QUELLE CHE SONO NATE DOPO IL 1978

Note di speranza per il week end.  Donne che non hanno alcuna voglia di restare con le mani in mano davanti alle crescenti difficoltà opposte a chi decide di non portare avanti la gravidanza.  Si trovano su maipiùclandestine. Questa la loro presentazione. Seguitele.
Noi che scriviamo non abbiamo conosciuto il dramma dell’aborto clandestino. Siamo nate dopo il 1978, anno in cui fu approvata la legge “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, più nota come 194 o sbrigativamente legge sull’aborto. Quella legge non fu regalata, ma arrivò dopo anni di lotte delle donne venute prima di noi, che sapevano cosa volesse dire abortire nella clandestinità con il rischio concreto di morire. Il risultato politico di quelle lotte è stato ottenere che l’autodeterminazione fosse il punto di forza della 194 e non una concessione; nella legge è previsto che una donna dica: io decido.
Ma cosa succede quando una donna può decidere?
Succede che il patriarcato alza le difese, obbligando la donna a un percorso ad ostacoli, quando va bene; a una via crucis, quando va male. Questa legge è ancora in piedi, ma ha dovuto superare il tentativo di abrogazione attraverso due referendum, e i suoi principi vengono ciclicamente messi in discussione. E’ accaduto in Parlamento nella vicenda sulla procreazione medicalmente assistita, accade ogni giorno negli ospedali italiani in cui obiettano anche i portantini, accade nei consultori con i dissuasori, accade con l’ostruzionismo alla pillola RU486 e perfino alla “pillola del giorno dopo”.
La situazione si aggrava con il passare del tempo e temiamo possa arrivare il momento in cui sarà impossibile la sua applicazione. Sarebbe come non averla, già oggi in molti ospedali è come non averla. L’allarme che questo genera ci ha portate, spesso, a ragionare su cosa potremmo fare, tanto che nel maggio scorso Angela Lamboglia, ha scritto: “…mi è venuta l’idea che potremmo organizzare una riunione operativa, cioè vederci tutte – io scrivo a quelle di cui ho gli indirizzi, ma ciascuna saprà chi coinvolgere in questa prima fase – per capire come muoverci…” Ci siamo incontrate più volte, abbiamo valutato il da farsi a cominciare dal Lazio, ricordiamo che i presidenti di Regione sono responsabili della nomina dei direttori sanitari, come dell’interruzione del servizio pubblico, quindi è a loro che bisogna rivolgersi e pretendere un numero adeguato di non obiettori negli ospedali pubblici. Questo lavoro ha viaggiato parallelamente con la costruzione del Collettivo “Femministe Nove”.
Nel dicembre scorso Pina Nuzzo scrive sul blog Laboratorio Donnae: “…la parola autodeterminazione ha cambiato in modo irreversibile la percezione del nostro corpo; ha modificato i costumi e la cultura. Ma, il boicottaggio iniziato il giorno dopo l’approvazione della legge genera in molte di noi uno stato di tensione permanente. Da sempre temiamo che si voglia mettere mano a questa legge perché, se ciò avvenisse, siamo certe, sarebbe solo a nostro svantaggio. Quanto sta accadendo in Spagna dimostra che è possibile tornare indietro, si può legiferare sui nostri corpi, contro di noi. A questo punto sentiamo che è arrivato il momento di trovarci, di parlarci per dare forma al desiderio/bisogno di agire politicamente. Agire non significa solo fare, ma anche rinominare le cose.”
Ci siamo incontrate, eravamo in diverse, romane e no. Molte hanno fatto sapere che non potevano partecipare, ma erano disponibili. Abbiamo cominciato mettendo a disposizione il lavoro già fatto e dal confronto è venuta avanti la necessità di avviare azioni politiche davanti ai consultori e agli ospedali, “azioni di strada”, per informare e coinvolgere. Senza questo lavoro, capillare e diffuso nel territorio, è impossibile pensare azioni politiche autonome che muovano, anche i corpi.
Il nostro obiettivo principale è incontrare le donne, verificare quanto siamo capaci di stabilire un contatto fuori dai luoghi già dati, dalle relazioni consolidate, perché, come ha detto Sara Pollice: “Nessun discorso che abbia come scopo l’applicazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, può prescindere dall’appoggio incondizionato e dalla vicinanza emozionale, alle donne che hanno vissuto questa esperienza. Che sia accaduto per scelta, per ignoranza o per necessità. Poi indaghiamo le ragioni, cerchiamo di rimuovere gli ostacoli, ci armiamo di rabbia e partiamo, ma dobbiamo prima di tutto sentirci un tutt’uno, perché lo siamo. Perché una donna che abortisce compie un viaggio dentro se stessa che la porta alle radici della sua debolezza e della sua forza. Quando ci troviamo in queste circostanze non dobbiamo sentirci sole, dobbiamo sentirci di fronte ai nostri sentieri in salita, insieme a tutte le altre che questo percorso lo hanno fatto, lo stanno facendo o lo faranno”.
Per fare tutto questo ci siamo date un tempo, un anno. Pensiamo a una vera e propria Campagna e l’abbiamo chiamata: maipiùclandestine come l’appello con cui ci rivolgiamo alle donne. Un appello che “non è una richiesta di sostegno ma una chiamata generale a portare avanti azioni e iniziative sui territori: nei consultori di quartiere, negli ospedali, nei centri di accoglienza, nelle piazze, nelle nostre case. La libertà e la salute delle donne sono nelle nostre mani, riguardano tutte e ciascuna può portare questa lotta nei suoi luoghi. Come? Presidiamo, protestiamo, denunciamo con tutti gli strumenti che abbiamo e in tutte le forme di cui siamo capaci.”
Siamo consapevoli che tante donne, associazioni femminili, collettivi, gruppi, in questi anni, non hanno mai smesso di lottare per una corretta applicazione della 194. Non inventiamo nulla e non siamo le prime, ma sentiamo l’urgenza di misurarci in prima persona con la costruzione di una dimensione collettiva. Nuovamente femminista.
La nostra prima azione pubblica, di lancio della Campagna, avverrà sabato 1°marzo.
Parallelamente, abbiamo rivolto un appello al presidente della Regione Lazio, perchè eserciti il compito che la legge gli assegna: garantire la corretta attuazione della 194 nel territorio regionale.
Per partecipare alla campagnamaipiùclandestine contattare il blog maipiuclandestine.noblogs.org dove verrà pubblicato l’elenco delle associazioni, singole, gruppi accreditati all’uso del logo. Privilegiamo le associazioni di donne, lasciando a loro la libertà di mediare sui territori con altre associazioni miste e istituzioni. La Campagna è autonoma e autofinanziata. Sul blog verranno pubblicate tutte le iniziative.
Cinzia, Irene, Alessandra, Ilaria, Francesca, Ingrid, Erica, Annarita, Ludovica, Federica, Viola, Roberta, Pina, Silvana, Valeria, Angela, Sara, Teresa, Eleonora, Angela, Gaia, Serena, Nicoletta, Giorgia, Simona, Valeria, Sabrina, Francesca

