QUEL CHE SULLE DONNE DICONO- PARTE SECONDA

Cosa è cambiato dai tempi in cui si segavano le donne in due? Molto, sicuramente. Ma non troppo, almeno nel famigerato immaginario: per esempio non nella propensione all’insulto, allo scherno, alla riduzione a oggetto, alle de-umanizzazione, direbbe Chiara Volpato, della donna che non sta al suo posto, che si permette parola e persino parola autorevole. Qualche giorno fa, Vera Gheno elencava su Facebook le tipologie più frequenti di aggressione verbale:
“Come offendere una donna, manuale pratico [per chiarire: non sono tutti rivolti a me]:
1) riferimenti alle abitudini sessuali libertine (“Sociolinguista: Nota antica professione nell’ambito dei servizi sociali che sfrutta le acrobatiche doti linguistiche professionali, per migliorare la qualità della vita relazionale delle persone ipocoitali. Si può esercitare in studio privato o a domicilio, ma più di frequente per strada nell’autovettura del bisognoso di assistenza, in base alla legislazione della nazione in cui viene esercitata”);
2) riferimenti alla mancanza di una vita sessuale (“la furia selvaggia di Erinni tardo femministe inacidite (alcune sicuramente zitelle e anche se sposate zitelle nella testa e soprattutto acide e insoddisfatte”);
3) Riferimenti all’aspetto fisico (“la versione sessualmente meno ripugnante della XXX” <– Nome di una nota femminista che mi pare superfluo citare qui in chiaro);
4) Riferimenti all’età avanzata (“sei una fallita magari che l’ unica cosa che puoi fare a 60 anni sono questi video”);
5) Riferimenti alla decadenza fisica (“più magra e meno charming di un paio di anni orsono”).”
Credo che la maggior parte di noi  abbia sperimentato almeno una di queste modalità, come se fosse impensabile contestare il pensiero senza accanirsi sul corpo (corpo non desiderabile, corpo decaduto, e così via).
Ora, chi scrive fa parte di quella schiera sempre più minoritaria di persone che inseguono, scioccamente, la complessità, e che credono nel potere delle parole. Che si venga definite liberali, o utopiste, o noiose, o semplicemente non al passo con i tempi, poco conta. Quello di cui sono convinta è che i processi culturali sono lenti: magari sembrano accelerare, certamente, e altrettanto certamente alcune iniziative, o norme, aiutano. Ma perché i cambiamenti avvengano davvero, dalla cultura passano. E la cultura è appunto lenta a formarsi e definirsi: ed è fatta anche di parole.
Per questo motivo resto perplessa quando la parola “InCel” viene usata, dalle donne, come insulto verso gli uomini, sia pure misogini, aggressivi, insultanti. InCel, che sta per Involuntary Celibate e in parole poverissime indica coloro che sono o si ritengono espulsi dalla vita sessuale per aspetto fisico o scarsa disponibilità economica e in assoluto per insensibilità femminile, è un termine coniato da una donna, Alana, ma che viene rivendicato e usato da alcuni (molti) uomini, su forum e altri luoghi della rete (e anche fuori). La genesi e la caratteristica di quello che possiamo chiamare movimento, profondamente avverso ai femminismi e anzi decisamente misogino e patriarcale è complessa a sua volta. Per ricostruirla al meglio, vi rimando alla lettura di un ottimo articolo di Elisa Cuter.
Dunque, InCel è un termine che viene usato dagli stessi che riservano alle donne, specie femministe, un trattamento verbale (e ahimè a volte non solo) che deprechiamo.
Mi chiedo allora perché usarlo se donne e se femministe, dandogli a volte lo stesso valore (“zitellone”, si sarebbe detto ai tempi) che usano gli odiatori della rete. Se lo chiese, non molto tempo fa, Giulia Blasi
“è davvero opportuno legittimare questo fenomeno e questi gruppi incorporando nel nostro discorso un termine non derogatorio che li individua? Se da un lato è vero che quello che non viene descritto non esiste (vale per la mafia, il patriarcato, il mansplaining, tutto) è anche vero che a queste manifestazioni misogine manca giusto il riconoscimento come movimento d’opinione per sentirsi giustificate e forti di un’appartenenza”.
In altri termini: gli articoli che vi ho linkato sono, come detto, complessi, richiedono attenzione e tempo di lettura. La battuta affilata colpisce duro e subito. Quanto serve? Quanto aiuta? Quanto, invece, rischia di essere un boomerang? E perché non crearne altre, di parole?

3 pensieri su “QUEL CHE SULLE DONNE DICONO- PARTE SECONDA

  1. Il termine Incel viene utilizzato da certi gruppi presenti nel web per autodefinisrsi, si può anche non usare ma dovremmo inventarne un altro per definire idee misogine che non sono solo il prodotto di un singolo ma credenze condivise da un gruppo che si autoriconosce come gruppo

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