QUEL CHE NON AVVIENE NELLA MIA FAMIGLIA NON MI RIGUARDA

Camminano per le strade, sia pure per mano alla mamma e al papà. Vedono cartelloni come questo. O come questo. Si vedono rappresentati, sempre sui manifesti o nella pubblicità dei magazine che circolano per casa, così o così. Anche i magazine che si rivolgono a loro li rappresentano sempre più spesso come adorabili bulletti (se maschi) e seducenti pupette (se femmine). Mariagrazia Contini e Silvia Demozzi hanno realizzato un bel video sull’adultizzazione delle bambine e dei bambini. Si chiama Corpi bambini-Sprechi d’infanzia e potete guardarlo qui.
L’adultizzazione delle bambine e dei bambini non è un fenomeno di oggi. Nel 1997, per esempio, uno studio americano aveva evidenziato che i primi sintomi di pubertà si anticipavano ormai tra gli otto e i dieci anni, anziché tra gli undici e i dodici. Tre anni dopo, i sessuologi italiani avvertivano che il 15% delle bambine italiane tra gli 11 e i 14 anni aveva già avuto un rapporto sessuale. Nel 2003 si parlava apertamente di adultizzazione delle cosiddette tweens, le bambine fra nove e dodici anni: che già in seconda elementare, però, cominciano a far uso di profumi, passando ai cosmetici nel giro di un anno o due. Già negli anni Zero risultava evidente che nelle ultime classi delle elementari si guardavano i programmi televisivi rivolti ai fratelli maggiori, e che Mtv era il canale di riferimento. Infine, ci si  è accorti che una quota notevole del 1500 spot pubblicitari mensili destinati ai bambini pubblicizzava cosmetici per l’infanzia : lucidalabbra al bubblegum, paillettes per il corpo, ombretti, smalti per unghie. Parliamo di undici anni fa.
Premesso tutto questo, vorrei chiedere a chi si oppone all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole se crede che le bambine e i bambini sappiano decifrare il mondo che li circonda. Se ritengano che tutte le bambine e i bambini ricevano le informazioni necessarie all’interno della famiglia: perché gli oppositori dicono e scrivono che parlare di sesso, genere, sentimenti non sia cosa che spetti alla scuola, che è il luogo dove la comunità si forma, bensì alla famiglia. Intendendo, suppongo, la propria famiglia. E le altre? Suppongo ancora che si debbano arrangiare. E suppongo anche che il “non mi riguarda” di questo infelice trentennio ci abbia infine portato a negare altra forma di aggregazione sociale che non sia casa nostra.
C’è un altro punto. Si teme “la norma” come qualcosa che possa limitare la nostra libertà.  Ammesso che la parola norma sia pertinente (e non lo è affatto: si tratta di condividere saperi, non di normare), vorrei sommessamente sottolineare che siamo già normati: nel momento in cui i modelli che vengono proposti sono quelli di bambine e bambini ipersessualizzati, la norma ci viene fornita non dalla scuola e non dalla famiglia, ma di chi pensa di vendere un giocattolo o un paio di scarpette o una giacca di jeans usando esattamente un modello normativo.
Detto questo, leggete pure il servizio di Vera Schiavazzi sulla “battaglia” contro gli assai sporadici corsi o interventi sull’educazione sessuale nelle scuole italiane. E pensateci su.
“L’ultimo episodio della battaglia risale a pochi giorni fa: il 20 marzo è arrivata a tutti i dirigenti scolastici di elementari, medie e superiori una circolare del ministero dell’Istruzione che “rinviava a data da destinarsi” i due giorni di corso di formazione per insegnanti previsti per questa settimana, confermando così una voce che circolava da tempo. A denunciare l’inconfessabile desiderio di lasciar cadere l’iniziativa era stata, a Montecitorio, la deputata Michela Marzano (Pd), con un’interpellanza, mentre Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, vicino a Angelino Alfano, si impegnava da tempo contro “l’indottrinamento dei giovani” nelle scuole, remando contro l’intervento delle associazioni gay. L’interpellanza di Marzano, insieme alla pronta reazione di una parte delle associazioni impegnate per i diritti glbt hanno rotto il silenzio. Rivelando veti incrociati e lotte intestine che risalgono ai governi Monti e Letta, e all’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni del dipartimento Pari Opportunità del governo. «Il 19 aprile del 2013 — ricorda Marzano nella sua interpellanza — il governo ha formalmente adottato una “Strategia nazionale LGBT 2013-2015”, un piano di azioni di risposta alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere». Il 18 dicembre 2013, il Ministero dell’Istruzione ha emanato un’apposita circolare a tutti gli Uffici scolastici regionali in cui si prevede lo svolgimento di una “Settimana nazionale contro ogni forma di violenza e discriminazione”. Ne è nato un progetto commissionato dallo stesso Unar e costato, così denuncia il quotidiano cattolico “Avvenire”, 250.000 euro. Il titolo? “Educare alla diversità a scuola”, a cura del-l’Istituto Beck di Roma (una scuola di specializzazione accreditata dal Miur), che ha prodotto un kit di materiale informativo suddiviso secondo i diversi ordini scolastici. Il kit non è mai stato diffuso, il corso è stato rinviato. E la polemica si è fatta rovente, anche perché ci sono dieci milioni di euro stanziati per la “lotta al bullismo”, e dunque anche per quella all’omofobia. «Il Pd resta in silenzio — dice Enzo Cucco, presidente dell’associazione radicale “Certi diritti” — e ha firmato un patto elettorale di non belligeranza col Nuovo Centrodestra di Alfano. Ci aspettiamo un atteggiamento diverso da parte del ministro Giannini». E la vicenda ha già registrato un lungo elenco di reazioni. «Da parte mia c’è massimo impegno contro le discriminazioni — dice Toccafondi, finito nel mirino come responsabile del rinvio — Ma non possiamo usare la scuola italiana come un campo di battaglia ideologico, dobbiamo promuovere un confronto aperto tra docenti e famiglie ». A far reagire il sottosegretario è stata anche una sitcom in cinque puntate, “Vicini”, che ha definito “di impronta culturale a senso unico”. Ed è guerra tra sottosegretari, perché Ivan Scalfarotto (viceministro alle Riforme costituzionali e ai rapporti con il Parlamento) interviene così: «L’idea di un contradditorio nelle scuole tra posizioni diverse sulla lotta all’omofobia fa a pugni con il buonsenso. Toccafondi suggerisce forse di invitare i negazionisti quando si parla di antisemitismo?». Contro il rinvio dei corsi, intanto, sono intervenuti la Rete Studenti e molte altre associazioni”.