7 pensieri su “QUELLE CHE SONO NATE DOPO IL 1978

  1. Io invece sono nata molto prima del 78: e tra i miei ricordi ci sono la Faccio e Fortuna, i radicali ed i socialisti, un PCI poco presente ufficialmente ma molte donne invece in piazza,una dicì che parlava delle donne come se fossero mucche da riproduzione e farmacisti che -nello stesso stile di oggi – vendevano le pillole anticoncezionali ai nostri uomini, ma non a noi (ma oggi si ornano della loro scelta di obiettori). Per non parlare della categoria medica: quando si aveva la fortuna di potersi rivolgere economicamente ad essa se ne aveva in cambio un indirizzo ed un orario…
    E ricordo quando, a proposito di metterci la “pancia”, si raccoglievano firme per autodenuncia di aborto, si manifestava con cartelli: ma non eravamo nel 2014, e i cartelli li scrivevamo in strada. Ci siamo ancora!

  2. …e urge che torniate tutte in piazza, pre e post-settantottine: la controriforma è cominciata e le vittime si conoscono già (perché sono sempre le stesse…)!

  3. Sono nata molto prima e fatto la mia parte all’epoca del referendum, in difesa della legge.
    Si pagano gli errori di tutti questi anni “di mezzo”. Poco e nulla quanto a educazione e prevenzione; strutture inesistenti, obiezione alle stelle.
    Ed eccoci in Campagna…

  4. Sono nata prima, ma capisco che bisogna ricominciare a lottare per un diritto che pensavamo acquisito. Lottare anche se questo diritto è collegato per ogni donna a conflitti, dolore, colpa. Allora gridavo:”io sono mia”. Credo che griderò di nuovo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto