una volta non sarebbe utile per capire come facevano a fare tutto in una giornata e con una squadra di calcio e nessuno le che stava a sentire? Oggi pariamo tanto, si parla tanto e non si riviene mai ad una soluzione a me sembra che qualcosa non quadri. Ben vengano i servzi, ma ben vengano anche i padri dediti alla famiglia che ce ne sono pochi, ben vengano i sani educatori e competenti che si dovrebbeo occupare di selezionare bene le persone cui affidare i piccoli, ben vengano i diritti delle donne che devono far tuto e a chi decide di stare a casa per scelta come mia made che ci ha cresciute, bene direi, venga riconosciuto il merito di unavita dedicata a noi figlie e un risarcimento e sicuirezza per la sua vita che è sempre stata al nostro servizio e quello di mio padre.
mariagrazia, “visionare come facevano una volta non sarebbe utile per capire come facevano a fare tutto in una giornata e con una squadra di calcio e nessuno le che stava a sentire?”, secondo me no: come facevano, l’hai detto anche tu, si facevano un mazzo a taralla h24…
(il mazzo a taralla include anche vari gradi di rinuncia più o meno coatta a arricchimento culturale, partecipazione alla vita pubblica, espressione delle inclinazion iindividuali ecc.)
io devo il mio percorso lavorativo, che prosegue anche in forma di impresa autonoma, ai nidi comunali e alle scuole materne pubbliche di Bologna
e, come dice Zauberei, c’è stato un secondo figlio, non solo per desiderio affettivo, ma anche perché sapevamo di avere accesso ai servizi educativi, seppur costosi
sono servizi necessari e sottovalutati
grazie Loredana
buona giornata a tutti i frequentatori di lipperatura
Nicoletta
In ordine sparso. L’errore capitale è stato di affidare i servizi per la prima infanzia ai comuni – sottraendoli all’obbligo scolastico, che imponeva allo Stato la costruzione di scuole anche nei luoghi più sperduti del paese. E non tutti i comuni hanno avuto la necessaria sensibilità culturale per aprirli sti nidi. Così oggi – ma non da oggi – sono il primo servizio da tagliare o da tassare. Non sto dicendo, ovviamente, che sia obbligatorio mandare un bambino al nido ma che non si è pensato alle resistenze culturali italiche. Che persistono: in rete – in alcuni siti o blog o forum mammeschi – il nido è visto come una sorta di colonia penale. E sventurati i genitori che li usano.
Detto questo mi piacerebbe si potesse organizzare una bella manifestazione – di non genitori e di genitori affinché i comuni tagliassero altro e aprissero più nidi, magari con orari flessibili perché non è che tutti lavorano 9-17.
praticamente l’obbiettivo è allontanare abbastanza le normali tendenze alla socializzazione in maniera da fare del fantolino il fuco perfetto per il mondo finto adulto che il turboconsumismo richiede per autoalimentarsi.E nel contempo,tanto per fare un favore ai religiosi,sottrarre la donna da quella perdizione che raggiungerebbe assecondando la propria natura,l’unica che la può portare a guardarsi fiera nello specchio
Io qui (in Svezia) pago intorno ai cento euro a bambina, che mi ritornano dallo stato (indipendentemente dal reddito).
Il nido è aperto 12 mesi all’anno (d’estate accorpano diversi nidi, ma comunque garantiscono l’apertura).
Gli orari sono dalle 6.30-7.00 sino alle 17-17.30.
Qui però nessuno si sognerebbe di rilasciare un’intervista vantandosi di non pagare le tasse, come invece fa con tanto orgoglio tale Alberto Benedetti http://bloggar.aftonbladet.se/europanereforrakning/2011/11/29/frascati-italien-staten-acklar-mig-varfor-ska-jag-betala-skatt/ che dice che visto che lo stato italiano fa schifo perché mai dovrebbe pagare le tasse lui? Ed i suoi collaboratori sono in nero. Qualcuno che vuole mandargli la finanza, vista l’immagine che dà del nostro paese?
Vorrei segnalare un articolo altrettanto “visionario”, su cui verrebbe la tentazione di lasciarsi cadere le braccia e non replicare. Ma è una tentazione pericolosa.
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A proposito dell’aberrante articolo citato da Calenda Maia, quel che non mi va giù è che il giornale che lo ospita (“Libero”, e mai nome fu più mistificato) sia finanziato con soldi pubblici, ovvero anche con i soldi miei, donna scolarizzata e lavoratrice… Ma se invece di scrivere simili bestialità solo per il gusto di provocare, l’autore collegasse due neuroni e forte di una sinapsi finalmente riuscita spulciasse i dati di paesi a forte natalità, come la Francia, e vedesse il nesso servizi (es. proprio gli asili nido) – numero di figli? Ma per far questo forse due neuroni occorre possederli…
Cara francesca perchè pensi che noi donne anche oggi non lo facciamo il mazzo uguale? 🙂
Mariagrazia, proprio uguale in media penso di no, dai, almeno in Italia :-)…Cioè mia nonna non so quante sere abbia passato sciallata sul divano a bersi una birretta e a commentare in un blog sul femminismo…