8 pensieri su “QUEL CHE NON AVVIENE NELLA MIA FAMIGLIA NON MI RIGUARDA

  1. L’unica civiltà che conosciamo in Italia è Civiltà Cattolica, ma sono troppi quelli che vanno oltre, ma per compiacere chi?

  2. Dunque, anche il ‘negazionismo’ sui guai di casa propria è una caratteristica italiana, che secondo me deriva direttamente dal familismo ‘amorale’. Appunto, tra virgolette, ‘amorale’. Cioè che si rifiuta di analizzare, valutare e eventualmente sanzionare. Estendendo ‘casa propria’ a tutto il Paese.
    Nella mia esperienza mi imbatto continuamente in questo problema, e soprattutto sembra che alcune posizioni avanzate provenienti dall’Europa (su prevenzione e allarme per certi fenomeni), non ci riguardino. Nè ci riguarderanno nel futuro. E si parla di classe dirigente, eh.
    L’Europa in realtà ci sta fornendo altri criteri: di laicità dello stato, ma soprattutto del pensiero, e di distacco da una risposta automatica. Anche per aprire le porte a un vero confronto su questi temi!

  3. Mi viene in mente una canzone di Guccini in cui si parla dell’educazione sessuale affidata alla scuola dal Ministero delle Cicogne che ha stanziato all’uopo alcuni miliardi di lire per comprare i cavoli…
    Sarebbe da ridere non fosse da piangere!

  4. A scuola va bene imporre l’ora di religione cattolica che ormai interessa sempre meno persone e comporta costi assurdi.
    Delle vere problematiche che interessano tutti non si deve parlare e discutere perchè quella minoranza cattolica che continua ad imporsi è fatta di persone che preferiscono credere che certe cose avvengono solo nelle famiglie degli altri.
    Dovesse succedere nella loro, avrebbero sempre una giustificazione pronta, oppure soffocherebbero i ribelli. Santa ipocrisia.

  5. Proprio discutendo di modelli di genere proposti nei media-giocattoli ecc. la frase che ho sentito dire più volte, è: “Non è perché mia figlia gioca con le winx che diventerà una escort: quel che conta sono i valori e gli esempi trasmessi dalla famiglia”.
    La seconda frase più sentita, spesso detta dalla stessa persona, è: “Non puoi pretendere che siano la Lego / Mattel / Disney a dare i modelli virtuosi, il loro scopo è solo vendere. ”
    Cioè secondo questa mentalità se io spaccio valori di cacca a mia figlia sono una cattiva genitrice, se invece li spaccio a milioni di bambine figlie di altri, guadagnandoci un botto di soldi, va bene.
    E comunque chi difenderebbe la Barbie Tabaccaia, o la protagonista di un cartone che frusta il suo dolce pony? Chi non direbbe che sono cattivi esempi, modelli diseducativi da proporre ai nostri figli ecc.?
    Stranamente invece quando si parla di modelli di genere la cosa del tanto-conta-quel-che-insegna-la-famiglia viene sempre fuori… il che mi fa pensare che a queste persone modelli simili (una donna che fin da piccola dev’essere attraente ammiccante curata ecc.) non debbano sembrare infondo tanto sbagliati. Cioè secondo me se vedono loro figlia giocare con bambole che somigliano a sexy stripper non ne sono davvero colpiti o impressionati come, penso, si sentirebbero appunto vendendola giocare con una bambola che fuma e vende sigarette.

  6. Mio padre negli anni Settanta si rifiutò di comprarmi Big Jim perché gli sembrava un cedimento al consumismo e a un certo modello di società. Questo rifiuto non è bastato a preservarmi dai mali del mondo, ma lo ricordo con una certa gioia.
    Quando si dice che la famiglia e la scuola ci formano, non bisogna dimenticare che “famiglia” non sono solo i genitori e che “scuola” non sono solo gli insegnanti. I nonni, i fratelli, i compagni di scuola, gli amici, i parenti, e anche i bidelli, fin dall’infanzia contribuiscono a formarci e a normarci, così come chiunque intrattenga con noi una relazione di potere.
    A me è capitato di sentire che “famiglie e scuola trasmettono gli stessi valori, ma la televisione…” I valori, però, non dovrebbero essere solo parole con la maiuscola o ideali domenicali (che valgono per gli altri e soprattutto per i subalterni: figli, alunni…), da smentire nei giorni feriali. Sono priorità che valgono per noi, capacità di distinguere cosa è meglio fare in un dato momento, tensione tra i principi che si enunciano e quello che ogni giorno si tenta di fare. Dunque, “noi”, famiglie o insegnanti che non vogliamo o non riusciamo a impedire ai fanciulli di nutrirsi di spazzatura, dovremmo chiederci che cosa nelle nostre parole e nel nostro comportamento rende commestibile questa spazzatura: che cosa attiva, disattiva, nega, corregge, conferma i peggiori impulsi che vengono dai pervasivi ma non onnipotenti media e mercato.
    Un saluto a tutti/e.
    L.

  7. Purtroppo finché i laici, soprattutto credenti, non si ergeranno a denunciare che l’unica vera lobby che esiste in Italia (oltre a quella delle Corporazioni) è quella clericale, e finché i credenti sinceri non ricorderanno ai lobbisti di casa loro che non è imponendo per legge pretese virtù che trionfa la Virtù, ma è con l’impegno e la testimonianza personali, non andremo da nessuna parte e vincerà sempre il clero (chierico e laico). Inoltre potremo parlare di laicità dello Stato solo superando l’art.7 della Costituzione e smantellando il meccanismo dell’otto per mille. Altrimenti questo ci aspetta: martellante e capillare propaganda cattolica di genere, ovvero: tutti eterosessuali, uomini al comando, donne in lieto subordine. Gli altri e le altre tollerat*, purché nascost* e possibilmente sofferenti.

  8. Sto per cominciare un intervento di educazione al rispetto ed al superamento degli stereotipi di genere, io insegnante di Lettere, in una scuola media sfrondata dagli psicologi a causa dei tagli, e contro la diffidenza (per certi versi legittima) di chi si stupisce che un intervento sull’affettività lo faccia un non-esperto. Siamo tutti concentrati e forse un po’ preoccupati, ma percepiamo, specialmente noi docenti, che non possiamo abdicare al dovere di informare ed educare dei ragazzi altrimenti inermi di fornte all’overdose di obblighi sociali sessualizzanti e di messaggi confusi e fuorvianti (cresci presto, sii bello, sii produttivo).

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